INCHINI DI MADONNE E SANTI, LE RESPONSABILITA’ DELLA CHIESA E QUELLE DELLO STATO
Le storie degli inchini di madonne e santi, come quelle che hanno portato alla ribalta Oppido Mamertina, San Procopio e tanti altri centri della Calabria, appaiono come i proiettori di scena che illuminano solo parti del palcoscenico. Si denunciano, anche con coraggio, fatti recenti ma non si tiene conto dei secolari rapporti Chiesa – potentato locale, di fattori ambientali e socio-antropologici e culturali, che se analizzati ci aiuterebbero non solo a capire, ma anche a cancellare atavici pregiudizi su intere comunità. Luci e ombre azionate da una consolle programmata ad insindacabile giudizio del regista e, quasi sempre, funzionali all’audience, alla notorietà, alla carriera, all’aumento delle vendite di giornali. E La Chiesa? Solo dopo il bailamme è uscita dal silenzioso disagio adottando il pilatesco provvedimento di sospensione delle processioni, mentre la Conferenza Episcopale Calabra dopo la scontata condanna alla mafia, ha emesso circolari ai parroci e nominato una commissione. Il principio di condanna ai boss è in sintonia con gli insegnamenti del Vangelo.
Sul piano pratico nulla di nuovo, se non la riproposizione di analoghe iniziative assunte in passato da alcuni vescovi in relazione all’avvio di una “bonifica” delle commissioni per le feste patronali da elementi di dubbia moralità e dalla fedina penale macchiata. Più volte ai parroci venne raccomandata cautela nella somministrazione dei sacramenti del battesimo e della cresima, soprattutto in relazione alla scelta dei padrini. Ma il tempo non ha allontanato sospetti o bonificato certi contesti dove i boss cercano la legittimazione sociale attraverso il subdolo ed ingannevole comportamento di uomo pio, osservante e, spesso, generoso nel partecipare a festeggiamenti in onore di madonne e santi. Questo, ovviamente, non significa subordinazione della Chiesa nei confronti dei boss o formulare altre miserevoli ipotesi. La Chiesa del terzo millennio non ha bisogno di martiri o eroi, ma di sacerdoti, di parroci in grado di coniugare spiritualità e impegno civile . Nonostante l’opera della comunità cattolica, dal clero al popolo dei fedeli, nel risveglio delle coscienze anche sul fronte della lotta alla mafia (tanti i sacerdoti uccisi), la Chiesa sembra ostinarsi a non guardare al suo interno: avere quel coraggio che Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco hanno dimostrato condannando dove c’era da condannare, ma facendo autocritica per certi comportamenti del clero cattolico.
La scomunica di Papa Francesco ai mafiosi è stata un segnale forte, anche perché è partito da Cassano allo Ionio dove la ‘ndrangheta si è anche macchiata del sangue di un bambino. Meno forte, invece, ci è sembrato quello della Conferenza Episcopale Calabra emesso dopo lo “ scandalo” del presunto inchino della Madonna alla casa riconducibile alla congiunta di un pregiudicato in atto in galera. La sospensione delle processioni e la nomina di commissioni ecclesiastiche assomigliano al comportamento dello struzzo e pertanto non contribuiscono ad allontanare certi personaggi dai riti della pietà popolare. Voler a tutti i costi fare tabula rasa penalizza la religiosità della gente, il culto dei fedeli e, sull’altro versante, forse, darebbe forza al tentativo di legittimazione sociale dei boss. Non sarebbe molto più facile una catechesi per i portatori di madonne e santi da svolgersi nel semestre antecedente i festeggiamenti patronali?
Non meno efficace si stanno dimostrando le estemporanee manifestazioni di certe associazioni antimafia che si arrogano finanche il diritto di assolvere o condannare. La mafia è un male assoluto: non curarlo porta alla morte di interi segmenti di società. Bisogna però stare attenti anche ai professionisti dell’antimafia (mutuo da Leonardo Sciascia). L’inchino dei simulacri nei confronti di personaggi equivoci è sempre un episodio eticamente scorretto e, qualche volta, penalmente rilevante. A nessuno ( giornali e magistratura compresi) è consentito, anche involontariamente, patrocinare caccie alle streghe o commissariare i riti della pietà popolare. La presenza della Chiesa cattolica nell’ambito repubblicano è regolata dalla Costituzione che prevede libertà e obblighi. Indipendenza e sovranità, esercitate nell’ambito delle sfere di competenza, si ritengono violate nel caso in cui la decisione di vietare la processioni, soprattutto qualora non dovessero ravvisarsi problemi di ordine pubblico, venga assunta dall’autorità civile. Ombre e allarme sociale.
Le ombre generano pathos e partecipazione, le luci indifferenza e, a volte, noia. E allora si preferiscono le tenebre alla luce del sole per inseguire i fantasmi o per nascondere situazioni che se illuminate metterebbero a nudo le nostre ipocrisie.
“Quando tutto si oscura – scriveva Alcide De Gasperi – rimane solo una luce, ma per vederla bisogna essere abituati a cercarla”. Il buio partorisce sospetti, false indignazioni. Insomma, ci allontana dalla realtà, ci fa perdere di vista i veri problemi di una terra sempre più povera ed emarginata, sempre più incapace di reagire per liberarsi sia dai tanti luoghi comuni che l’hanno inchiodata all’immobilismo, sia da forme di mentalità retrograda che ne deteriorano l’immagine. Siamo diventati incapaci di cercare quella luce che ci aiuterebbe a capire, a trovare la verità. La nostra non è certo una terra tranquilla e le contraddizioni scandiscono un tempo che ci vede attardati rispetto al progresso socio- economico e culturale sempre più globalizzato. Se i cosiddetti ‘ndranghetisti cercano la legittimazione sociale attraverso la religiosità della gente, sia lo Stato che la Chiesa, ognuno nell’ambito della sfera di competenza , sono chiamati a riconoscere la sconfitta, il fallimento delle rispettive missioni.