UNA COMUNITA’ IN RETE,TRA SOLITUDINE E ISOLAMENTO
Dopo l’Ipad, spengo anche il telefonino. Non voglio essere messo in pausa dalla tecnologia. Per scelta, voglio rimanere offline. Perché non lo fate anche voi? Per una manciata di minuti il nostro rapporto probabilmente assumerà una dimensione più umana, senza l’intrusione della tecnologia nel nostro modo di interagire. Ho spento il telefonino e l’Ipad perché voglio rimanere nell’aula Wolf, guardare negli occhi i miei amici Antonio, Pietro, Massimiliano, con i quali, solitamente, dialogo attraverso i social network.
Noi tutti siamo diventati cittadini di un mondo in cui la tecnologia ha velocizzato al massimo la nostra vita e ci costringe a produrre di più e più in fretta. L’individuo e i gruppi soggiacciono ai condizionamenti e agli stimoli imposti dai mezzi della comunicazione di massa. L’uomo eterodiretto, dunque, un modello di società che David Riesman aveva forse profetizzato, più di sessant’anni fa, ne “La folla solitaria”.
Nel 48° rapporto sulla situazione sociale del Paese, riferita all’anno che volge al termine, il Censis collega il dilagare del fenomeno della solitudine degli italiani con la diffusione dei social network.
Secondo questo rapporto, pubblicato lo scorso 5 dicembre, il 63,5[%] degli italiani utilizza internet e gli utenti dei social network sono il 49[%] della popolazione, ma il dato raggiunge l’80[%] nella fascia d’età compresa tra i 14 e i 29 anni. Ed ancora: negli ultimi cinque anni, dal 2009 al 2014, i cittadini compresi tra i 36 e i 45 anni che usano Facebook sono aumentati del 153[%], mentre gli over 55 addirittura del 405[%] e gli utenti italiani di Instagram sono circa 4 milioni. Ma c’è di più: perché in un giorno, mediamente, tramite il telefonino cellulare, accedono a Internet 7,4 milioni di persone. Un numero maggiore di quello riferito a quanti si collegano ad Internet da un pc ( cioè 5,2 milioni) o da entrambi con 7,2 milioni di utenti. Un fenomeno particolare è quello relativo alla pratica del selfie, a cui anche il Premier Matteo Renzi spesso si affida, che secondo il Censis è usato come uno strumento di narcisismo piuttosto che come mezzo di relazione e conoscenza. Il dato inoltre evidenzia che gli italiani trascorrono mediamente 4,7 ore della loro giornata sul web, di cui 2 dedicate ai social network. Sempre secondo il Censis la solitudine è oggi una componente strutturale della vita degli italiani che per il 47[%] vive questa condizione più di cinque ore al giorno, cioè 78 giorni di completo isolamento in un anno.
I social network ci offrono la possibilità di aumentare le nostre relazioni, di avere contatti sempre più veloci, di conoscere nuove realtà, di fare parte di una rete globale che potenzialmente è formata da oltre sette miliardi di nodi, tanti quanti sono gli abitanti del pianeta.
La rete è un insieme di relazioni tra persone che necessariamente non si incontrano fisicamente nello stesso luogo e nello stesso momento.
“Il nostro modo di abitare il mondo e di conoscerlo – scrive Giovanni Boccia Altieri in “Stati di connessione” – è sempre più dipendente da uno stato di permanente interconnessione, reale o parziale che sia, che influisce sul nostro modo di relazionarci gli uni agli altri e di ‘pensare’ e ‘realizzare’ all’interno di questi contesti organizzativi, educativi, informativi e dell’intrattenimento”. Per il docente di sociologia dei new media “al centro delle riflessioni su questo mutamento, e sulle ricadute dei diversi ambiti sistemici che ne sono coinvolti, deve esserci la consapevolezza che ci troviamo di fronte ad un passaggio evolutivo che sta producendo un processo di auto-sollevamento della realtà. Una nuova realtà, un modo di abitare il mondo, quindi, di cui occorre mettere in luce più le forme di discontinuità e di messa in discussione che le continuità e le analogie. Il paradigma comunicativo – dice – oggi è mutato: non siamo più oggetto di comunicazione ma soggetto. Cambia il nostro senso della posizione nella comunicazione. Nei blog, siti di social network, wiki, mondi online, costruiamo la nostra riflessività connessa e da lì produciamo, distribuiamo e consumiamo in modi nuovi le forme simboliche e i significati che ci servono per abitare il mondo. Quello che stiamo costruendo è un equilibrio sociale diverso. In discontinuità con le categorie conoscitive della modernità”.
