JOB ACT, TRA OPPORTUNITA’ DI LAVORO ED ERRORI DEL PASSATO

FRANCESCOI RAO GIUGNO 2015Job Act. Questo è il nome della recente norma che il Governo Renzi ha inteso promuovere per mettere ordine al mercato del lavoro. In Italia, dopo il pacchetto Treu, Legge 24 giugno 1997, n. 196, e  la riforma Biagi, Legge 14 febbraio 2003 n. 30, sono iniziate una serie di vicissitudini che di fatto hanno scardinato quel sistema, conosciuto da sempre e praticato da tutti, consistente in quella tipologia di contratto di lavoro, da molti chiamato a vita. La logica del posto di lavoro fisso, vissuto quotidianamente dal lavoratore sin  dall’età adulta per concludersi con il pensionamento, vedeva il tramonto con gli interventi normativi praticati tra il 1997 ed il 2003. Nella logica passata, in assenza di rari casi non intervenendo cambiamenti, la stabilità del posto di lavoro caratterizzava la società ed i benefici derivanti da quella continuità generavano una serie di aspettative, tranne l’immaginazione di un periodo di crisi come quello recentemente vissuto su scala planetaria.  Tutto ciò è tramontato velocemente e la flessibilità del lavoro, presa in prestito dagli esempi promossi da altre nazioni, con sistemi normativi differenti e con le consuetudini sociali colme di mobilità, ha creato in Italia l’incertezza e la disoccupazione a livello strutturale, senza risparmiare   alcuna fascia d’età. Sono in crescita le paure, sia dell’universo giovanile, sia della famiglie costrette ad offrire ai propri figli, anche con il protrarsi dell’età, la permanenza presso l’abitazione principale; di pari passo cresce l’incertezza.  Intanto il fenomeno della disoccupazione, soprattutto negli ultimi 15 anni, si è riversato sul tessuto sociale espandendosi a macchia d’olio. Come dimostrano i recentissimi dati ISTAT, i matrimoni ed i consumi hanno subito una sensibile contrazione. La crisi demografica, in parte viene compensata dalla crescente presenza di extracomunitari, ma la contrazione sociale, legata alla qualità della vita, diventa sempre più un problema che i diversi governi, hanno tentato di risolvere con misure tampone, senza comprendere la vera causa del fenomeno: in Italia i tempi non erano ancora maturi per avviare quella riforma del lavoro che ha dato origine a quanto oggi stiamo vivendo. Naturalmente i contratti  utilizzati durante questi 18 anni hanno dettato una regola a moltissime persone: lavorare senza i contributi previdenziali necessari per una pensione dignitosa. Oppure con il versamento di una quota minima di contributi. Ma perché? Tenterò di fare un piccolo esempio volto a dimostrare perché oggi si è arrivato al Job Act. Poniamo il caso che Tizio ha bisogno di un collaboratore per 20 giorni di lavoro. Caio era disponibile a lavorare, veniva stipulato un contratto per 1.000.000 di lire. Da tale importo 800.000 lire andavano nella tasca del lavoratore, 200.000 lire  venivano versate come Ritenuta d’Acconto allo Stato. Si noti bene, non è previsto alcun versamento nelle casse dell’Inps. Avremo di conseguenza due problemi evidenti: Caio non ha periodo contributivo e  non sono stati praticati i versamenti a favore dell’Inps, sempre più esposta al pagamento delle pensioni dovute ad un numero crescente di anziani. Chi dal 1997 ha iniziato a lavorare con questi tipi di contratti, godendo del lavoro interinale, forse non teneva conto della propria posizione previdenziale e, alla luce dei fatti pregressi, tra qualche anno si ritroverà fuori dal mercato del lavoro, con un pugno di mosche in mano. Problema che riguarderà tutti, in quanto il Governo dovrà pensare al Welfare di queste persone. Le diverse tipologie di contratti, in alcuni casi prevedevano i versamenti alla previdenza, ma tutto ciò si ripercuoteva sulla disponibilità effettiva della busta paga, in quanto, poniamo il caso che Caio era disponibile per un lavoro con un contratto co.co.pro. i 2/3 della previdenza erano a carico del datore di lavoro, 1/3 era a carico di Caio. Da ciò, dall’importo ricevuto, il lavoratore doveva 1/3 alla previdenza e, di conseguenza, pur risparmiando per il futuro accantonando piccole somme, il suo vincolo di bilancio si riduceva incidendo sulle difficoltà della quotidianità e sull’improvviso aumento dei prezzi con l’ingresso della moneta unica. Negli ultimi anni il fenomeno crescente è stato quello dei titolari di partita iva. Quest’ultimi, tentando di superare gli ostacoli imposti dalle varie modifiche sopravvenute nel tempo, hanno tentato di far fronte fingendosi liberi professionisti ma lavorando con un datore di lavoro. La Legge Fornero ha posto anche in questo caso dei limiti, ma per l’ennesima volta tutto è stato fatto tranne che risolvere il vero problema: la disoccupazione. Il Job Act, in realtà, secondo un mio personale parere, nel breve periodo farà crescere il numero degli occupati virtualmente (ogni contratto di lavoro, anche di un giorno, andrà trasmesso al Ministero del Lavoro) creando una distorsione della condizione reale che andrà ad incidere sulle aspettative reali. Nei dati recentemente diffusi, la disoccupazione è al 12,4 % ma nel  valore degli occupati, c’è anche il lavoratore che sottoscrive il contratto per 30 giorni o per tre mesi. Il dato incoraggiante è semplicemente uno: tutti verseranno una quota alla previdenza contribuendo a tutela dei pagamenti correnti delle pensioni. Forse era questo l’obiettivo del Governo Renzi?  Di sicuro nel medio periodo la disoccupazione tornerà nuovamente a salire, in quanto, per creare sviluppo occorre la stabilità che al momento non si riesce ad intravedere.

Francesco Rao    –  sociologo


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