“La mafia non si combatte con la tensione delle sirene, dei cortei e della terribilità. La mafia si combatte col diritto”

Francesco Rao foto  5 agosto 2015Le calde giornate di agosto, la ricerca di luoghi dove trascorrere le vacanze estive e l’ormai abnorme quantità di notizie messe a disposizione dalla rete non saranno quel deterrente utile a portare nell’oblio quei calabresi, ancora dediti alle funzioni dello Stato e delle sue Leggi, in merito a quanto è stato oggetto della recentissima indagine della Guardia di finanza ed alle sorti del “museo della ndrangheta” di Reggio Calabria. Pur rispettando il principio dettato dalla Costituzione, nessuno è colpevole sino a condanna definitiva, è opportuno aprire una riflessione, soprattutto a favore di coloro che a suo tempo avevano visto come una vittoria dello Stato, l’assegnazione del bene confiscato e convertito a centro di aggregazione culturale, con lo scopo principale di studiare e prevenire quel modello di sopraffazione che ha radicalmente isolato la nostra regione dal resto dell’Italia, relegandoci agli occhi di tutti, buoni e cattivi, nel limbo della criminalità. L’indignazione è tanta, ma ancora non si riesce a manifestare quel sentimento di condanna esteso non solo ai responsabili ma al modello praticato e volto a  strumentalizzare l’associazionismo, per poi piantare una bandiera opposta alla “mission” preposta. Non si può ammettere che proprio le guardie, anziché combattere i ladri, prendano il loro posto indossando le divise messe a disposizione dallo Stato. Non si può nemmeno ammettere che fondi europei vengano utilizzati in modi così distorti, limitando l’inclusione sociale. Non si può ammettere il “progetto sottile”, operato in maniera quasi scientifica, dalla criminalità organizzata,  tendente a creare sfiducia nelle Istituzioni proprio con questi metodi, diffusi ovunque. Sciascia aveva ragione affermando “la mafia non si combatte  con la tensione delle sirene, dei cortei e della terribilità. La mafia si combatte col diritto”. Il nodo cruciale del nostro Ordinamento giuridico forse è proprio questo: manca la certezza della pena. Anche per questo motivo spesse volte è facile forzare un luogo insito di valori e reso vivo da persone che intendono far camminare sulle loro gambe una scelta di vita sana, trasformandolo poi in una vera e propria contraddizione. Quel Museo, per il singolare ruolo svolto sul territorio, doveva assumere quella rilevanza denominata “valore sociale” da diffondere a quanti lo avrebbero visitato esportando esempi e virtù. Per approfondire il significato del termine “valore sociale”, ricorriamo al dizionario di sociologia di Luciano Gallino dove ci viene offerta una chiarissima interpretazione: “concezione di uno stato o condizione di sé o di altri, o di sé in rapporto ad altri oggetti e soggetti – inclusa la natura ed esseri sovrannaturali – che un soggetto individuale o collettivo reputa specialmente desiderabile – sia esso da raggiungere o da conservare – ed in base al quale giudica la correttezza, l’adeguatezza, l’efficacia, la degnità delle azioni proprie e di quelle altrui. Sebbene i particolari valori sociali di singoli individui possano interessare l’analisi socialmente rilevante, essa si occupa dei valori sociali comuni a collettività di varia natura e dimensione.” Alla luce di tale definizione, ciò che potrà essere utile al territorio, ed alla popolazione che lo vive, per uscire dallo stagno è rintracciabile soltanto nei processi culturali che dovranno interessare le future generazioni, unitamente al segnale che soltanto la politica potrà dare attraverso un percorso legislativo volto a creare maggiori presupposti di deterrenza, principalmente attraverso l’operatività del diritto. In questo modo, oltre a conferire ragione allo scrittore siciliano,  si eviterà che “tutta l’Italia vada diventando Sicilia… salendo come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma”.  Diversamente, il Meridione sarà destinato a diventare quella frontiera invalicabile dalle Leggi dello Stato e popolata da persone che non potranno riporre la loro fiducia in quella regola che sta alla base della civile convivenza chiamata Democrazia.

Francesco Rao – sociologo ANS


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