IL VALORE DELLA VITA NON È MERCE DA QUOTARE IN BORSA

di Antonio Latella *

Uomini senza umanità, gonfi di egoismo e, spesso, con la maglietta da cristiani. Da Steccato di Cutro è partito l’ennesimo messaggio sul valore della vita umana che, nei comportamenti di molti nostri simili, non sembra essere uguale per tutti. Invece è un bene prezioso e non l’oggetto di un listino borsistico soggetto a valutazioni del quotidiano gioco speculativo del capitalismo finanziario e del suo braccio operativo della globalizzazione.

<<<== Antonio Latella

La morte cancella le differenze terrene e tutti torniamo ad essere polvere anche dopo un pomposo, spesso ipocrita, rito funebre. Tutti, dai personaggi pubblici (dalla politica allo spettacolo, dallo sport all’imprenditoria… dal giornalismo alla sociologia) agli sconosciuti che sono stati inghiottiti dalle onde del mare calabrese e che, di molti di loro, probabilmente, non conosceremo mai il nome. Nostri simili: donne, uomini, bambini. Già, bambini che, nella terra che avevano abbandonato per realizzare i sogni di libertà, forse non avevano mai ricevuto una bambola, un trenino, o tirato calci ad un pallone.  Quella presenza di peluche sulle bare bianche del palasport di Crotone, posti da mani pietose, assume il significato di richiesta di perdono per la malvagità e l’indifferenza umana. Una risposta vera di pietà cristiana ai tanti sepolcri imbiancati sfilati, temiamo per esigenze d’immagine, davanti alle bare della camera ardente allestita nel palasport del capoluogo di provincia.

Ironizzare con la spocchia lessicale dell’intellettuale sulla morte non è concesso a nessuno. Ce lo ricorda ‘A livella’ del grande Totò, tanto per rimanere nel “profano”. “A prescindere” dai ruoli che ognuno di noi svolge come cittadino di terra-madre. L’ennesima tragedia dell’immigrazione dovrebbe aiutarci a ripensare alla crisi valoriale che alberga nelle nostre coscienze nel contesto di un esasperato individualismo che taglia trasversalmente la società attuale. Invece non sembra essere così. Neanche per quei cristiani che ostentano la loro appartenenza esibendo in pubblico il rosario ed altri simboli sacri.

Nel secolo degli spettatori pretendiamo che siano sempre gli altri all’impegno di solidarietà e di aiuto nei confronti delle persone oppresse dalle dittature, dalle guerre, dalla povertà, dal disagio sociale e dalle catastrofi naturali. Nella ricerca di libertà e di nuove occasioni di vita e di lavoro, c’è sempre una motivazione plausibile che rientra nell’ambito della libertà naturale di tutti gli uomini: dai russi agli ucraini, dagli italiani ai cinesi, dai coreani agli americani.  Quel “sarebbero stati incauti” non esiste: da uomini liberi non solo non lo accettiamo, ma lo respingiamo con forza.

Da non sottovalutare, inoltre, l’indifferenza di una parte dell’Occidente che all’accoglienza e alla solidarietà preferisce comportarsi come lo struzzo. E non solo nascondendo la testa sotto la sabbia della post modernità e delle logiche neoliberiste. Ma ponendo finanche veti nel contesto delle decisioni di un’Europa strabica e nostalgica di ideologie, che ha condiviso o subito, nel corso nel ‘900.

Pensiamo come sarebbe il mondo se la solidarietà alle comunità di appartenenza fosse riconosciuta organicamente e universale: un valore che non ha né confini né appartenenze.  Un principio dal quale ci allontaniamo sempre di più, poco tollerato da una parte della politica europea, sempre più rintanata negli egoismi di parte e morbosamente alla ricerca di consenso e prestigio. Un modus operandi che non risparmia nessuno: neanche il nostro Paese, certi suoi schieramenti politici, frazioni dell’economia, e segmenti di popolazioni inclini ad etichettare gli “altri” come portatori di negatività, ladri di lavoro agli indigeni e di valori che non appartengono alla nostra cultura. Un arengario disgustoso oltre che incubatore di odio e razzismo.

