COME I SOCIAL HANNO CAMBIATO IL NOSTRO MODO D’AMARE, IL BRACCIO DI FERRO TRA SENTIRE E ANESTESIA.

di Sofia Pulizzi

I sentimenti sono emozioni antiche come il mondo eppure le loro dinamiche non smettono mai di sorprenderci. I sentimenti sono mutati insieme a noi e nel corso degli anni, hanno attraversato diverse ere… oggi parleremo della nostra, di quella in cui stiamo vivendo. Sociologi e psicologi non smettono di indagare, approfondire e scrivere riguardo questo tema, perché il nostro cervello, quando si tratta d’amore, è davvero incredibile. Cristina Obber, giornalista e attivista, concludeva un suo saggio in questo modo “Mancano rassicurazioni in ogni ambito e la conseguenza è che stiamo razionalizzando l’amore, che invece è una dimensione di rischio, nella sua inquietudine trova la sua spinta e in questa, il nostro corpo, vive.”                                                                                                                                                                     

Come ben sappiamo, viviamo nell’era del digitale, dove l’importante non è essere felici ma fare bella figura,  regna una sovraesposizione non solo dei soggetti famosi, dei volti noti della tv, ma anche di gente comune, che, o per imitare qualcun altro o semplicemente perché sono figli della loro epoca, espongono ogni ambito della loro vita sui social network. Tendiamo a mostrare il bello, tendiamo a manifestarci invidiabili per la vita che facciamo, per quello che possediamo, perché in fondo cos’è quello a cui aspirano tutti? Essere NOTATI, ESSERE VISTI, far sapere che esistiamo a questo mondo e che la gente si ricordi di noi, questo ci importa, ma ancor di più: essere amati. Per tale motivo non facciamo altro che mostrarci sui social nella speranza che qualcuno rimanga colpito dai nostri contenuti, dal nostro stile di vita o semplicemente dal nostro aspetto e ci faccia entrare nella sua vita, ci faccia sentire apprezzati. Si fa presto a capire però che tutto questo ci fa rimanere ad un livello superficiale delle relazioni umane, perché una persona non può esistere solo tramite i contenuti che pubblica, non è la macchina che sfoggia sui social né tantomeno l’aperitivo che fotografa con la sua cerchia di amici. Conoscere e amare qualcuno significa apprendere il suo funzionamento, capire come funzioniamo a livello mentale, caratteriale, sapere in anticipo come reagiremo, sapere cosa ci piace e cosa ci infastidisce, sapere i traumi che abbiamo vissuto, questo significa conoscere qualcuno e per farlo c’è bisogno di tempo, empatia, cose incompatibili con il rapido mondo social, per questo non possiamo avere la pretesa di conoscere qualcuno solo da quello che decide di mostrare sulle sue piattaforme personali. Instagram, Facebook, TikTok, ci hanno tutti un po’ abituati al bello, a mostrare bellissime vacanze, cene in posti lussuosi, oggetti costosi, immagini di coppie felici, ma è davvero così? Tutto questo ci sta un po’ anestetizzando e ci sta facendo perdere di vista un po’ la realtà; la realtà è che la vita è fatta di luci sì, ma anche di ombre e quando arriveranno le ombre, sapremo gestirle? I social ce l’hanno insegnato questo?

Amare non è non provare e non provocare emozioni negative nell’altro, anzi questo significa avere rapporti completi, questo scrive Stefania Andreoli nel suo libro “Vivere le relazioni nell’era del narcisismo” e non potrebbe trovarmi più d’accordo. A volte è anche necessario ferire gli animi di chi amiamo pur di essere onesti con loro, è necessario non dirgli solamente ciò che vogliono sentirsi dire, è necessario essere duri con loro per far scaturire un cambiamento o miglioramento. L’amore non è una sala operatoria asettica e protetta da contaminazioni esterne: è tutto il contrario, noi esseri viventi siamo portatori dei nostri virus, di batteri emotivi che sporcano e corrodono i nostri sentimenti. Siamo formati da retaggi culturali, trasmessi dalla famiglia d’origine che ci risuonano nella testa, facendoci auto convincere del fatto che amare significhi stare sempre e solo bene, dentro relazioni impeccabili con partner che non sbagliano mai. Ci inculcano che devono essere bandite le emozioni scomode, in questo modo si trasferiscono messaggi fuorvianti, poco realistici e poco funzionali perché quando poi queste generazioni incontreranno dei problemi in coppia e non solo, non sapranno come gestirli. Il rifugiarsi nella negazione delle difficoltà, nell’annullamento delle domande, auto convincersi che le cose vadano bene, sono “soluzioni” contro la paura. Paura della verità, del dolore, del sentirci addosso sensazioni negative, paura della morte, del fallimento, del nonsenso, della solitudine, del confronto, paura di non capire e non essere capiti, paura dei nostri istinti, paura di noi stessi e paura degli altri.

