IL CONSUMERISMO POLITICO ANTIMAFIA, IL CASO DI ADDIOPIZZO

 

sonia-angelisi (1)Il dibattito acceso sulla reale utilità del consumo critico, ha mosso i ricercatori ad effettuare un’attenta osservazione della realtà sociale allo scopo di evidenziare gli effetti positivi di tali pratiche alternative sul territorio. Una recente ricerca condotta in Sicilia,  mostra le ricadute sociali del consumo critico inteso come strumento di lotta alla mafia in merito al progetto PizzoZero.

Pur distinguendo il capitalismo dalla criminalità organizzata, nel corso degli anni queste due forme si sono compenetrate in alcuni passaggi storico-sociali determinando meccanismi di infiltrazione mafiosa nella sfera economica e di commistione tra economia, finanza e fenomeno mafioso. Questo è evidente se teniamo conto di un tratto distintivo che accomuna questi due elementi che è la detenzione e il mantenimento del potere in mano a poche persone attraverso l’uso della forza. Il capitalismo, infatti, si caratterizza per essere un sistema economico fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e su un modello sociopolitico basato sulla dialettica capitale-lavoro, in cui il primo domina il secondo regolando di fatto i rapporti sociali. Lo stesso storico Umberto Santino scrive:

 

“L’economia criminale più che una forma di devianza è figlia di un’economia fondata sul consumismo e sullo spreco. (…) Nel capitalismo degli ultimi decenni la diffusione delle mafie si spiega con gli effetti criminogeni dei processi di globalizzazione: l’aumento degli squilibri territoriali e dei divari sociali, per cui l’accumulazione illegale diventa la risorsa unica o più conveniente per molte aree del pianeta marginali e periferiche; i processi di finanziarizzazione dell’economia che tendono sempre più difficile distinguere tra capitali legali e illegali e favoriscono il proliferare delle mafie anche nelle aree centrali ”.(1)

 

Dunque, dobbiamo tenere conto non solo dell’intreccio Stato-Mafia, pur avendo entrambi “ordinamenti giuridici” differenti, in cui la mafia partecipa alla vita istituzionale, condizionando la formazione delle rappresentanze e assicurandosi quote di denaro pubblico; ma preme soprattutto evidenziare gli stretti rapporti tra economia e criminalità organizzata che si manifesta nella sua forma più barbara ed evidente nello storico fenomeno dell’estorsione, fonte di approvvigionamento e di esercizio della signoria territoriale. Le associazioni antiracket, diffuse per ora solo nel meridione come forma continuativa di mobilitazione antimafia, nascono appositamente per contrastare la richiesta del pizzo in una forma corale di cittadinanza attiva di risposta al dominio mafioso.

È dopo l’isolamento e, in seguito all’uccisione, dell’imprenditore Libero Grassi il 29 agosto del 1991 noto per aver rifiutato di piegarsi all’estorsione, che il comitato Addiopizzo (2) ha organizzato forme embrionali di consumo critico con la conseguente costituzione dell’associazione Libero Futuro a Palermo. Nato a Palermo nel 2004, Addiopizzo ha segnato, per la città, il risveglio dalla lunga acquiescenza al racket delle estorsioni. Nella città infatti nessuno, da tempo, parlava più di pizzo, sebbene i dati della procura confermassero che l’80% dei commercianti lo pagasse. Ha sede a Palermo, in via Lincoln n. 131, in un appartamento confiscato alla famiglia mafiosa degli Spataro e concesso al Comitato in base alla legge n. 109 del 7 marzo 1996, sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. La mattina del 29 giugno 2004, il centro di Palermo si trova tappezzato di adesivi listati a lutto con la scritta: Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. L’iniziativa suscita grande curiosità, oltre all’interessamento di mass media, forze dell’ordine, Procura della Repubblica. L’iniziativa è stata ideata da alcuni ragazzi, che a partire da ciò decidono di creare un’associazione contro il fenomeno del pizzo. Le prime attività del movimento Addiopizzo sono contraddistinte dall’anonimato dei promotori. Il 29 agosto dello stesso anno, per l’anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, appaiono sui cavalcavia della tangenziale di Palermo degli striscioni sui quali si legge Un intero popolo che si ribella al pizzo è libero. Nel maggio 2005 il Comitato Addiopizzo, con la pubblicazione del manifesto e dei suoi primi 3500 sottoscrittori, realizza il primo passo della campagna Contro il pizzo, cambia i consumi.

