Fuga da Alcatraz ( tecnologia e sviluppo di sé stessi)
Ore 12.00. Caldo tropicale, in una Cosenza, che sembra a fine agosto, riprendere lentamente, il normale caos. Una giovane coppia di teenagers, seduta sulle consumate poltroncine di un autobus cittadino, adornata con abiti colorati e di tendenza, s’ignora amorevolmente, impegnata pienamente, a chattare con il cellulare. Il bus, si ferma, mi volto curioso e vedo una signora Rom, che sale, con i suoi tre bambini e crea quasi appositamente, il caos, guardando con soddisfazione, i tanti visi borghesi, che si preoccupavano in maniera molto pregiudiziale, di eventuali furti da professionista. Dopo di che, si adagia ad una spalliera e prende in mano anche lei, uno degli ultimi modelli di palmare ed inizia a chattare. Sorride e digita sulla tastiera qualcosa. I bimbi, rimangono assenti. Scendo ed arrivo in Dipartimento, presso l’Università, in bella mostra quattro giovani studentesse, intente a chattare, silenziose e composte, vicino ad una delle sedi delle associazioni studentesche, che in un tempo, oramai lontano, pullulavano di risate e di artifici intellettuali, finalizzati all’organizzazione di eventi sociali e culturali. Termino il lavoro, ci vediamo a pranzo, con alcuni amici, in un attimo, realizzo, che le cinque persone alienate, in fase di “ chattaggio compulsivo”, eravamo proprio noi. Infine, passo a salutare, un mio caro amico, ingegnere informatico, con un dottorato alle spalle, che da circa un anno, causa, mancanza di lavoro, vive in Irlanda, costretto a lasciare, sua madre invalida e senza altri supporti. Al termine di questa triste e paradossale storia, si avverte il bisogno di fare alcune considerazioni.
Innanzitutto, bisognerebbe domandarsi a chi fà comodo, questo livello di regressione psicologico e consentiteci anche “animico”, chi riesce a lucrare ed a guadagnare, dall’avere sostanzialmente anestetizzato, i cittadini, riuscendoli a convincere che dal mondo virtuale, si potesse trarre una nuova modalità esistenziale, in grado di annullare o far dimenticare, la cruda realtà? E nel mentre, le generazioni passate, nella loro età più acerba, fantasticavano di nuovi sogni e visioni utopistiche, che comunque fungevano da carburante motivazionale, per la costruzione di un progetto di vita, oggi, si passa il tempo, a deprogrammare il futuro, perché troppi, sono i dati sfavorevoli, che ci dimostrano, la non realizzabilità dei sogni giovanili, a causa di un sistema sociale ed economico, che onestamente è in una fase di completa destabilizzazione. Non stiamo a criticare, il sistema capitalistico, che anzi, ha permesso di consolidare, da un certo punto in poi le democrazie, negli stati nazione, ma si addita, con forza, la potente macchina ingannatrice delle lobby internazionali, che mai e poi mai, riuscirebbero a garantirsi la sostanziale impunibilità, in un contesto sociale prolifico di idealità e di pensiero critico.
L’importante è far regredire, il funzionamento cerebrale, l’importante è trasportare le persone, in universi paralleli ed ovattati, dove tutto è possibile, dove ogni maschera pirandellianamente fittizia ed egoica è praticabile. Ed ecco, vedere, proprio sulla rete, lo spaccato, di un contorsionismo teatrale, dove tutti possono essere tutti, fuorchè sé stessi. Nel teatro dell’asettico schermo, si può mutare e creare costantemente, nuove forme di alienazione e di perversione.
Ma è un errore a prescindere? Certo che no! Non spetta a noi, giudicare, ma a chi si occupa di etica. La riflessione, invece, può cautamente spostarsi sull’umanità, nella sua naturalità. Per ragionare dell’uomo che si prende cura dei suoi bisogni.La psicologia analitica e gli studi inerenti la primissima infanzia, ci confermano che l’uomo è desideroso di “carezze”. Carezze di tipo fisico. L’uomo è sostanzialmente “ relazione”, processo relazionale, che nella sperimentazione dell’altro ( in carne ed ossa) constata sé stesso con i suoi limiti e le sue qualità. In sostanza, grazie al contatto con l’altro, l’essere umano, riesce a raffinare, la sua crescita, il suo sviluppo e la sua storia.
L’uso smodato, dei social network, produce, un grande bluff. Mancando realmente il contatto fisico, la realtà, la carne, la presenza dell’altro corpo, l’agire comunicativo, muta e si sviluppa su sistemi relazionali sostanzialmente autoreferenziali. Si percepisce, di comunicare con altri, ma protetti dalla schermo, in sostanza, si comunica solo con sé stessi e con le proprie fantasie, in qualche modo autistiche, di un essere umano, lontano dalla realtà ed inserito, in un mondo parallelo e solitario.
E’ possibile, accettare, tutte le novità tecnologiche e nello stesso tempo vivere da uomini liberi? Si, pensiamo di si. Un grande studioso della comunicazione umana, Richard Bandler ( co-fondatore della PNL), ci parla, dell’esigenza, di spezzare, “ le catene dei liberi” ( paradosso che ci fa capire, quanto noi liberi, siamo spesso prigionieri!), spiegandoci che è possibile riuscirci, se ci riappropriamo della nostra neo-corteccia, imparando, nuovi schemi mentali, in grado di facilitarci la libertà di scelta ( quell’autonomia che riporta l’uomo, il singolo, nuovamente alla libertà di decidere il proprio percorso di vita nel rispetto di quello degli altri – così come in una visione ideale, i classici del liberalismo europeo ed americano, teorizzavano), per puntare al raggiungimento di un desiderio, realmente nostro, alla nostra missione di vita, in poche parole, alla nostra felicità.
A questa rieducazione “ cognitiva” ed etica, aggiungeremmo l’esigenza di riappropriarsi, di spazi spirituali “reali”, decidendo con costanza, di lasciare, una parte della giornata, al silenzio, incubatore di nuove energie creative e casa del “nuovo”, delle emozioni e della conoscenza interiore.Tempo addietro, una suora di clausura, che stava esprimendo una testimonianza vocazionale, dietro la grata del monastero, alla domanda, di un “inadeguato” studente universitario, che chiese più o meno: “ cosa si prova a stare dietro le sbarre?”, rispose, dopo aver donato un sorriso, che scaldava il cuore: “Giuseppe, dal mio punto di vista, io vedo te, dietro le sbarre!”. Lo studente ero io e quel giorno, vidi crollare, molte mie certezze, su ciò che fosse giusto e ciò che fosse sbagliato.
Giuseppe Bianco formatore – sociologo ANS