Sembra proprio che noi stessi siamo i primi a sabotarci, una forma di sabotaggio è il fatto di non chiederci nulla, proprio perché ormai abbiamo tutto pronto, con la nostra amica tecnologia a portata di mano. Non ci chiediamo niente perché la paura di pensare ci uccide, siamo i primi a ignorarci o ignorare i segnali che ci manda il nostro corpo, mente e cuore.  Non domandare nulla a noi stessi implica non darci la possibilità di scoprire cosa si cela dentro di noi, impedisce di fare pensieri critici e di scoprirci. E’ tutto un  “non lo so, non ne sono sicuro/a” nessuno si da più una spiegazione per come agisce, oppure ci si è dati una spiegazione tempo fa e ce la siamo fatti bastare per il corso degli anni, ma questa spiegazione non l’abbiamo più portata a fare una revisione, preferiamo non pensare per non scombussolarci troppo, perché non abbiamo coraggio. Non vogliamo ricevere domande che ci riguardano perché siamo gli unici competenti in materia di noi stessi e questo ci mette timore, abbiamo paura dell’elettricità, delle scintille, di un contatto reale a un livello ben più profondo, ben più sotto la pelle: nervi a nervi, nudi e scoperti. Ci concentriamo più su conversazioni di circostanza, sul descrivere cosa abbiamo fatto durante la giornata, raccontarci i nostri hobby e cosa cucineremo per cena, parliamo dei nostri impegni, magari ci diciamo anche parole dolci per abitudine ma ci ascoltiamo mai dentro veramente? E non parlo del nostro umore, parlo di qualcosa di più profondo, delle insicurezze che ci accompagnano, delle paure che ci turbano e di cosa non ci fa essere sereni al cento per cento, della nostra storia di vita che ci ha resi così come siamo. Abusiamo dei telefonini, delle uscite serali, ci cimentiamo in innumerevoli attività pur di non stare a casa fermi a pensare, ci fate caso? Ma se è vero che, con tutti questi espedienti cerchiamo di annientare il dolore, ci siamo ammalati della paura di sentire qualunque cosa. Come credete sia possibile incontrare l’amore vero, a queste condizioni?

La sociologia delle emozioni ci dice che per stare al passo con i ritmi imposti dall’esperienza moderna, gli individui agiscono principalmente attraverso l’intelletto, amano con il cervello, non con il cuore, per proteggere la propria sentimentalità dall’accelerazione e dal mutamento continuo. Il prezzo che si paga però è alto, l’amore viene “calcolato” non “sentito” le relazioni risultano private del loro ingrediente fondamentale: l’emotività, perché distacco e indifferenza diventano le emozioni prevalenti. Vogliamo proteggere il nostro “sentire affettivo” e questo sembra imporre una manifestazione costruita e artificiale di sentimenti o stati emozionali che spesso non sono quelli autentici provati dal soggetto. Perciò viviamo tra il desiderio di fonderci con qualcuno per i sentimenti forti che sentiamo ma, per via dell’ansia di non perdere la propria individualità, finiamo per attaccarci a qualcuno che sia “tiepido” né gela, né brucia o addirittura finiamo per non attaccarci a nessuno. Le persone forti, i sentimenti forti ci fanno paura, preferiamo evitarli piuttosto che viverli. Ma che vita sarebbe senza? So che terrorizza, che può far male, che non ne siamo capaci, ma più di tutto che non ne possiamo fare a meno. L’amore è, tra le tante cose, anche caos perché le persone sono un caos. Siamo solo persone che per rimanere umane devono commettere il gesto eroico di rischiare di amare qualcuno, quando spesso vorrebbero solo essere lasciate in pace per evitare lo scoppio della guerra, perciò a volte la cosa giusta ci sembra sbagliata e la cosa sbagliata ci sembra quella più giusta, ma privarci di sentire che spreco! Privarci di sentire cose forti, nel bene e nel male, non equivale a vivere; al contrario, chi vive di questo, chi vive d’amore, VIVE, non appassisce.

Dott.ssa Sofia Pulizzi, sociologa e criminologa


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