DEVIANZA E PEDOFILIA
di Carmela Cioffi
Il soggetto della mia trattazione, dal titolo Devianza e Pedofilia, è un’analisi del processo di costruzione sociale della pedofilia e delle dinamiche ad essa correlate, è un’analisi dal punto di vista sociologico in quanto la pedofilia non si riflette solo in campo psicologico e giuridico, ma anche sociale. Attraverso l’utilizzo di metodologie di ricerca qualitative, ho trattato la Devianza e la Pedofilia come problemi sociali, per cercare di comprendere come vengono costruite le categorie dei devianti e come possono contribuire i più deboli a questa costruzione sociale.
<< == dott./ssa Carmela Cioffi
L’abuso sessuale in quanto atto grave si ripercuote sulla vittima con conseguenze altrettanto gravi. Per affrontarle e dove sia possibile superarle, si ha bisogno di un specifico supporto. Nel corso di questo mio studio ho potuto confrontare diversi autori e approcci sociologici che riflettono sulla pedofilia come realtà costruita e sugli attori e sulle pratiche che partecipano alla costruzione. Una lettura sociologica della pedofilia quindi e dell’abuso rituale, che rimanda ai fenomeni dell’amplificazione della devianza e del panico morale.
Il testo di questa mia tesi è suddiviso in sei parti:
- Il primo capitolo ripercorre quasi tutte le esperienze e le riflessioni personali che hanno ispirato questa ricerca, nonché le vari fasi di progettazione e reperimento delle fonti, autori e articoli di giornale e testimonianze.
- Nel secondo capitolo si affronta il tema della pedofilia e ci si addentra nella tematica dell’abuso, cercando di delineare la figura del pedofilo, evitando di ridurre il tutto a una cosiddetta “caccia alle streghe”, anche se forse, in questo caso, “caccia agli orchi” sarebbe più opportuno.
- Nel terzo capitolo si mette in evidenza come la tematica dell’abuso sessuale sui i bambini abbia assunto, negli ultimi anni, un’importanza e una dignità crescente, soprattutto grazie all’ampio rilievo offerto dai mass media.
- Nel quarto e quinto capitolo ci si chiede come spesso sia potuto accadere che le vittime di tali abusi siano state ferite da persone che officiano nel nome della chiesa prendendo come esempio casi che hanno avuto grande risonanza e che hanno indotto sia le singole diocesi che le conferenze episcopali nordamericane ad avviare inchieste e a proporre misure preventive. Per esempio il Governo Irlandese, per scavare a fondo nel fenomeno della pedofilia ecclesiastica, nel 2010 nomina una commissione d’inchiesta chiamata “Murphy”, costituita non per accertare l’autenticità dei fatti denunciati dalle vittime, ma per analizzare il comportamento delle gerarchie davanti ad essi. Inoltre si cerca di individuare quali siano le caratteristiche che legano il fenomeno dei preti pedofili con la carica che ricoprono nella società.
- Nell’ultimo capitolo riportano le testimonianze di bambini abusati da preti pedofili. Un resoconto durissimo, crudo, quello di David Pittit, allora bambino, ma uomo al momento della sua testimonianza, che chiama i fatti e le cose con i loro nomi, spiegando chiaramente la perversione del prete pedofilo e ciò che accade nella mente della giovanissima vittima, ma che allo stesso tempo non ha mai messo in dubbio la sua fede in Dio e la sua fiducia nella chiesa, pur essendo stato violato proprio da chi, all’interno della chiesa stessa, avrebbe dovuto proteggerlo. Nel lavoro ho riportato diverse interviste:
1- La testimonianza diretta di un abusato, che è poi diventato il motivo principale per cui ho deciso di trattare questo tema.
2- L’intervista al Dr. David Kolkò, che è considerato uno tra i maggiori esperti nel campo dell’abuso fisico e della violenza in famiglia attraverso una serie di domande e risposte sugli effetti, psicologici e non, che questi traumi possono avere sullo sviluppo del bambino.
3-L’intervista a Maria, la madre di Giorgio, un bambino abusato da un prete che ben descrive quali problemi ci si trova a dover affrontare anche nella propria comunità quando si è colpiti da un episodio di questo genere.
4-Una carrellata di casi di vittime di abuso, citati dalla stampa e raccolti dalla Rete L’abuso.