La campagna si proponeva il duplice scopo di stimolare i cittadini a una responsabilizzazione, mostrando quale sia il potere dei singoli nel far valere il proprio diritto di spendere soldi presso esercizi “puliti” e liberi dalla mafia; al contempo, cerca di stimolare gli imprenditori a prendere le distanze da ambienti mafiosi. Si tratta della prima esperienza di consumo critico legata all’estorsione: consumatori che orientano i propri consumi verso un’economia legale, premiando coloro che si oppongono al racket.

L’obbiettivo precipuo dei movimenti, dunque, è quello di aprire una nuova partita nella consapevolezza che le mafie non sono invincibili e che il capitalismo non durerà per sempre. Attraverso l’economia solidale si mira a costruire rapporti sociali in cui i cittadini diventano i protagonisti deputati a scrivere una nuova pagina di storia impegnandosi in una produzione e in un consumo consapevole dei beni, diffondendo nuove forme di mobilitazione per affrancare i diversi operatori economici dall’imposizione del pizzo che non è altro che un’ipoteca sulla libertà di ciascuno. La strategia ha tre parole d’ordine: partecipazione, resistenza e liberazione, tracce fondamentali per ridisegnare una nuova quotidianità.

È così che è nato lo slogan: “Contro il pizzo cambia i consumi” invitando a scegliere i prodotti di chi non si piega, ma senza criminalizzare gli altri; sono state raccolte oltre 7000 firme dalle associazioni antiracket che hanno individuato nel corso di due anni i commercianti più coraggiosi. Questa forma peculiare di consumerismo politico è il consumo critico antimafia che tesse giorno dopo giorno reti alternative in difesa del territorio e favorisce l’avvio di processi partecipativi virtuosi anche all’interno dei settori tradizionalmente restii a intraprendere azioni collettive. Del resto il problema della lotta alla mafia è chiaramente inquadrabile come un problema di azione collettiva contro cui speso si è preferito agire individualmente attraverso soluzioni private cercando di trarne un personale vantaggio. È risaputo, infatti, come le mafie locali controllano il territorio impedendo sostanzialmente l’accesso alle risorse economiche e sociali per redistribuirle poi ai propri alleati e concedere ogni tanto qualche “regalia” anche agli strati più poveri della popolazione, tenuto sotto scacco per la mancanza di alternative. Tuttavia, in un clima di totale sudditanza il fenomeno mafioso non avrebbe vita lunga: la mafia ha capacità di mediare e questo lo descrive bene sempre lo storico Umberto Santino:

 

“Se la mafia, le mafie, fossero soltanto parassitarie e predatorie, costituissero soltanto un costo, pesante e odioso per la comunità in cui operano, non stante la paura suscitata dagli atti di intimidazione e dalla loro stessa presenza, sarebbe più facile isolarle e sconfiggerle; le cose diventano molto più complicate se si pensa alla convenienza offerta dall’illegalità in società in cui l’economia legale è debole e la ricchezza è concentrata in poche mani. Le mafie operano con due mani: con una prelevano e impoveriscono, con l’altra producono e spartiscono quote di reddito, anche se la maggior parte dei proventi finisce nelle tasche dei capi e dei loro alleati. In tal modo assicurano ottimi affari agli strati sociali più alti, si pongono come canali di mobilità sociale e garantiscono redditi di sopravvivenza agli strati più bassi. Si dà vita così a un impasto sociale all’insegna del trasclassismo, ma decisamente favorevole per gli strati privilegiati e dominanti .”(3)

 