Ogni uomo porta sulle spalle il bagaglio di un destino pianificato da un essere soprannaturale che “ob torto collo” è costretto ad accettare tra innata paura e attesa di speranza. E va alla ricerca di un Dio, di una nuova fede. Quel credo che in noi cristiani continua ad affievolirsi sotto l’incalzare della modernizzazione, portatrice di nuovi paradigmi culturali, di modelli effimeri, di incondizionata subalternità al consumismo, che ci distraggono dagli insegnamenti del Vangelo per renderci succubi delle scoperte tecnico-scientifiche. Ma non perché affascinati dal ritorno all’illuminismo quanto per l’affannosa ricerca di una nuova libertà, probabilmente, dall’affrancamento del Dio che professiamo per abbracciare la religione dei media con al centro Internet, che il filosofo Paolo Ercolani definisce l’”Ultimo Dio”.  Riflettiamo assieme: solo alla “divinità” WhatsApp si affidano quasi 35 milioni (dato del 2022) di “fedeli”, che ha definitivamente cancellato l’agorà dalla nostra storia sostituendola con le comunità e le piazze virtuali.

 Applicazione protagonista anche nel dopo naufragio di Steccato di Cutro per marcare ancora di più il disegno di demonizzazione dell’avversario.  Da tempo esposto a raffiche di post sempre più finalizzate a difendere le ragioni dell’appartenenza e anche, come in questa circostanza, rispetto al dolore di quanti fanno parte del popolo dell’immigrazione: fenomeno di cui noi italiani, soprattutto i cittadini del Mezzogiorno, portiamo antiche e nuove stimmate.

Gli effetti di questo dibattito contraddittorio hanno trasformato la città di Crotone in meta di pellegrinaggio di gente sincera come di farisei. Mentre Roma è al centro di uno scontro al colore bianco che vede coinvolti anche pezzi dello Stato che si rimpallano le responsabilità (ancora tutte da accertare) sulla tempestività dei soccorsi. Con l’opinione pubblica   incapace di fare una distinzione, oseremmo dire una scelta, tra bene e male, realtà e face news.

Caos che si aggiunge a quanto sta avvenendo in un mondo ormai multipolare che corre alla ricerca di un nuovo ordine geopolitico finalizzato alla conquista del pianeta e delle sue risorse naturali e allo sfruttamento dei mercati, Un disegno che utilizza raffinate tecniche di comunicazione ideologica che creano destabilizzazione soprattutto tra i paesi occidentali, Europa compresa. Con grandi rischi per la democrazia che nell’era dei social è chiamata a fare i conti con un’immensa concentrazione del potere.  Sempre meno interessato – per motivi di convenienza – al fenomeno migratorio: diventato un sentimento comune.  E cosi rimaniamo ancorati alle nostre abitudini: seduti nelle nostre abitazioni davanti a vecchi e nuovi media facendo zapping o click, mentre  “loro”,  gli stranieri, annegano  tra le onde dell’impetuoso Mare Nostrum,  cimitero senza tombe e senza fiori.

Ogni occasione è buona per imbarcarsi e sfuggire al male: opportunità densa di speranza e fiducia riposta in altri esseri umani dalla “faccia pulita”, ma con l’animo criminale. Profughi disposti a tutto pur di essere traghettati nell’agognato occidente, terra delle libertà individuali e di nuovi costumi, al punto da privarsi di tutti i loro averi (magari ricorrendo a prestiti da amici e parenti) ed affidare la loro vita nelle mani di criminali tollerati dalla corruzione esistente nei paesi di partenza dei viaggi della speranza.  Esistono logiche che non capiamo o non vogliamo capire. Iniziando dall’Ue che attraversata dagli egoismi, dalla simpatia o antipatia per le diverse componenti di questa multipolarità mondiale, usa l’arma del silenzio per spezzare la resilienza di quanti vanno in cerca, tra indifferenza e razzismo, di libertà e giustizia sociale. I morti di Steccato meritano rispetto. Fermiamoci in silenzio per qualche giorno e riflettiamo sull’importanza dei nostri antichi valori. A prescindere.

*Antonio Latella – sociologo, giornalista e presidente nazionale sociologi ASI


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