Quest’ultima parte definisce l’aspetto più importante ovvero “le vittime” degli abusi. I bambini che sono le vittime fragili di questi “maltrattamenti”, di tutti quegli atti e quelle carenze che turbano gravemente i più piccoli, attentando alla loro integrità corporea e al loro sviluppo fisico, intellettivo e morale. Gli eventi critici, la violenza e l’aggressività hanno effetti devastanti sulla salute fisica e mentale dei bambini, modificano radicalmente la percezione del loro stato di benessere e inducono un peggioramento significativo della loro qualità di vita futura e dell’ambiente famigliare, spesso agendo proprio sugli stili di vita e sulla modalità di comunicazione con il contesto di riferimento. L’unicità di ogni singolo abuso, delle caratteristiche del reato e di quelle della vittima richiedono studi con approcci complessi, spiegazioni e deduzioni, teorie e prassi operative non sempre di facile definizione, proprio per la complessità del contesto in cui ogni abuso avviene. La figura della vittima, per citare Quinney, ha una precisa funzione nel sistema sociale, proprio perché la definizione di vittima cambia a seconda dei modelli culturali delle classi dominanti. Molto interessante è il pensiero che la vittima, con la sua sola presenza nel sistema, dimostra quale minaccia sia stata inferta all’ordine sociale e quindi giustifica, rende giusto, l’intervento di misure repressive per il ripristino della cosa violata.
In questa mia ricerca, sempre ispirata dalla “cassetta degli attrezzi” di Marradi, mi sono riconosciuta nella persona della sociologa statunitense Mary De Young, che si è dedicata alla cura, alla prevenzione e valutazione dell’abuso sessuale sui bambini e grazie alla sua formazione sociologica ha iniziato a studiare casi di Ritual Abuse, conosciuto inizialmente come Satanic Ritual Abuse, che però negli anni ha perso via la sua accezione strettamente satanica.
La definizione di Ritual Abuse, il concetto di panico morale, i suoi modelli tradizionali e alcuni suoi sviluppi hanno offerto una chiave di lettura interessante per l’interpretazione dei risultati della mia ricerca. Il valore e l’utilità dello studio di fenomeni di panico morale risiedono soprattutto nel disvelare informazioni relative alla strutturazione della società moderna e dei legami sociali.
La discussione attuale sui preti pedofili – considerata dal punto di vista sociologico – rappresenta un esempio di panico morale. Il concetto spiega come alcuni problemi siano oggetto di un “ipercostruzione sociale”. Più precisamente, i panici morali sono stati definiti come problemi socialmente costruiti caratterizzati da un’amplificazione sistematica dei dati reali, sia nella rappresentazione mediatica sia nella discussione politica, caratteristiche che tipiche dei panici morali.
In primo luogo problemi sociali che esistono da decenni sono ricostruiti nelle narrative mediatiche e politiche come nuovi, o come oggetto di una presunta e drammatica crescita recente. Una caratteristica tipica dei panici morali: si presentano come nuovi fatti risalenti a molti anni or sono, in alcuni casi a oltre dieci anni fa, in parte già noti, ma con particolare insistenza, sono presentati sulle prime pagine dei giornali avvenimenti degli 1980 come se fossero avvenuti ieri, con un attacco concentrico. Ogni giorno si annuncia, una nuova scoperta volta ad infiammare polemiche, ciò mostra bene come il panico morale sia promosso da “imprenditori morali” in modo organizzato e sistematico.
I panici morali non fanno bene a nessuno. Distorcono la percezione dei problemi e compromettono l’efficacia delle misure che dovrebbero risolverli. A una cattiva analisi non può che seguire un cattivo intervento. I panici morali hanno ai loro inizi condizioni obiettive e pericoli reali, non inventano l’esistenza di un problema, ma ne esagerano le dimensioni statistiche. In una serie di pregevoli studi Jenkins, ad esempio, ha mostrato come la questione dei preti pedofili sia forse l’esempio più tipico di un panico morale. Sono presenti infatti i due elementi caratteristici: un dato reale di partenza, e un’esagerazione di questo dato ad opera di ambigui “imprenditori morali”. Il dato di partenza è che i preti pedofili esistono. Alcuni casi sono insieme sconvolgenti e disgustosi, hanno portato a condanne definitive e gli stessi accusati non si sono mai proclamati innocenti. Questi casi negli Stati Uniti, in Irlanda, in Australia spiegano le severe parole del Papa, come capo della Chiesa, e la sua richiesta di perdono alle vittime. Dal momento però che chiedere perdono, per quanto sia nobile e opportuno, non basta, occorre evitare che i casi si ripetano. Non esistono invece nella letteratura sociologica casi di Ritual Abuse avvenuti in Italia a partire dalla diffusione del panico morale. Essi si trovano però nelle narrazioni e nei discorsi dei professionisti, degli imprenditori morali e dei politici che hanno avuto in essi un qualche ruolo.