A questa lenta morsa l’opposizione cittadina organizzata è stata sempre molto blanda o assente per due ordini di motivi: da un lato la presenza di istituzioni politiche deboli i cui esponenti stessi invece di incentivare comportamenti virtuosi hanno accettato fatto accordi sottobanco con le organizzazioni mafiosi; dall0altro lato, invece, si è assistito al diffondersi si una cultura di sfiducia che ha portato all’accettazione passiva dello status quo. Accrescere il capitale sociale, inteso come insieme di relazioni e norme di rete e di condizioni di fiducia che consentono agli attori sociali di agire per perseguire obiettivi comuni, è stato da sempre un compito molto arduo, ma assolutamente necessario. Tuttavia, non è impossibile che gli individui inizino volontariamente un percorso rivoluzionario di contrasto alla mafia, anche in contesti dove sembrano radicati atteggiamenti e comportamenti non collaborativi, dove le istituzioni sono deboli o corrotte e dove vi è un tessuto sociale fragile e precario favorevole alla riproduzione della mafia. I movimenti sociali sono tra i principali soggetti attraverso cui le collettività hanno storicamente dato voce a rivendicazioni sociali e politiche, dimostrando che bastano piccoli gesti di resistenza quotidiana, pacifica e propositiva, per invertire la rotta e trasformare la propria condizione di sudditi in cittadini. Mettere a disposizione il proprio sapere, le proprie esperienze nell’elaborazione di strategie di prevenzione e contrasto alla mafia, allo scopo di radicare nel territorio una nuova idea di legalità e consapevolezza. La durata e il successo di una mobilitazione collettiva dipende in primis dalla reazione che i cosiddetti early-riser, ossia i primi soggetti che si mobilitano, susciteranno nell’ambiente sociale in cui opereranno e in cui dovranno raccogliere consensi, adesioni, alleati in una lotta importante come quella alla mafia. Allo stesso tempo, dovranno essere studiate strategie capaci di adattarsi ai contesti e ai tempi che cambiano nella consapevolezza di avere come fine precipuo quello di avere un impatto sul territorio che possono essere diretti o indiretti: diretti quando i movimenti agiscono direttamente contro i loro target al fine di indurre cambiamenti, modificare i rapporti tra dominanti e dominati; indiretti quando l’obiettivo dei movimenti è, invece, quello di infondere nella società valori come la solidarietà e la cooperazione al fine di modificare gli equilibri di potere con una nuova contaminazione dei territori.

Il movimento antimafia (anni ’50-’70) ha visto in un primo periodo ina mobilitazione di classe con azioni per lo più dirette, mentre nel corso degli anni ha registrato un ridimensionamento dei soggetti mobilitati perdendo la caratteristica di lotta di classe e prediligendo le strategie indirette rispetto a quelle dirette, un’antimafia sociale che si concentra principalmente sugli aspetti culturali del potere mafioso organizzando dibattiti e tavole rotonde e questo lo vediamo bene proprio nella Palermo martoriata dalle stragi degli anni’90.

La nascita di Libera segna un punto di svolta nella mobilitazione contro la mafia, contribuendo a riportare al centro della lotta la questione del controllo delle organizzazioni criminali sul territorio. E incentivando, così, attraverso la petizione popolare in appoggio ad un disegno di legge sulla confisca e utilizzo dei beni mafiosi, un uso di azioni di tipo diretto, riportando la lotta alla mafia all’interno della società. Sarà proprio su alcuni beni confiscati alla mafia  che prenderanno avvio le prime cooperative agricole che costituiranno i primi volani per il decollo del consumo critico antimafia. Perché il consumo critico? Perché rappresenta un modo semplice e poco costoso con cui i cittadini possono dimostrare la loro opposizione alla mafia quotidianamente. Inoltre, è uno strumento facilmente adottabile poiché esorcizza la paura di agire attraverso l’anonimato della spesa. Il tutto va a avantaggio di un’economia legale, supportando tutti color che non si piegano al pizzo. È così che prendono forma reti di economia solidale tra produttori e consumatori:

 

“che condividono una visione della mafia non più come un fenomeno naturale che bisogna accettare e con il quale è possibile venire a patti nel tentativo di trarne qualche personale vantaggio, ma come l’espressione più eclatante di un’economia fondata sullo spreco e sul consumismo”. (4)

 

