GIOCO… ERGO SUM, IL VALORE DEL GIOCO NELL’AGIRE EDUCATIVO

NATALIA COGLIANDRO FOTO MAGGIO 2015Il gioco è l’attività elettiva e caratterizzante l’età infantile. Non esiste bambino al mondo, qualunque sia il colore della pelle o la lingua parlata, che non abbia mai giocato. Difatti un elemento caratterizzante l’attività ludica è proprio la sua universalità, capace di abbattere le barriere della comprensione linguistica e persino della disabilità. È meraviglioso e stupefacente ammirare le modalità e la funzionalità con la quale i bambini che pur non condividendo lo stesso codice verbale, ma il medesimo obiettivo, quello di giocare, riescano nel comune intento con la disponibilità di un semplice oggetto quale, ad esempio, la palla. Gli elementi che rendono possibili tali dinamiche sono rintracciabili nelle caratteristiche intrinseche del gioco, quali la spontaneità, la gratuità, la libertà e lo schietto entusiasmo.

Il gioco abbatte anche le barriere del tempo: esso esiste sin dai tempi antichi, come dimostrano le numerose raffigurazioni pittoriche, scultoriche e decorative, rappresentanti bambini che giocano, e i numerosi giocattoli che archeologi hanno rinvenuto durante gli scavi. La differenza sostanziale si riscontra nella tipologia di giocattolo, sicuramente anticamente molto semplice e tecnologicamente poco sofisticato, spesso costruito e ideato in famiglia da adulti o dai bambini, altre volte da artigiani specializzati nella costruzione degli stessi.

La domanda, a tal punto, nasce spontanea: cosa rende il gioco universale e continuo nel tempo? Perché esso è presente in tutti i popoli del mondo sin dai tempi più antichi?

La continuità e universalità del gioco è legata ai bisogni del bambino: il bambino attraverso il gioco ha la possibilità di soddisfare e rispondere alle proprie esigenze evolutive e formative.

Alcuni studiosi si sono occupati e interessati al gioco come strumento educativo. Lo stesso Fröebel, sostenitore della concezione naturale dell’educazione, che lascia grande spazio alle necessità e desideri del bambino, sostiene che “i giochi educativi” siano il mezzo capace di offrire l’opportunità al bambino di agire e produrre, per poter soddisfare così i propri bisogni senza limiti e costruire le basi del processo di formazione che lo porterà all’edificazione della propria personalità. Attraverso tali  giochi, infatti, si vuole portare il bambino ad utilizzare tutte le sue risorse e sviluppare l’intelligenza senso-motoria, di passare dal concreto all’astratto, da quell’intelligenza che Piaget definisce delle operazioni concrete e perseguire la rappresentazione mentale dell’azione.

Il gioco, inoltre, è per il soggetto in formazione un’esperienza totale, coinvolgente tutto l’essere, fonte di gioia e intima gratificazione. L’attività ludica si rende esplicita in una molteplicità di espressioni e di articolazioni: sensoriale, motorio, verbale, imitativo, simbolico, affettivo, sociale, spontaneo, organizzato, sportivo ecc..

Si può asserire che esso si pone al servizio dell’educazione come veicolo naturale dello sviluppo mentale, mezzo di costruzione e di consolidamento delle strutture cognitive, in grado di garantire un equilibrato sviluppo emotivo-affettivo e un armonico sviluppo senso-motorio.

Vengono riconosciute al gioco 3 funzioni principali, che sono in grado di mettere in evidenza le potenzialità racchiuse nel fenomeno ludico: la funzione diagnostica; la funzione terapeutica; la funzione socializzante

LA FUNZIONE DIAGNOSTICA del gioco interessa l’educatore, l’insegnante e il genitore, in quanto essa permette di inferire una più approfondita conoscenza del bambino, consente di meglio orientare l’azione educativa. Il comportamento anomalo del bambino nel gioco è rivelatore di abnormi dinamiche intrafamiliari o comunque di problemi, conflitti e angosce che lo turbano, spesso riflettendosi negativamente sul profitto e sull’adattamento scolastico. Il gioco inoltre, ad un osservatore attento, offre elementi di valutazione sul livello di maturazione globale e cognitiva. Infatti i giochi hanno un andamento ascensionale lungo l’arco dell’età evolutiva che va dal semplice al complesso, dal facile al difficile, dal gioco senso motorio a quello simbolico, dal gioco egocentrico a quello sociale.

LA FUNZIONE TERAPEUTICA del gioco fa riferimento all’esperienza ludica come reale vissuto terapeutico, in quanto obbediente prevalentemente a motivazioni inconsce. Questa particolare funzione assume differenti manifestazioni e modalità di espressione, avvalendosi della fantasia compensatoria e operando generalmente sul piano simbolico. Così, per esempio, il bambino maltrattato o deprivato affettivamente riverserà sulla bambola o sull’orsacchiotto di peluche le cure e le attenzioni di cui sente la mancanza. Il gioco simbolico permette quindi al bambino di attenuare o compensare vissuti angosciosi e frustanti. L’esperienza ludica fondata su sequenze iterative rafforza il campo della sicurezza del bambino, poiché permette di provare e ripetere all’infinito una situazione angosciosa e frustante, trasformandola da subita in agita. Ancora nella finzione ludica il bambino può rinnovare un’esperienza traumatica, come un incidente automobilistico o un intervento chirurgico.

LA FUNZIONE SOCIALIZZANTE del gioco indica quest’ultimo come veicolo privilegiato della socializzazione. Tutti i giochi non individuali e persino quelli più competitivi pongono il soggetto in rapporto attivo, anche se a volte conflittuale, con i coetanei. Il bambino viene inserito in una fitta rete di interazioni nella quale si costruisce la personalità in tutti i suoi aspetti e lo abituano a uniformarsi alle aspettative e alle attese del gruppo e a rinunciare al proprio individualismo asociale.

Si può ben comprendere, quindi , quanto il gioco sia importante, stimolante e funzionale al bambino/ragazzo che lo agisce e per colui che è responsabile della sua educazione.

Per il bambino esso rappresenta una modalità di sviluppo e formazione, capace di offrire esperienze in cui il soggetto si possa sperimentare e acquisire e potenziare le proprie abilità legate alle tappe dello sviluppo fisiologico, cognitivo, emotivo- affettivo, relazionale.

Per l’educatore (genitore, insegnante, pedagogista clinico, ecc…) il gioco costituisce un metodo, una strategia per mezzo della quale accompagnare, favorire, potenziare e aiutare il bambino o ragazzo in un armonico percorso di crescita. Esso consente di individuare i bisogni e disagi e, al tempo stesso le abilità, potenzialità e disponibilità della persona; al contempo offre l’opportunità, nell’agire educativo, di aiutare il soggetto a ritrovare o perseguire pienezza e consapevolezza del suo essere.

Il titolo si rifà alla locuzione “cogito ergo sum” (penso dunque sono), formula con la quale Cartesio vuole esprimere la certezza che l’uomo ha di se stesso in quanto soggetto pensante: egli nel dubbio della sua esistenza, ne trova la certezza, proprio perché pensa. Credo che allo stesso modo il bambino, trova significato del suo essere, in quanto soggetto giocante: egli coglie consapevolezza del suo essere nel mondo attraverso l’agire dell’esperienza ludica. L’infanzia, pertanto, è sinonimo di gioco: una correlazione fisiologica e imprescindibile. Pur essendo di considerevole importanza nella vita del bambino, nella nostra società, il gioco viene penalizzato per diverse cause: purtroppo gli spazi dedicati e concepiti per il gioco, nelle aree urbanizzate, sono spesso inesistenti o comunque poco curate; gli accelerati ritmi lavorativi, non consentono ai genitori di giocare con i propri figli o semplicemente di osservarli nelle loro attività ludiche; la scuola continua per molti aspetti ad essere un’istituzione non formativa e educativa, ma istruttiva; i giochi maggiormente diffusi e che anche i genitori prediligono, perché meno rumorosi e chiassosi, sono quelli elettronici. Come molti studi scientifici dimostrano, conseguenza di tali modificazioni di atteggiamenti sociali, maggiormente percettibili nelle aree urbanizzate, è stata un progressivo aumento di patologie psicotiche e cliniche, di disturbi di apprendimento e di difficoltà relazionali. In seguito alle considerazioni sopracitate, credo sia opportuno e necessario pervenire ad una presa di coscienza comune del valore e delle potenzialità intrinseche del gioco, che offrono un’opportunità di sviluppo e formazione significativa per il raggiungimento di un’auspicabile benessere della persona, durante il proprio percorso di crescita. Considerato ciò, si rende necessario avviare un cambio di rotta, una modificazione di pensiero e atteggiamento, a diversi livelli, che permetta di riacquisire il gioco come modalità e strategia fondamentale dell’agire educativo.

Natalia Cogliandro (pedagogista clinico)

 


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