IL GIOCO, METAFORA DI UN MODO DI VIVERE “REGOLATO”
Il gioco è più antico della cultura, e per questo esiste al di là di essa ne è al di sopra. Si può affermare ciò partendo dal fatto che la cultura nasce dalla convivenza umana, mentre il gioco non ha avuto bisogno dell’uomo per nascere: gli animali giocano, eppure non sono stati gli uomini a insegnare loro come farlo. Dal gioco ogni animale trae piacere, sia nelle sue forme più primitive che in quelle più articolate. Ogni gioco ha delle regole, ed ha un senso, non è cioè un’azione compiuta al puro scopo di sopravvivere; non è un istinto, ma nemmeno un principio spirituale. A cosa esso sia fine è una domanda che rimane ancora priva di una risposta definitiva. Il gioco nella sua essenza è divertimento, una reazione a molteplici input: dal bisogno di esprimersi, a quello di utilizzare la nostra energia repressa. Quello però che la scienza non riesce a spiegare è come mai il gioco sia un’azione piacevole.
È indipendente dalla ragione, perché altrimenti sarebbe limitato al mondo umano. Non è legato a nessun grado di civiltà, a nessuna filosofia, ma già negli animali esso oltrepassa i limiti fisici della realtà e sfocia in quelli dello spirito, in quanto esso rappresenta una “sovrabbondanza” rispetto alla vita reale.
Il gioco è regola: impone un modo di vita esattamente regolato al suo interno. Ha un momento di inizio e una fine, può essere interrotto, ripreso, tramandato e ripetuto nel tempo: si svolge in uno spazio ben determinato, scelto in anticipo. Esso crea un ordine assoluto, che domina entro gli spazi in cui viene svolto: è quest’ordine a conferire bellezza alla stessa attività ludica; ecco perché quest’ultima è in grado di incantarci e affascinarci, di catturare la nostra attenzione ed il nostro interesse. Ciò accade anche grazie all’elemento di tensione: esso è più o meno rivaleggiante; la tensione mette alla prova la forza del giocatore, che deve impegnarsi per cercare di vincere senza trasgredire alle regole, diverse per ogni gioco,e inconfutabili, perché altrimenti il gioco stesso non esisterebbe più.
Niente come il gioco ci restituisce il senso di un’appartenenza globale ad un insieme più vasto. L’atto ludico rappresenta una struttura complessa, una pluralità di esperienze che sollecita capacità progettuali e mette in gioco l’affettività e le conoscenze di ogni giocatore. Non si può fare a meno del gioco.
In questo senso è essenziale interpretare il gioco come una forma specifica di comunicazione.
Il gioco è un atto libero e volontario. Un bambino può non sentirsi a suo agio nel gioco, può non giocare eppure rispettare apparentemente tutte le regole. Molti giochi di tradizione conoscono questa dinamica ed hanno previsto la possibilità di “uscire dal gioco” senza rompere il gioco, senza interromperlo.
Il gioco esprime così una libertà individuale fondamentale per il benessere della persona. I giochi rappresentano quindi il versante normativo della questione.
Roger Caillois (1) nel libro “I giochi e gli uomini” propone una partizione dei giochi in quattro grandi categorie che corrispondono a quattro piaceri fondamentali:
Il piacere della competizione: l’agon (2) affrontarsi, collaborare, opporsi, misurare nel gioco le proprie capacità, sviluppare forme diverse di adattamento all’ambiente. La competizione non va appiattita sull’agonismo esasperato, ma non può essere neppure negata come componente essenziale della natura stessa del gioco e dei giochi. La competizione implica la stima dell’altro, il rispetto.
Il piacere dell’azzardo: l’alea, il gioco provoca una sfida non sempre regolata da elementi troppo oggettivi. Il piacere di confrontarsi con il caso, con il destino. Tutti i giochi hanno una parte di azzardo, ma è evidente, anche dal punto di vista culturale, la significatività dei riti di sfida di forze che ci superano.
Il piacere della vertigine: l’ilinx (3), non si può stare sempre con mani e piedi incollate al terreno. Il gioco stimola il piacere del non stare sempre in perfetto equilibrio; c’è il piacere dell’avventura, del rischio che si esprime in modi molto diversificati. Alcuni hanno parlato di “flirt” con la morte. È l’audacia calcolata che ci permette di affrontare ansie, paure.
