SOCIOLOGIA, SCIENZA DELL’UOMO TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Le ragioni di Wilfredo Pareto. Quando negli anni ’70 il socialismo reale dei paesi della cortina di ferro dell’est europeo da una parte e le dittature nazional-popolari d’ispirazione fascista greca, portoghese e spagnola dall’altra, alimentavano nei circoli politici giovanili ed extraparlamentari italiani il mondo della “alternativa” e dell’antagonismo radicale al capitalismo nordamericano, nessuno nel mondo universitario nazionale credeva più all’affermazione paretiana secondo cui “sono le elite che fanno la storia”. L’opinione pubblica italiana era allora intrisa dai due assiomi del pensiero unico post-togliattiano, secondo cui “i fascisti sono il braccio armato del capitalismo” e “le Brigate rosse sono un incidente di percorso”, citando a tal proposito Lenin il quale aveva sempre sostenuto nei suoi scritti che l’estremismo era la malattia infantile del comunismo. Erano queste due affermazioni categoriche, attraverso le quali il PCI era certo di dominare la giovanile piazza politica scaturita dalle rivoluzioni culturali del ’68 francese e del ’77 italiano, attraverso l’agitazione della bandiera di una presunta leadership della Resistenza al nazismo e al fascismo nell’ultimo conflitto mondiale, a cui invece avevano consistentemente partecipato con uomini, dirigenti e tributo di sangue anche le ali democristiana, repubblicana e socialista dell’allora arco costituzionale.
Tale egemonia culturale venne demolita a sinistra nel 1977,dai sassi extraparlamentari degli studenti bolognesi dell’Autonomia operaia e degli Indiani metropolitani, scagliati contro l’allora Segretario generale della CGIL Luciano Lama. Questa utopia egemonica, si infranse poi definitivamente qualche anno dopo sui cancelli di Mirafiori, dove il sogno berlingueriano di “compromesso storico”, già denervato dall’assassinio da parte delle BR dell’onorevole Aldo Moro, venne travolto dalla manifestazione dei colletti bianchi, quel settore impiegatizio prevalentemente di sinistra ma che diceva il suo “no!” ad una lotta di classe ormai antistorica e finalizzata solo verso il recupero della opinione pubblica operaia dalla “tentazione brigatista”. La classe operaia, invece, era ormai andata in paradiso, il quarto stato si era finalmente volatilizzato. Al contrario, il benessere del boom economico degli anni ‘60 aveva prodotto un ceto medio stratificato, di largo spessore e ormai consolidato, la cui estensione partiva dalle maestranze operaie industriali e artigiane per concludersi a quella dei dirigenti di piccolo calibro delle grandi fabbriche del nord Italia, saldato come in un sol corpo alla grande schiera di artigiani, piccoli commercianti, agenti di commercio e liberi professionisti, i quali rappresentavano la novità assoluta nella forza di economia produttiva dell’Italia repubblicana.
Il Comitato centrale del PCI, i vertici comunisti delle BR e quelli neo-fascisti di autodifesa organizzata dei NAR, la loggia P2 e Gladio, il KGB e la CIA, l’interesse delle multinazionali straniere e quello dei gruppi dell’alta finanza italiana: queste minoranze organizzate sono state la parte trainante e sommersa della movimentata storia dell’Italia di quegli anni. A mente serena e a giudizio storico postumo, tutte queste società elitarie hanno infine dato ragione e valore alle tesi del grande sociologo Wilfredo Pareto, perché hanno dimostrato vera la sua affermazione secondo la quale solo le élite, solo le minoranze politiche ed economiche guidano, determinano e condizionano il corso della storia, anche se il suffragio democratico elettorale in molti casi ne limiterà gli eccessi o, come nel fenomeno del terrorismo, ne favorirà una lotta politica ed istituzionale unitaria scaturita nell’alleanza parlamentare e civile detta di emergenza nazionale.
Sociologia: da analisi disincarnata (theoria) a creatrice di elite rivoluzionarie (praxis).
Nessuno si sarebbe immaginato che nel passaggio dalla teoria alla prassi, la sociologia universitaria degli anni ’70 sarebbe diventata un incubatore della lotta armata e del terrorismo ideologico di gruppi comunisti come le BR, Prima linea o la RAF tedesca. Nonostante il finanziamento da parte dei servizi segreti sovietici e cecoslovacchi e il retroterra culturale, almeno italiano, di figli dei delusi della Resistenza, queste elite rivoluzionarie nacquero, si alimentarono e progredirono nell’ambiente di alcune università italiane, tra cui quello della facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, sotto l’egida teoretica del pensiero forte marx-engeliano e leninista di Renato Curcio e Margherita Cagol, rivisitato e aggiornato per quei tempi anche dalla chiave riflessiva e strategica dei guru socio-filosofi marxisti della Scuola di Francoforte. Oggi la sociologia non vive più dei miti marxiani degli anni ’70, tranne che nei meandri di alcune cattedre di facoltà italiane rette da inossidabili e nostalgici professori sessantottini adorniani e marcusiani o da settantasettini foucaltiani e seguaci del suo migliore allievo, il cattivo maestro Toni Negri, la cui analisi dell’estabilishment mondialista attuale e delle sue rilevanze sociologiche, l’Empire come lui lo chiama, è comunque di una acutezza straordinaria nonostante le prassi barricadiere di resistenza no-global a cui poi si lascia andare, che per alcuni versi ricordano le tesi evoliane del cavalcare la tigre, e per altri un ritorno allo spontaneismo pre-marxista della Comune parigina del secolo XIX.