La rete non è certo un concetto nuovo, ma un elemento che ha interessato tutte le civiltà. Oggi siamo alle reti digitali: una convergenza di strumenti – telecomunicazioni, comunicazione di dati e comunicazioni di massa – inglobati in un unico dispositivo o medium. “Le nuove tecnologie – scrive Carlo Mazzucchelli nel suo libro ‘La solitudine del social networker’ – hanno permesso la crescita di un’infrastruttura connettiva capace di sostenere una pluralità di integrazioni tra persone, nuove prossimità spaziali e temporali che hanno aumentato le opportunità di riflettere su se stessi e di interagire con gli altri. Le relazioni sono organizzate sempre più come realtà digitali capaci di sostituire gradualmente quelle faccia a faccia. Spariscono o cambiano rilevanza le organizzazioni sociali tradizionali come famiglia, vicinato, oratorio, sezione di partito, associazioni e si affermano le nuove forme comunitarie connettive (Forum, Comunità online…) e reticolari (social network) più fluide e flessibili perché costruite su una nuova percezione e organizzazione del tempo e dello spazio. I social network, con la loro struttura a rete e le loro caratteristiche tipiche di sistemi complessi adattativi in continua evoluzione, possono essere utilizzati per evidenziare l’intreccio tra la vita sociale e mobile delle persone e quella tecnologica e digitale delle loro vite virtuali e parallele”. Lo stesso autore (Mazzucchelli) sostiene anche che internet e i social network ( come i nuovi dispositivi mobili o le APP) hanno portato “ad una maggiore digitalizzazione dei rapporti sociali ma nel farlo hanno cambiato il modo con cui le persone vivono le loro emozioni e gli affetti e stanno cambiando la percezione che ogni persona ha di sé, come individuo e come essere sociale. I nuovi prodotti hardware e software, sempre più integrati con il corpo umano sotto forma di tecnologie indossabili, facilitano e intensificano le relazioni umane e incidono sullo sviluppo delle nostre società trasformando la produzione e la condivisione di informazioni e nuovo conoscenze. Le tecnologie mobili, così come quelli sociali, hanno un ruolo fondamentale nello strutturare il modo di relazionarsi agli altri ma soprattutto con se stessi, alle proprie ansie e paure, ai propri affetti e desideri”. Insomma, “funzionano come inconscio tecnologico per rinegoziare costantemente le proprie connessioni sociali, per stratificarle e organizzarle sulla base di esperienze di assenza, distanza e disconnessione” (Anthony Elliott e John Urry).
Rimanere soli, spesso è una piacevole scelta: un tipo di isolamento, spesso ricercato, per riflettere, per meditare, per ritrovare forme di concentrazione. La tecnologia e i social network, invece, funzionano in modo profondamente diverso: nuove solitudini e, soprattutto, anche un diverso modo di viverle. Non sono pochi, infatti, quanti – psicologi, sociologi, esperti di comunicazione – affrontano il tema degli effetti che le nuove tecnologie hanno sulle persone. I risultati di ricerche e indagini psicosociali evidenziano che esiste un collegamento tra l’uso di questa tecnologia e la solitudine che interessa quasi il 50[%] di quanti fanno uso di social network online. &
La solitudine di noi cittadini della post – modernità riguarda sia appartenenti alle varie fasi dell’età – dai giovani agli anziani – sia chi vive una situazione di disagio per la perdita del lavoro o perché non riesce a trovarlo, chi è stato sradicato dal suo territorio e dalla sua cultura, chi non ha una famiglia. Situazioni che spesso trovano nella solidarietà l’antidoto per superare i momenti difficili.
C’è poi la solitudine tecnologica: di chi non può fare a meno del suo Ipad, chi trova nel televisore l’unica finestra per affacciarsi sul mondo, chi non resiste al fascino dei social network, chi non può fare a meno di sentirsi protagonista in una piazza virtuale, chi conquista nuove amicizie, chi si affida ad un selfie dopo l’altro: tutto questo dimenticando la realtà che lo circonda, la bellezza di una stretta di mano con un amico vero, uno sguardo nell’interloquire con un familiare, un ex compagno di scuola, l’inquilina della porta accanto. I social network diventano strumenti di innamoramento, di illusioni e delusioni sentimentali, di avventure, ma anche mezzi di persecuzione, di bullismo, di stalking, di spazi condivisi di lotta sociale e politica, condivisione globale contro i tentativi di rovesciare i regimi dittatoriali, di strumento per la conquista di spazi di libertà e di democrazia.
Ma gli esempi finali della Primavera Araba, del grillismo e di altri momenti di vita collettiva tesi ad ottenere consenso, solidarietà e condivisione dimostrano che spesso questi avvenimenti non riescono a mettere radici e di essi rimane solo l’emozione di un momento più o meno prolungato. Tutti noi viviamo i tempi liquidi della post modernità caratterizzati da sempre nuove forme di solitudine, ma anche – come sottolinea Bauman in “Voglia di comunità” – dal grande desiderio di nuove socialità e da immensa voglia di comunità.
Lo stesso Bauman in una delle “44 lettere dal mondo liquido” spiega che “in una vita che è un susseguirsi di emergenze, i rapporti virtuali possono facilmente apparire preferibili alla realtà”. E che “l’attrattiva principale del mondo virtuale è data dall’assenza di quelle contraddizioni e quei malintesi che complicano la vita offline. Nel mondo virtuale – sostiene ancora il sociologo polacco – , è la quantità dei contatti e non la loro qualità a definire le possibilità di successo o di fallimento”.