Dal 2000, dunque, nascono nuove associazioni che fanno appello al cittadino-consumatore e il consumo critico si trasforma in nuovo strumento di mobilitazione antimafia. La prima cooperativa agricola antimafia  è la NoE (NO Emarginazione) e si costituisce a Palermo nel 1996 gestendo il primo bene confiscato e assegnato a Partinico dall’Amministrazione Comunale. Nel 2001 decolla Libera Terra dall’ormai famosa associazione Libera di Don Ciotti. Da premettere che l’interesse della mafia verso il settore primario è antico e indissolubile sia per questioni storiche e culturali (in Italia la nascita della mafia avviene proprio nelle campagne per poi aggredire in un secondo momento la modernità) sia per questioni economiche (visto che tale settore provvede al fabbisogno alimentare di milioni di persone; inoltre, il giro d’affari della malavita nel settore primario frutta circa 15 miliardi di euro all’anno, praticamente un terzo del valore della produzione lorda vendibile) e sia per questioni strategiche (attraverso le campagne è possibile esercitare il controllo del territorio per utilizzarlo come base per nascondigli o come punto di partenza per ulteriori progetti “imprenditoriali”). La criminalità impone i prezzi agricoli per far cedere i raccolti a prezzi stracciati mettendo il coltivatore di fronte alla scelta di accettare il ricatto se non vuole vedere compromesso il suo raccolto insieme al lavoro di tanti anni. La criminalità, dunque, impone quotazioni stracciate sui campi e listini all’ingrosso gonfiati da fortissimi rincari e per pizzo non intendiamo soltanto la mera estorsione di denaro, ma anche l’obbligo imposto di servirsi di determinate cooperative di pulizie o imprese di trasporto che consentono ai mafiosi di riscuotere un vantaggio economico in linea obliqua. La tappa finale si rivela sostanzialmente nella gestione diretta dei supermercati: organizzazioni mafiose infiltrate nella grande distribuzione e in particolare proprio nel settore agroalimentare facendo apparire gestioni lecite di attività economiche.

Queste cooperative agricole quindi, iniziano a produrre prodotti agricoli di qualità in regime  biologico certificato garantendosi un mercato di nicchia costituito principalmente da consumatori del centro e nord Italia. La crescita economica no tarda a dare i suoi frutti generando nuove opportunità occupazionali nel territorio fino a che no assiste anche alla radicazione del consumo critico nei siciliani stessi attraverso il ruolo decisivo del comitato Addiopizzo.

Il comitato Addiopizzo nasce dalla volontà di alcuni ragazzi che avevano deciso di  creare uno spazio in cui commercializzare prodotti equo e solidali; nel momento della redazione del business plan presero contezza di una voce stonata nel conto economico: il pizzo, un vero e proprio costo d’impresa preteso dalla criminalità da tutti gli esercenti commerciali, un costo che poi si traduce in costo collettivo con evidenti e pesanti ricadute su tutto il territorio poiché limita la capacità di autorealizzazione ed emancipazione sociale, induce i territori all’immobilismo e i giovani alla fuga. Da qui nasce quindi l’idea di educare i cittadini a premiare i commercianti più coraggiosi, idea che ah inciso sull’immaginario dei siciliani perché se prima il pizzo era una questione tra commerciante e mafioso, ora diventava un problema collettivo, una questione che intaccava il ruolo del consumatore. Comprare da chi pagava il pizzo, significava contribuire in minima parte a pagare quel pizzo, un meccanismo noto ma su cui, probabilmente, fino ad allora si era poco ragionato. Si contribuiva così a costruire un circuito economico alternativo, un circuito solidale di sostegno ai commercianti pizzofree, creato proprio per garantire la sopravvivenza dei negozianti una volta sporta la denuncia. Oggi si contano oltre 500 tra esercizi commerciali e imprese palermitane che aderiscono ad Addiopizzo. Nel 2010 nasce il marchio “Prodotto Pizzo free” che coinvolge 34 aziende. Addiopizzo è formato da più di 50 persone. Da sempre, organizza eventi volti al supporto della pratica antimafia del consumo critico con i commercianti della lista pizzo-free.