Il piacere del travestimento: la mimicry (4), la possibilità di essere “altro da sé”, di evadere, di uscire dal proprio personaggio, di sperimentare, in un cerchio protetto, altre forme della nostra identità. Giochiamo con noi stessi, prendiamo le distanze dalle costrizioni abituali della nostra vita, ma è anche la ricostruzione ludica dei meccanismi di quello stesso mondo. Giocare a “far finta di” è il gioco più antico ed immediato degli esseri viventi. È il sale stesso della comunicazione.
Secondo Huizinga (5), il gioco non si contrappone alla serietà, in quanto può anch’esso essere serio. Gli umani possono giocare con la massima serietà: l’attività ludica non è connessa al riso, e tra l’altro, il riso è proprio dell’uomo: l’animale non può ridere, ma può giocare. Il riso non è però un riso comico: il comico è strettamente legato alla follia, mentre il gioco è situato al di fuori del concetto saggezza-follia, così come da quello di verità-falsità, bene-male, né peccato né virtù.
Sin da bambini il massimo scopo nella vita è ricevere lodi, il che è espressione della massima perfezione di sé. Per le mentalità antiche la virtù era qualcosa di innato, una proprietà che varia per forma e qualità da individuo a individuo: ognuno ha una propria virtù. Essa è spesso connessa alla virilità e richiama quindi sempre il nostro sopracitato onore cavalleresco, di cui si è già parlato. Da Aristotele il premio della virtù è chiamato ”onore”, cui si aspira per convincersi del proprio valore.
E il miglior modo per dimostrare quest’ultimo è gareggiando, ovvero giocando. Così l’attenzione greca nei poemi omerici si sposta non sull’atto della guerra in sé ma sull’onore del singolo: non è importante vincere quanto dimostrare di essere eroi.
C’è, poi, un ultimo aspetto che vale la pena considerare a proposito del gioco: è il rapporto possibile in chiave interculturale
Il gioco può diventare strumento di sviluppo interculturale inteso come teoria e pratica del diritto alla differenza, come educazione aperta e non certo come strumento più o meno consapevole di omogeneizzazione, o veicolo di valori astratti.
L’esempio più evidente è lo sviluppo di determinati sport che soprattutto nell’ultimo secolo è stato possibile anche in paesi dalle diverse tradizioni culturali: pensiamo all’universalità del Calcio, che va conquistando tifosi e praticanti in area geografica – Africa, Asia, Nord America – dove un tempo non era affatto considerato; pensiamo a esperienze uniche alle quali abbiamo assistito nelle più recenti edizioni delle Olimpiadi, alla squadra di bob su ghiaccio della Giamaica.
L’apprendimento interculturale si fonda e si alimenta su forme di apprendimento trans cognitive, ovvero sulla maggiore o minore capacità di “locomozione” da un atto cognitivo all’altro, da una forma mentis all’altra. La pedagogia interculturale può allora consistere nell’educare non semplicemente alla conoscenza delle differenze, riscontrabili inevitabilmente in un soggetto di origine culturale diversa, ma nell’educare alla transitività cognitiva che potrebbe favorire processi quali:
la permeabilità nei confronti dei punti di vista altrui;
la sintonizzazione con pensieri formatisi in altri contesti;
l’integrazione strategica in modo che il confronto non dia vita solo alla conoscenza reciproca o alla conoscenza tematica di uno stesso problema visto da angolazioni diverse.
In fondo, a ben pensarci, la questione fondamentale è il superamento della monoculturalità che enfatizza la dimensione statica dell’essere. Il gioco ed il giocare possono essere utili in questo sforzo di superamento.
Riprendendo Gregory Bateson (6) credo che occorra davvero abituarsi a pensare alla cultura non come ad una struttura fissa, ma come una “danza di parti interagenti”. E questo significa imparare non ad appiccicare etichette rigide, ma a pensare e vivere attraverso relazioni e contesti rinnovati che valorizzino l’idea che la conoscenza è il frutto dell’attenzione e della reazione a differenze e che l’essenza dell’apprendimento non sta nella ripetizione prevedibile, ma nell’esplorazione e nel cambiamento.