Sulla lunga distanza e nonostante il tempo trascorso, la tesi generale dell’analisi paretiana sulle elite, ora non più tacciata di pensiero sovrastrutturale liberale e borghese, unita alle lucide analisi di Toni Negri, sembrerebbero in realtà le uniche teorie filosofico-politiche e socio-economiche intelleggibili, capaci di resistere agli urti della globalizzazione e in grado di darne una spiegazione chiara anche se incompleta, proprio a causa di una loro intrinseca ed elevata oggettività di analisi della odiernamutazione sociale, senza peraltro correre il rischio di cadere in una dietrologia dai connotati fantastici e surreali.
La svolta antropologica della Sociologia italiana negli scenari attuali e futuri.
É di questi ultimi anni l’interesse e lo sviluppo della Sociologia italiana verso l’uomo inteso come micro-società, come società interiore, ad intra. Un interesse, questo, di ordine teoretico e pratico nello stesso tempo. O meglio, un interesse teorico stimolato da necessità pratiche legate alla ricerca di una nuova professionalità di ordine sociologico, di tipo socio-terapico o, per essere più precisi, socio-salutistico.
Dopo il crollo dell’utopia freudiana nei primi anni ’90 e l’affermarsi della visione olistica che ha rimesso in discussione la binarietà antropologica corpo-mente a favore di una tridimensionalità corpo-mente-coscienza spirituale, il passo successivo, quello cioè di considerare l’uomo come prima manifestazione microsociale, è stato breve. In questi ultimi venti anni la globalità del sapere psicologico nazionale non ha saputo smarcarsi dalla ormai antica visione propria di Freud, cioè quella di psicologia intesa come intervento terapeutico sulle patologie. Nel frattempo la società italiana, come tutto il resto del mondo occidentale, è passata rapidamente da società industrializzata a società post-industriale informatica e multimediale. Le modificazioni a livello sociale e socio-economico di tale passaggio sono ancora in atto, tuttavia l’atomizzazione del corpo sociale è andata via via aumentando fino a creare una nuova condizione di tensione sociale, radicata questa volta non tanto all’interno delle strutture sociali ma ramificata profondamente all’interno della individualità umana: tale tensione è conosciuta come Sindrome da Stress o, più semplicemente, Stress.
Lo Stress è oggi così universale ed universalmente conosciuto nel mondo occidentale ed occidentalizzato, tanto da essere stato definito ormai da molto tempo come il male oscuro del XXI secolo, nell’ambito polisettoriale dell’accademismo scientifico internazionale. Lo stress come tensione pervadente e onnicomprensiva, capace di permeare e inficiare la vita individuale, i rapporti interpersonali e di lavoro, la convivenza sociale e la stessa civiltà, a causa di questa sua universalità avrebbe però rapidamente perso i suoi connotati patologici, divenendo infine un fattore di partnership obbligatoria e quasi connaturale alla vita delle città e dei grandi circuiti metropolitani. Lo stress oggi è considerato così “normale”, al punto che l’opinione pubblica e il sentire della gente comune di questo ultimo decennio sono riusciti, attraverso un rifiuto istintivo e motivato, a “far mettere in solaio” ogni soluzione psicologica e psicoterapica, a favore di pratiche olistiche di ogni genere, le quali vedono nel raggiungimento del Benessere (Wellness) e non nella “cura della patologia”, il fondamento e il fine ultimo di ogni loro agire salutistico.
In questo nuovo contesto storico-sociale è sorto e si è concretizzato da alcuni anni il nuovo interesse per la Sociologia italiana nei confronti dell’uomo come micro-società e unità olistica tripartita in corpo-mente-coscienza, sociologicamente intelleggibile, comprensibile e giustificabile come cellula minor precedente e fondante la cellula major della famiglia naturale monogamica ed eterosessuale. Senza trascurare i settori di analisi e di intervento sociale in cui è da sempre storicamente posizionata, la Sociologia nazionale ha anche operato una autentica svolta antropologica attraverso il grande lavoro che la ANS – Associazione Nazionale Sociologi, soprattutto attraverso l’opera continua ed indefessa del suo dinamico Presidente Pietro Zocconali, porta avanti per il riconoscimento di un Albo e di un Ordine nazionali.