Il comitato ha anche redatto la cosiddetta Mappa pizzo-free, che raccoglie le centinaia di imprenditori, commercianti ed artigiani che aderiscono alla campagna di Consumo critico contro il racket delle estorsioni. Viene proposta con indicazioni in italiano, in inglese e in tedesco, presso tutti gli operatori economici aderenti al circuito di Addiopizzo e nei centri info del comune di Palermo. Le richieste di adesione all’iniziativa da parte degli operatori economici devono essere vagliate da una commissione di garanzia, con il supporto di documenti (processuali, giudiziari, amministrativi, giornalistici) e/o altri elementi obiettivi di qualsiasi natura che possano sostenere la valutazione della Commissione in merito alla sua inclusione nella lista.

La Commissione richiede all’interessato la sottoscrizione di una dichiarazione formale e scritta di solenne impegno, di fronte ai cittadini/consumatori, al non pagamento del pizzo in forme dirette o indirette e al rispetto della legalità nell’esercizio della propria attività economica, come condizione necessaria per l’inserimento e la permanenza nella lista degli operatori economici da sostenere. La lista viene diffusa e fatta circolare tra tutti i consumatori aderenti all’iniziativa. Il successivo eventuale accertamento da parte della Commissione del mancato rispetto dell’impegno assunto è motivo di cancellazione dalla lista.

Tra i risultati di maggior successo va segnalata la collaborazioni degli altri operatori economici e sociali sul territorio alla causa sposata dai ragazzi di Addiopizzo, ad esempio:

  • “Addiopizzo” è il nome che, in onore delle iniziative del Comitato, le forze dell’ordine hanno assegnato a cinque operazioni antiracket
  • Confindustria e Confcommercio si sono impegnate ad espellere i membri che pagano il pizzo
  • Banca Etica si è impegnata a garantire condizioni agevolate di prestito per le imprese aderenti al Comitato.
  • Nel 2011 viene siglato un protocollo d’intesa tra Confcommercio e Addiopizzo, per dare vita a una collaborazione sui temi della lotta al racket e per la diffusione della pratica del Consumo critico antiracket.

Un elemento, però, va evidenziato ovvero che la maggior adesione si è riscontrata in un quartiere palermitano in cui il livello di istruzione e la disponibilità di reddito è elevata: due fattori determinanti per la riuscita di progetti legati al consumo critico. Il comitato Addiopizzo raccoglie i consumi consapevoli non solo dei consumatori riuniti in gruppi di acquisto, ma anche e soprattutto da tutti quei consumatori individuali e non strutturati che autonomamente decidono che liberarsi il proprio territorio dalla mafia non è solo giusto, ma anche conveniente e questo dimostra come il consumo critico sia un fenomeno che va oltre l’associazionismo e come sia capace di dare buoni frutti anche solo attraverso l’agire individuale.

Concludendo, il caso di Addiopizzo, mostra come i cittadini utilizzino consapevolmente il consumo nella forma di strumento sociale di lotta alla mafia, in nome della autodeterminazione e della libertà di essere cittadini. Sembra essere l’esempio più adatto per mostrare come il consumerismo politico tende a contaminare sempre più i territori in virtù di una nuova consapevolezza sul potere di spesa e come, pur avendo un raggio d’azione ristretto e limitato, non è tanto il risultato quantitativo tangibile ottenuto dal consumo critico ad avere peso, quanto il risveglio delle coscienze che desiderano liberarsi dall’oppressione criminale.

Sonia Angelisi  – sociologa

 

[1] Forno F., La spesa a pizzo zero, Altraeconomia, Milano, 2011, p. 11-14

2 Addiopizzo è un movimento aperto, fluido, dinamico, che agisce dal basso e si fa portavoce di una “rivoluzione culturale” contro la mafia. È formato da tutte le donne e gli uomini, i ragazzi e le ragazze, i commercianti e i consumatori che si riconoscono nella frase “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.Addiopizzo è anche un’associazione di volontariato espressamente apartitica e volutamente “monotematica”, il cui campo d’azione specifico, all’interno di un più ampio fronte antimafia, è la promozione di un’economia virtuosa e libera dalla mafia attraverso lo strumento del “consumo critico Addiopizzo”. (http://www.addiopizzo.org/index.php/addiopizzo/chi-siamo/)

3 Forno F., La spesa a pizzo zero, Altraeconomia, Milano, 2011, p. 20

4 Forno F., La spesa a pizzo zero, Altraeconomia, Milano, 2011, p. 27

 


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