“IL LAVORO NON E’ NECESSARIO SOLO PER L’ECONOMIA, MA PER LA DIGNITA’ DELL’UOMO”
Povertà, una condizione sociale che sembrava essere “confinata” alle latitudini meridionali del pianeta. Solo una foto ingiallita per quei Paesi cosiddetti “industrialmente avanzati”, nei quali invece è tornata a ravvivarsi in tutta la sua crudezza. Una tra le tante contraddizioni dell’età moderna: quella che vuole sopportabile un fenomeno riscontrabile solo in fasce ristrette della popolazione e accettabile nel momento in cui è rappresentata come una condizione fisiologica della società del benessere. Oggi in Italia, nel resto d’Europa e persino negli Stati Uniti non si parla nemmeno più di individui “prone to risk”, vale a dire persone che rischiano di essere coinvolti in processi di impoverimento, nemmeno di povertà latente, ma dirompente. Come altro definire un’esperienza di vita che porta a centinaia di suicidi nella sola Italia: imprenditori che non riescono più a sostenere il peso dei loro debiti e, in casi assurdi, quello dei loro crediti; madri e padri di famiglia che decidono di farla finita con una disperazione che attanaglia soprattutto i propri piccoli. Non più di qualche anno fa a Cosenza il caso del collega giornalista Alessandro Bozzo, un uomo di 40 anni che decide di non rivedere più il sorriso della sua bambina probabilmente perché “soffocato” da condizioni lavorative sempre più precarie. Così il triplice suicidio di tre anziani a Civitanova Marche. Persone vissute sempre modestamente, ma con dignità, la stessa che gli ha impedito di chiedere aiuto, nonostante fosse forte il timore di non farcela più. Nessuno avrebbe potuto dare loro quello che gli spettava di diritto: vivere una vecchiaia dignitosa dopo anni e anni di lavoro. Lo stesso diritto che avrebbero i giovani d’oggi di costruirsi una famiglia quando vogliono e non quando, forse, a quaranta, cinquant’anni troveranno una lavoro che non garantirà assolutamente il loro futuro. La tendenza oggi è quella di pensionare, mettere in mobilità, cassa integrazione e quanti altri stratagemmi inventati per distruggere la dignità dei lavoratori, rendere precaria la loro esistenza, alimentare l’instabilità e ricreare sudditanza nei confronti del datore di lavoro. L’ultimo espediente? Abolire il famoso art.18 per incentivare le assunzioni !! Adesso la farsa è completa, il messaggio chiaro e forte: per assumere un lavoratore bisogna prima licenziarne un altro !! Ottima idea, peccato non averci pensato prima. In tal modo si crea un mondo virtuale dove, statistiche alla mano, ci sarà sempre chi potrà dire che l’occupazione “settimanale” è in aumento dello 0,01%, per poi, verso mezzanotte, annunciare che la disoccupazione è aumentata, su base trimestrale, della medesima percentuale !! La verità è che nell’ottica degli imprenditori l’abolizione dell’art.18 non fa leva tanto sui nuovi assunti, già “sistemati” con contratti a termine da poche centinaia di euro al mese e sgravi fiscali a favore dei primi, ne per quelli da “cacciare”, perché gli imprenditori conoscono bene i trucchi per liberarsi della forza lavoro nei momenti di crisi, ma per quei lavoratori con cui sono “costretti” ad operare. In tal caso è evidente che l’equilibrio tra dipendente e datore si sposta decisamente dalla parte di chi è in grado di licenziare senza giusta causa. Così, oltre alla ritrovata povertà, ci rendiamo conto che è ritornata anche la schiavitù. Prima la schiavitù del corpo, oggi anche quella dell’anima. Come dimenticare le parole di Giulia, giovane plurilaureata che nella trasmissione “Piazza Pulita” affermava: “il lavoro oggi non è più dignità, è prostituzione”. Parole laceranti che fanno il paio con quelle di Papa Francesco: “Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità”. Nessuna volontà politica di cambiare lostatus quo, allora viene da pensare che non si vuole porre rimedio alla cosa e che conviene avere masse di persone disoccupate e inoccupate e, nel migliore di casi, giovani sottopagati da far camminare a testa china. Facile liberarsi dalle catene dell’immobilismo politico addossando la colpa sui giovani “bamboccioni”, facile abbassare lospread togliendo i diritti acquisiti agli uomini invisibili, gli esodati, rinnegare il welfare state e perfino farci ingoiare il rospo che pagarsi le cure mediche è meglio perché migliora la qualità del servizio!! Così se da un lato del mondo esistono i poveri, dall’altro esistono i poveri fessi. C’è qualcuno con una grande faccia tosta che ha deciso che su questa terra è meglio che ogni giorno muoiano migliaia di persone di fame perché così “si mantiene inalterato l’equilibrio della specie umana”; qualcun altro, forse lo stesso, che ha deciso che per mantenere gli equilibri finanziari del mondo è meglio che qualche stato fallisca; che invece di globalizzare un minimo salariale è meglio che il lavoro vada dove costa di meno e globalizzare nuove e più redditizie, in termini di surplus, forme di schiavitù. Figurarsi che sempre la stessa faccia tosta ha fatto in modo che i poveri possano essere contenti di traghettare sulle sponde della schiavitù, così che tanti nullatenenti arrivano in Italia per andare a lavorare, sotto capolarato, nei campi della vergogna. A questo punto, nell’era delle contraddizioni più violente, viene da chiedersi se è meglio vivere dal lato del mondo dove si è poveri o dal lato dove si è schiavi.
Davide Franceschiello sociologo ANS