Il ritardo, ora rivelatosi provvidenziale, di questo riconoscimento professionale, unito ad un’opera sistematica di scavalcamento da parte di psicologi ed assistenti sociali della nostra professione, ha comunque confinato queste due categorie nel settore patologico e socio-patologico (nonostante i loro tentativi di recupero teorico attraverso l’istituzione della Psicologia sociale, come di recupero pratico attraverso la creazione e la gestione della figura del counselor psicologico) lasciando alla Sociologia italiana la verde ed infinita prateria della possibilità di gestione del Benessere individuale e sociale.
In questa linea, da almeno dieci anni si è mosso il nostro collega sociologo Dr. Andrea Rocca, Direttore del Laboratorio ANS di Sociologia di Roma (il primo in Italia), ora investito anche di personalità giuridica propria col nome di A.R.CO.S. – Associazione Romana di Counseling Sociologico e delle Scienze Umane. Il Dr. Rocca, nel corso dell’ultimo Convegno Nazionale ANS svoltosi a Roma il 18 Dicembre 2006, ha potuto esordire presentando ai colleghi sociologi la nascita della figura professionale del Counselor Socioanalitico, segnando così una grande vittoria per una attuazione pratica e originale della nostra professione di Sociologi (per ulteriori info vedi: www.arcoscounseling.it).
Una particolare menzione va data al collega ANS Dr. Giuseppe Milia, sociologo clinico e socioterapista, fondatore dell’Istituto di Ricerche Sociologiche di Barletta, che ha sviluppato da anni un notevole lavoro di ricerca e di codificazione dell’aspetto metodologico e tecnico nel campo della socioterapia, del counseling familiare, del mobbing aziendale e della mediazione dei conflitti., oltre ad avere dimostrato una elevata competenza e vitalità “sul campo” come professionista di prassi socioterapeutica (per ulteriori info vedi www.socioterapia.org).
Nel campo dell’Olismo si è invece orientato il nostro lavoro trentennale di ricerca, sfociato infine nella creazione del Laboratorio ANS di Sociologia& Scienze della Meditazione di Castellanza (VA) e nel contemporaneo riconoscimento, da parte del Direttivo Nazionale ANS del giugno 2005, della Sociologia olistica quale parte integrante della Sociologia italiana nell’ambito dello studio, della ricerca, della analisi e della consulenza.
La Sociologia olistica è essenzialmente prassi, è la risposta di coloro che vogliono contribuire alla trasformazione della società operando sull’uomo essere individuale e di relazione sociale, e che si pongono come obiettivo una globalizzazione dal volto umanofatta di solidarietà e di giustizia sociale. Nel recente passato, come abbiamo già sottolineato, psicologi e assistenti sociali ci hanno superato e spesso ostacolato, creando con largo anticipo albo professionale e sbocchi di lavoro concreti, mentre noi privati ancora di tali aspettative ci dibattevamo tanto teorici quanto spesso squattrinati nella ricerca statistica e nell’analisi sociale. Per certi versi oggi non siamo ancora molto cambiati, visto che oltre l’80[%] dei sociologi italiani per vivere praticano attualmente un doppio lavoro o una diversa professione. É venuto il tempo di voltare pagina, di rioccupare con dignità e fermezza professionale quegli spazi comuni che ci sono stati negati ma che sono a pieno titolo anche pertinenza della Sociologia, poiché la Scienza non è divisa in compartimenti stagni, ma è Una, è interdipendente, è collegata tramite synapsy e nessuno si può arrogare il diritto di farla propria e di escluderne gli altri.
Con queste finalità, la Sociologia olistica vuole operare sull’uomo per promuovere la pace sociale attraverso i suoi filoni costitutivi essenziali: la bio-sociologia, quale conoscenza delle basi genetiche e delle forze inconsce insite nell’agire sociale dell’uomo; la neuro-sociologia, come studio del cervello socializzante e delle possibilità di influenzarlo positivamente attraverso l’uso di strumentazioni scientifiche quali le Brain Machines, le C.E.S. (cranial electrical stimulation) e l’Audio Hi-End;
la sociologia meditativa, quale uso scientifico-sperimentale di consolidate tecnologie meditative di colloquio interpersonale e di rilassamento, finalizzate al superamento dello stress nel common people e al benessere individuale ed interpersonale.
René Manusardi – già Direttore del Laboratorio ANS di Sociologia & Scienze della Meditazione di Castellanza (VA)
Articolo apparso sulla Rivista di Sociologia La Società in Rete, Anno 2006, N° 3 , pagg. 46-49, parzialmente inserito nel vol. R. Manusardi, L’Arte Zen della Direzione Aziendale. La pratica del mind management per l’eccellenza delle risorse umane, Maggioli 2009, pagg. 176-180 e su http://socioclinica.blogspot.it/