Tanti amici, meno solitudine? Non sembra proprio così, perché i social network così è possibile cancellare in tempi brevi le tracce ( per esempio eliminando il profilo) e ritornare nel mondo “offline”,p. Ma non è detto che non si cambi idea per comportarsi come nella metafora dei porcospini di Schopenhauer: questi animali si stringono per ripararsi dal freddo; poi, per il dolore provocato dagli aculei degli altri appartenenti al gruppo, si allontanano per poi aggregarsi di nuovo. Per il filosofo “ciò che rende socievoli gli uomini è la loro incapacità di sopportare la solitudine e, in questa, se stessi”.
La solitudine prodotta dalla tecnologia è un argomento di cui si è tanto discusso e si continua a discutere: da un certo versante la tecnologia è l’origine di nuove e più complesse forme di solitudine, dall’altro, invece, rappresenta uno strumento che aiuta ad uscirne.
“Usiamo la tecnologia per migliorare la nostra vita e scopriamo che in realtà ci impoverisce”, è uno dei passaggi dell’intervista che la psicologa statunitense e insegnante di sociologia al MIT di Boston, Sherry Turkle, ha rilasciato nel maggio di due anni fa al quotidiano inglese “The Guardian”. La donna,definita l’antropologa del cyberspazio, autrice tra le altre pubblicazionidi “Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre di più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri”,in un passo di questo suo lavoro –ne cito solo un frammento – … dice: ” Insicuri delle nostre relazioniinterpersonali e ansiosi per la nostravita affettiva intima, guardiamo alla tecnologia permigliorare le nostre relazioni e al tempo stessoper proteggerci da esse”. E sottolineache “il problemaè che le connessioni digitali che creiamo sono incomplete, non sono relazioni capaci di legare, ma al contrario di preoccupare”. In queste parole traspare la certezzache il cittadino incomincia ad assumere consapevolezzadeglieffetti che la tecnologia produce sulla privacy e sulla vita individuale.
E ritiene che questa sfida non sia affatto semplice, perché una volta “online ognuno si crea il profilo che meglio rappresenta di sé, ma anche di ciò che si vorrebbe essere”. Insomma, nei nostri profili sul web, non siamo quel che effettivamente siamo, ma ciò che gli altri vorrebbero che fossimo rispetto ai loro gusti e alle loro attese. Il rischio è davvero grosso perché Facebook ha anche la capacità di trasformare la nostra solitudine in isolamento.
“Il mio studio – è sempre il pensiero di Sherry Turkle – sulla vita in rete mi ha fatto riflettere a lungo sull’intimità, sullo stare con gli altri dal vivo, sentire le loro voci e vedere i loro volti, nel tentativo di conoscere il loro cuore. E mi ha lasciato con il pensiero della solitudine, quella che rinfranca e ristora. L’isolamento è una solitudine fallita. Per sperimentare la solitudine dobbiamo essere in grado di raccoglierci in noi stessi, altrimenti saremo sempre isolati”. Sullo sfondo, c’è il rischio di confrontarsi con una dimensione completamente falsata e con i relativi pericoli: dalla sempre più diffusa e patologica pratica degli adescamenti online, alla ben più innocente, ma pur sempre discutibile, scelta di genitori che per controllare la vita dei propri figli si “armano” di profilo social fasullo.
Tutto ciò distorce la realtà e proietta, a prescindere dalle finalità di questi comportamenti, verso una condizione che esiste solo nell’universo del virtuale e che si consuma nel perimetro della “rete”. Anche questa, in fondo, è solitudine. Cosi come è espressione di solitudine – non scelta, ma subita per effetto dei propri comportamenti – la condizione di chi nella sua vita relazionale online si trasforma, riducendo i freni inibitori e smarrendo la percezione dei limiti invalicabili della sfera altrui: il diritto alla riservatezza o il diritto alla segretezza della corrispondenza, il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero o il diritto all’oblìo, fino al diritto di non veder turbata la propria personale sensibilità da filmati o immagini raccapriccianti.
Anche questa è una scelta di isolamento, attraverso cui abdichiamo alla nostra personalità per assumerne un’altra. Così diventiamo sempre più soli. Anche passeggiando nel cuore di New York, di Parigi, di Londra o di Roma. Con gli sguardi smarriti nei nostri smartphone, incuranti della bellezza che ci circonda, al massimo preoccupati di socializzarla online. Finiamo così per attraversare la vita di un altro ” io”, quello virtuale, che pubblica sui social la foto scattata alla torre Eiffel o sotto la statua della Libertà, raccontando emozioni che in fondo non abbiamo davvero vissuto. Proviamo allora a spegnere i nostri smartphone e i nostri tablet. Diventeremo meno soli, almeno per un po’.