NOTE
1) Caillois ‹kaiu̯à›, Roger. – Scrittore francese (Reims 1913 – Parigi 1978). Studiò all’École normale supérieure (1933-37) e fu allievo di M. Mauss e di G. Dumézil. Aderì al surrealismo, quindi animò con G. Bataille il Collège de sociologie. Esiliatosi in Argentina, collaborò alla rivista Sur e promosse Lettres Françaises. Tornato a Parigi nel 1945, lavorò presso l’UNESCO e creò la collana latino-americana La Croix du Sud, nonché, dal 1952, la rivista Diogène, incentrata sulla nozione di “scienze diagonali”, su cui fondò tutta la sua opera. Razionalista attirato dall’irrazionale, studiò il mito, il sacro, il giuoco, la guerra, nonché l’importanza dell’immaginazione, del sogno e del fantastico, ed elaborò una nozione di “poetica generalizzata”, fondata sull’analogia, raggiungendo i più alti risultati stilistici in Pierres (1966), che ebbe un seguito in Pierres réfléchies (1975). Dal 1971 fu accademico di Francia.
2) Agon ( greco classico ἀγών ) è un’antica parola greca in riferimento a diverse cose. In generale, il termine si riferisce ad una lotta o di concorso. Nel suo senso più ampio di una lotta o di concorso, Agon cui una gara di atletica, carro, o corse di cavalli, musica o la letteratura in un festival pubblico nella Grecia antica.
3) Ilinx è una sorta di gioco , descritta dal sociologo Roger Caillois , una figura importante in studi di gioco . Ilinx crea una temporanea interruzione della percezione, come vertigini , capogiri, o cambiamenti disorientanti in direzione del movimento: “… Si basa sulla ricerca di vertigini e che sono costituiti da un tentativo di distruggere momentaneamente la stabilità della percezione e infliggere una sorta di panico voluttuoso su una mente lucida altrimenti. In tutti i casi, si tratta di cedere a un genere di spasmo, convulsioni, o scossa che distrugge la realtà con brusco sovrano”.
4) Mimetismo, in biologia, fenomeno caratterizzato dalla superficiale somiglianza di due o più organismi che non sono strettamente correlati tassonomicamente. Questa somiglianza conferisce un vantaggio, come la protezione da predazione-su uno o entrambi gli organismi attraverso una qualche forma di “flusso di informazioni” che passa tra gli organismi e l’agente animato di selezione. L’agente di selezione (che può essere, ad esempio, un predatore, un simbionte, o l’host di un parassita , a seconda del tipo di mimetismo rilevato) interagisce direttamente con gli organismi simili ed è utile la loro somiglianza. Questo tipo di selezione naturale mimica distingue da altri tipi di somiglianza convergenti che derivano dall’azione di altre forze della selezione naturale ( ad esempio, temperatura, abitudini alimentari) sugli organismi indipendenti.
5) Johan Huizinga (Groninga, 7 dicembre 1872 – Arnhem, 1º febbraio 1945) è stato uno storico olandese. Docente di storia moderna all’università di Leida dal 1915 al 1942, Durante l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi, dal 1940 in poi, Huizinga sostenne il valore della libertà soprattutto per la ricerca scientifica. Per questo venne arrestato dai tedeschi nel 1942 e tenuto prigioniero a De Steeg, una località nei pressi di Arnhem, fino alla sua morte. Nel 1938, Johan Huizinga propose un fondamentale tentativo di definizione del gioco come centro propulsore di tutte le attività umane, da cui si sviluppa tutta la cultura nelle sue diverse forme. Gregory Bateson (Grantchester, 9 maggio 1904 – San Francisco, 4 luglio 1980) è stato un antropologo sociologo e psicologo britannico, il cui lavoro ha toccato anche molti altri campi (semiotica, linguistica, cibernetica…).Varrebbe forse la pena considerarlo provocatoriamente prima di tutto un filosofo, nel senso “classico” del termine, per la sua inimitabile capacità di passare da un campo all’altro dello scibile umano creando sintesi originali spesso descritte come olistiche. In vita, Bateson fu famoso soprattutto per aver sviluppato la teoria del doppio legame per spiegare la schizofrenia.
6) Gregory Bateson (Grantchester, 9 maggio 1904 – San Francisco, 4 luglio 1980) è stato un antropologo sociologo e psicologo britannico, il cui lavoro ha toccato anche molti altri campi (semiotica, linguistica, cibernetica…).Varrebbe forse la pena considerarlo provocatoriamente prima di tutto un filosofo, nel senso “classico” del termine, per la sua inimitabile capacità di passare da un campo all’altro dello scibile umano creando sintesi originali spesso descritte come olistiche. In vita, Bateson fu famoso soprattutto per aver sviluppato la teoria del doppio legame per spiegare la schizofrenia.