LA FIGURA PATERNA NELLA SOCIETÀ ATTUALE
Nell’epoca odierna, che ha bandito dal proprio orizzonte il concetto di limite, abitata da individui che prima di essere cittadini sono consumatori, dove il godimento del singolo, vorace e sregolato, soffoca il confronto con l’Altro aprendo le porte della città alla violenza, diventa necessario ed urgente di ristabilire l’operatività della Legge dell’interdizione, per trasmettere il dono del desiderio.
Ripensando Freud, ragioniamo sulla mitica figura di Ettore, il padre-eroe che sa essere, allo stesso tempo, guida etica che instaura autorevolmente la Legge e figura amorevole nei confronti del figlio; su quella di Jacob, il padre-troppo-umano di Freud, inerme di fronte alle difficoltà della vita, che segna la scomparsa del Padre-Ideale, la cui figura è tramontata a favore del padre-castrato, piegato dal peso della miseria umana.
Lacan, invece, si confronta con il declino del ruolo ideale e normativo della paternità tramite il riferimento a due eventi storici, irrimediabilmente distanti l’uno dall’altro e, tuttavia, entrambi esemplificazione eclatante del fraintendimento che ha investito la funzione paterna: l’avvento dei totalitarismi e la contestazione sessantottina. Da un lato, l’affermazione delirante dei padri folli, figure autoritarie che si impongono promettendo stabilità, sicurezza e protezione dalle incertezze della vita; dall’altro, la proclamazione del sopravvento della singolarità più estrema, come risultato della critica radicale e del rifiuto dell’eredità della società patriarcale.
La scomparsa dell’Ideale provoca lo smarrimento del desiderio, si insinua – con prepotenza, con astuzia abbagliante – la dittatura dell’oggetto, dove la Legge dell’interdizione viene aggirata dalla pulsione insaziabile e avida che non tollera il confronto con l’assenza. L’oggetto, solido ed affidabile, permette l’accesso diretto alla Cosa e si sottrae all’incontro rischioso con l’Altro, condannando l’individuo ad un’insoddisfazione permanente. Lacan individua la funzione simbolica della paternità nel saper unire e non opporre il desiderio alla Legge: il Padre deve operare un taglio simbolico che è, allo stesso tempo, interdizione-trauma e donazione della facoltà di desiderare il proprio specifico desiderio. Se questo nesso manca, se la vita non viene umanizzata, si verificherà il trionfo di una Legge folle e invasata, oppure di un godimento compulsivo e sregolato, entrambi caratterizzati da un’assenza mortifera di desiderio.
A prescindere dalle variegate forme che la famiglia, come istituzione culturale, può assumere in forza dei cambiamenti storici a cui è soggetta, non muta la funzione educativa che la stessa è chiamata a svolgere e che si estrinseca nell’adozione simbolica di una vita attraverso la sua accoglienza ed umanizzazione.
Il riconoscimento passa anche attraverso lo scontro tra il bisogno di sentirsi parte di una comunità e la necessità urgente dell’erranza e dell’allontanamento dal nucleo originario per trovare e percorrere la propria strada. La dialettica tra questi due poli opposti della soggettività umana vivifica il vincolo familiare, che deve saper rendere possibile l’appartenenza pur riuscendo a sostenere la separazione e la differenziazione. Se il confronto si interrompe, sarà il conformismo, impedimento alla individuazione e all’emersione di un desiderio singolare, oppure il narcisismo, negazione di qualsiasi debito simbolico con l’Altro, a conquistare il sopravvento.
L’obiettivo dovrà essere il raggiungimento di un equilibrato svolgimento di questa dialettica, che però passa inevitabilmente attraverso il conflitto, che non sfocia in violenza solo se, nel rapporto genitori-figli, compaiono figure adulte che siano in grado di sostenere il peso dell’interdizione simbolica e che sappiano rappresentare una differenza generazionale.