Il riscaldamento globale nella società dell’indifferenza
di Patrizio Paolinelli
Il mite inverno che stiamo attraversando riporta alla ribalta il tema del cambiamento climatico e con esso il problema dell’agire umano. A prima vista sembra davvero irrazionale che società autoproclamatesi evolute stiano segando il ramo su cui sono sedute, ossia l’ambiente naturale. Eppure il riscaldamento globale sembra confermare tale tendenza. Se così è una qualche forma di razionalità all’interno di un processo che teoricamente potrebbe portare all’estinzione della specie umana ci deve pur essere. Tale forma di razionalità va cercata nelle dinamiche del potere.
Prof. Patrizio Paolinelli
Per farla breve, all’interno del rapporto uomo-natura l’uomo è diventato sempre più dominante e man mano che è cresciuto il suo dominio ne ha approfittato senza alcuno scrupolo. Una logica predatoria che ci ha condotti a quello che oggi a molti appare come un punto di non ritorno: o si attenua sensibilmente l’effetto provocato dall’emissione dei gas serra o ci aspettano terribili disastri ambientali. Basti solo pensare all’innalzamento dei livelli dei mari dovuto tra l’altro allo scioglimento dei ghiacci perenni e al riscaldamento degli oceani. Un fenomeno che se non sarà seriamente contenuto provocherà l’inondazione di vaste zone costiere con conseguenze planetarie sconvolgenti in termini di migrazioni di massa e crisi economiche.
Per restare a casa nostra, a parere di Legambiente il dissesto idrogeologico investe oltre seimila comuni italiani su un totale di poco più di ottomila. E altri dati ci dicono che nel Belpaese ogni cinque mesi viene cementificata una superficie pari al comune di Napoli. Serie storiche ci informano poi che dal 1994 al 2012 i costi per frane e inondazioni sono stati pari a 61,5 miliardi di euro. Ne occorrerebbero 40 per la messa in sicurezza del territorio, mentre nella legge di stabilità 2014-2016 approvata del Governo la quota destinata al dissesto idrogeologico è di appena 180 milioni di euro. Indifferenza della politica? Anche in questo caso a prima vista sembrerebbe di sì. Certo nelle nostre società l’indifferenza conta molto e su questo stato dell’animo umano Gramsci ha scritto parole memorabili. Tuttavia ad essa si affianca una realtà storica in cui la politica ha un ruolo sempre più secondario rispetto alle grandi decisioni economiche. Le quali vengono prese al di fuori dei parlamenti calandoci in quella che il sociologo Colin Crouch ha definito post-democrazia. Ossia un sistema politico che pur mantenendo formalmente le regole della democrazia è in realtà governato da multinazionali e mass-media.
E’ appunto nei termini dell’indifferenza e della post-democrazia che si può interpretare l’incertezza della politica nel prendere decisioni dirimenti rispetto ad esempio all’allarme smog dei grandi centri urbani italiani durante lo scorso periodo natalizio. Solo per citare il caso di Milano l’Arpa ha segnalato che nel capoluogo lombardo le concentrazioni di PM10 avevano superato i limiti consentiti per 31 giorni consecutivi e che dall’inizio del 2015 tali limiti erano stati oltrepassati per ben 96 giorni, mentre il limite previsto dalle norme è di non più di 35 giorni all’anno. Dinanzi a una situazione che ormai era impossibile sottacere il ministro dell’ambiente ha convocato in fretta e furia sindaci e governatori delle Regioni partorendo sostanzialmente il topolino delle targhe alterne. Naturalmente la discussione tra partiti, associazioni dei consumatori e verdi sugli effetti delle decisioni prese è stata accesa occupando le pagine dei quotidiani per un paio di giorni e confermando che in tema di problemi ambientali si parla molto più di quanto si faccia.