Il problema con i casi di pedofilia legati alla Chiesa è che questi sono preclusi anche alla divulgazione scientifica: gli atti rimangono secretati per parecchi anni e ciò impedisce a chiunque di svolgere un lavoro di ricerca d’archivio per chiarire gli aspetti oscuri delle vicende. Va detto che gli abusi rituali in Italia vengono chiamati “abusi collettivi”. Tra i casi più noti, che invece contengono elementi propri dei ritual abuse, possiamo menzionare quello dei cosiddetti pedofili della Bassa Modenese, e quello dei due asili di Brescia, Abba e Sorelli.
In conclusione la mia analisi propone che il ruolo delle istituzioni e degli attori che compongono i sistemi di intervento e di controllo sociale devono riacquisire coerenza ed equilibrio all’interno di strutture condivise ed accettate da tutti gli attori sociali, capaci di assumere come proprio e riconoscere anche un ruolo attivo alla vittima. Obiettivi di salute comuni e globali che tengano al centro il benessere della vittima e riducano i costi sociali dei processi primari e secondari di vittimizzazione attraverso una prevenzione efficace ed efficiente, ma soprattutto appropriata, perchè in assenza di politiche sociali mirate, tutto è lasciato senza alcun programma alle competenze della vittima, quando ne è in possesso, e all’incrocio di esse con i pochi mezzi che la società offre per superare il trauma. Queste risorse vengono gestite su proposte progettuali dal terzo settore e difficilmente trasformate in servizio pubblico. Se la vittima vive in una comunità che ha messo in programma risorse e servizi per il superamento e la riabilitazione del trauma, che fornisce mezzi per il risarcimento del danno subito o per azioni riparative, si ha conformità con le regole sociali e con quel contesto di vita, a maggior ragione se si ha il superamento del danno causato dall’essere vittima con una certa acquisizione di sicurezza e tutela. Allo stesso modo può verificarsi una situazione di non conformità se la società fornisce i mezzi, ma la vittima di abuso non è in grado di superare il trauma o nel caso in cui la vittima di abuso non veda riconosciuti i propri diritti perché non previsto dalle norme o ancora quando la vittima di abuso, annientata dal proprio patimento e senza alcun sostegno, si chiude al mondo.
L’ultima riflessione riguarda la capacità di reazione e superamento dell’evento critico di quella vittima di abuso che ha avuto adeguati processi di socializzazione primaria e secondaria e che attraverso la strutturazione della sua personalità, indipendentemente dal suo status sociale, dalla classe di appartenenza, dal ruolo o dalle sue condizioni psico-sociali, riesce a reagire al trauma attraverso le norme condivise e con strumenti e mezzi adeguati.
Un’imperfetta socializzazione nell’ottica parsonsiana invece può determinare una vulnerabilità che può rendere il soggetto facile preda sia di rivittimizzazione che di crimini. Così è possibile che gli operatori si trovino di fronte ad un adattamento passivo e alla rinuncia quando la vittima perde la fiducia negli strumenti e nelle possibilità offerte in termini di servizi e risorse dalla società rimanendo in una situazione paralizzante e frustrante di possibilità di cambiamento. L’emarginazione delle vittime abusate all’interno del sistema di protezione e sicurezza sociale avviene quando vi è frattura dei valori del riconoscimento della dignità umana e del valore della persona in quanto membro della società. Trovare congiunzioni e congruenze relazionali nei sistemi teorici e operativi di supporto alle vittime di abuso significa costruire una sociologia della vittima abusata vicina alle persone, capace di non rimanere assunto teorico, ma di essere fonte di conoscenza, funzionale, proattiva e di reale stimolo ai sistemi di aiuto e sostegno, che ci auguriamo sempre più organici, complessi, efficaci ed efficienti, ma soprattutto rispettosi dei diritti del fanciullo, dei diritti del cittadino, di politiche sociali concrete e finalizzate al sostegno delle vittime fragili i bambini a tutela e protezione di coloro i quali presentano vulnerabilità ed esperiscono dolore a causa di un abuso subito, capaci di sguardi significativi e attenti.