SPORT, COESIONE SOCIALE, GIUSTIZIA SPORTIVA E INGRATITUDINE : IL CASO REGGINA CALCIO
Lo sport è un importante elemento di coesione sociale. Ogni comunità si aggrega per le gesta della propria squadra di calcio, di basket o impegnata in altre discipline più o meno popolari. Lo fa nei momenti di gloria del sodalizio di riferimento, in questo caso esaltandosi, ma lo fa anche nel periodo in cui la squadra del cuore attraversa un momento di crisi tecnica, societaria e, soprattutto, di risultati. In questo caso, l’entusiasmo lascia il posto alla delusione, ma rimane accesa la fiammella della speranza. Scema l’entusiasmo, è vero, ma la fede (ovviamente sportiva) rimane intatta. E rimane anche l’orgoglio, alimentato dalle imprese del passato che contribuiscono a rafforzare le radici socio- sportive e la tradizione di un popolo. Come nella vita, anche nello sport quando si cade in “disgrazia” la strada del riscatto è disseminata di ostacoli: naturali o artificiali. A volte da entrambi. E’ il caso della Reggina Calcio che, dopo nove campionati di serie A, tanti altri nella cadetteria, da un paio di tornei è precipitata nel limbo della serie C e, al termine di questa stagione, quasi certamente, raggiungerà il punto più basso della gestione del presidente Foti.
Il calcio italiano è in crisi e quasi tutte le società, dalla massima serie fino ai dilettanti, devono fare in conti con i bilanci in rosso. Grandi club hanno evitato il fallimento grazie all’aiuto di magnati stranieri, altri , come il Parma, sono ad un passo dal baratro. Se alla crisi finanziaria dei club, dovuta, forse, alla scarsa lungimiranza dei propri dirigenti, si aggiunge una sorta di accanimento nella richiesta d’applicazione di norme sportive, che non terrebbero conto delle linee guida indicate dal Consiglio Federale (come sostiene la Reggina Calcio in relazione al suo ultimo deferimento innanzi al Tribunale Federale Nazionale), appare poi difficile gestire il dissenso sportivo che spesso diventa la scintilla per proteste legate alla situazione sociale, economica ed occupazionale di interi territori. Dallo Stretto di Messina all’opulenta Milano, dalla ricca Parma alla Puglia, dal Veneto alla Sicilia il calcio è malato, anche se non manca qualche isola felice. Ed allora come dare torto al popolo amaranto quando usa parole forti – come accanimento, persecuzione, resa dei conti – per denunciare questa vera o presunta ingiustizia? Silenzio e rassegnazione sono l’anticamera della codardia.
Questa terra, infatti, sembra abbia perso finanche il sentimento dell’indignazione. E non vorremo che dopo lo scioglimento del Consiglio comunale per presunta contiguità mafiosa (diversamente dal trattamento riservato al Comune di Roma: i fatti venuti a galla dall’inchiesta “mafia Capitale” sono ben più gravi di quelli a suo tempo contestati all’Amministrazione di Palazzo San Giorgio) sia partita la campagna contro la Reggio sportiva. E’ successo anche al Coni ( che il palazzo romano ha deciso di commissariare in nome di una ridicola “incompatibilità caratteriale” del suo presidente, quel Mimmo Praticò che allo sport ha solo e sempre dato) e adesso sembra essere il turno della Reggina. Non faccio il difensore d’ufficio di Lillo Foti, il Presidente sa difendersi da solo. Sto semplicemente sostenendo che la Reggina ( come d’altronde la Viola) fanno parte del patrimonio storico di Reggio che noi tutti, soprattutto come cittadini, abbiamo il dovere di difendere da chi, a torto o ragione, tenti di metterla definitivamente in ginocchio. Quel carro del vincitore – sul quale presero posto, politici, amministratori, manager, sportivi, commercianti, imprenditori e tanti altri personaggi in cerca d’autore – è ormai abbandonato in prossimità del greto del torrente Sant’Agata: location dove una squadra di provincia scrisse una della pagine più belle del calcio nazionale. Dopo i tanti fasti, sono certo che questo sito sportivo non diventerà una delle cattedrali a luci spente di cui la Calabria, purtroppo, è satura.
Noi reggini siamo un popolo dalla memoria labile. Forse troppo labile. Parte di questo popolo, che si definiva amaranto e che fino a qualche anno fa osannava il Presidente, è in balia di un’opinione pubblica eterodiretta. Cercare un capro espiatorio a tutti i costi – Foti può anche aver sbagliato – significa ridurre in ceneri quanto è rimasto di quel modello Reggina che, in un recente passato, ha permesso a noi tutti di gonfiare il petto. Mi chiedo cosa sia rimasto di quell’orgoglio di ieri se oggi lasciamo solo un uomo che è in giro per il mondo nel tentativo di salvare un pezzo del nostro passato socio-sportivo?