A scanso di equivoci va da sé che parlare dei problemi ambientali è estremamente positivo. Guai se così non fosse. E un’occasione importante di dibattito è stata offerta dalla recente Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici tenutasi nella capitale francese dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 sotto l’egida dell’ONU. La convenzione delle Nazioni Unite costituisce il principale trattato internazionale sul clima riconoscendo l’esistenza del cambiamento climatico causato dall’attività umana e attribuendo ai paesi industrializzati la responsabilità principale nella lotta contro tale fenomeno. L’appuntamento di Parigi è stato preceduto da accorate prese di posizione da parte di diversi esponenti politici. Il presidente degli USA, Barack Obama, ha dichiarato: “Siamo l’ultima generazione a poter fare qualcosa”; gli ha fatto eco il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il quale ha invitato alla concretezza i delegati alla conferenza: “Spero che l’accordo sia più vincolante possibile, altrimenti si rischia un impegno scritto sulla sabbia”. E alla fine l’accordo è stato raggiunto. Forse la sintesi migliore l’ha offerta il giornalista del Guardian specializzato in questioni ambientali, George Monbiot, che ha scritto: “Rispetto a quello che avrebbe potuto essere, è un miracolo. Rispetto a quello che avrebbe dovuto essere, è un disastro.” Miracolo, perché finalmente è stato fissato un tetto per il riscaldamento globale, pur al di sotto dei 2 gradi centigradi. Disastro perché la conferenza si è concentrata esclusivamente sul consumo di combustibili fossili senza tener conto della loro produzione, che costituisce in realtà il vero problema. Addirittura, in base alla legge sulle infrastrutture del 2015, si è imposto l’obbligo di “sfruttare al massimo il petrolio e il gas del Regno Unito”. Dello stesso tenore e anche più pesanti le critiche di numerosi scienziati e ambientalisti: James Hansen, l’astrofisico statunitense padre della consapevolezza del cambiamento climatico di origine antropica, ha definito le trattative di Parigi “Una frode”. Mentre per altri, pur riconoscendo che l’accordo non basterà a fermare il surriscaldamento globale, stiamo comunque andando nella direzione giusta.
E l’opinione pubblica? Nonostante in molte parti del mondo – in particolare negli USA – esponenti politici di destra neghino, minimizzino o ridicolizzino la tesi secondo cui l’attività umana è largamente responsabile dei mutamenti climatici, imputabili a sentir loro a uno schema naturale, la consapevolezza dei rischi ambientali provocati dai gas serra è fortemente cresciuta praticamente ovunque sul pianeta. Su questo cambio di mentalità Manuel Castells si è soffermato a lungo nel suo libro Comunicazione e potere (Università Bocconi Editore, Milano, 2009). Dalla ricerca del sociologo spagnolo emerge che sono stati gruppi di scienziati, movimenti ecologisti e personaggi celebri (appartenenti soprattutto al mondo dello spettacolo) i soggetti che hanno maggiormente contribuito a formare una coscienza collettiva globale sui danni provocati dall’aumento medio della temperatura terrestre. Internet e i mass-media sono stati i vettori decisivi per la diffusione di tale coscienza. Il Web ha permesso la costituzione di una rete ambientalista globale senza la quale forse l’attenzione del grande pubblico e della politica non sarebbe stata così alta com’è oggi. Mentre l’interesse dei media tradizionali si è concentrato sulla vendibilità della notizia. E come noto la cattiva notizia è la vera notizia perché facendo leva sulla paura permette di conquistare maggiore audience con conseguente aumento delle inserzioni pubblicitarie. Uragani, frane e alluvioni hanno così trovato largo spazio nell’informazione suscitando soprattutto un dibattito pubblico sulle sue cause. Tutto bene allora? Per niente, perché è ormai chiaro che la soluzione del problema riscaldamento globale dipende dal modello di sviluppo economico.
Giunti a questo punto ci si scontra col neoliberismo. Dottrina che impone con ogni tipo di violenza uno stile di vita orientato sul consumo dissennato di qualsiasi cosa, ambiente naturale compreso. Per il cittadino medio la domanda chiave allora è: sono disposto a ridurre i consumi e modificare il mio modo di vivere? E’ difficile rispondere a questo interrogativo perché l’egemonia economica neoliberista comporta anche un’egemonia culturale talmente efficace da non lasciare che spazi residuali a stili di vita basati sullo sviluppo sostenibile. E’ evidente allora che occorre una radicale trasformazione del sistema dei valori. Occorre un nuovo umanesimo. E in questa direzione una pietra miliare l’ha posta Papa Bergoglio con l’Enciclica Laudato si’. Documento che propone l’ecologia integrale di San Francesco come modello virtuoso per sconfiggere il degrado ambientale. Scrive Papa Bergoglio: “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare”.
Patrizio Paolinelli, via Po economia, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro.