Il borghese e lo sguardo. Mutazioni dei sensi nella civiltà capitalistica
Saggio di Patrizio Paolinelli

1. Il capitalismo è un modo di produzione fondato sulla merce. La civiltà capitalistica è un sistema di riproduzione sociale della forma-merce in forma-pensiero. Questo tipo di riproduzione si fonda sull’instabilità e la trasformazione, sullo sviluppo e la sua crisi. Qualità che trovano nella città il luogo di affermazione. E la città ha esteso ovunque la sovreccitazione sensoriale come modo di vivere, ha esteso in chiunque un sistema di bisogni percettivi corrispondente a quella sovreccitazione. Vettori dell’estensione sono i mass-media. Il loro ruolo è oggetto di molteplici analisi. Quelle critiche hanno generato concetti interni alla nozione di riproduzione sociale quali: la trasmissione ideologica dell’individualismo borghese, l’induzione al consumismo, la spettacolarizzazione della merce, la manipolazione dell’opinione pubblica, il pensiero unico. I risultati sono notevoli: nessuno si aspettava che i riproduttori della civiltà capitalistica dessero vita a un poderoso movimento transnazionale di opposizione sociale alla globalizzazione neoliberista. Una sorpresa della storia che ha affrontato a viso aperto la marcia trionfale del capitalismo dopo il crollo del socialismo reale e le forsennate retromarce della sinistra moderata europea colpevolmente incapace di cogliere le occasioni spalancate da quel crollo.
2. Uno dei libri che ha gettato le basi per una definizione delle istanze del movimento è No Logo, di Naomi Klein: inchiesta giornalistica che individua nel marchio aziendale una merce-immagine il cui valore simbolico è immediatamente politico. E la politica dei marchi aziendali contiene un elemento illiberale del controllo sociale: lo scambio a senso unico che trasferisce la personalità del prodotto nell’identità delle persone. La riduzione dell’esistenza a una <vita sponsorizzata>, <la piena integrazione tra pubblicità e arte, marchio e cultura>, l’espansione coloniale del marchio nello spazio mentale, l’innesto dell’immagine del prodotto nel modo d’essere e di apparire sono effetti che segnalano il profondo mutamento di statuto della merce, la radicale trasformazione del rapporto tra percezione e pensiero, lo stretto rapporto tra liberismo e totalitarismo. Rapporto che emerge dalla congiura del silenzio da parte dei mass-media sulla notevole quantità e qualità di forme di resistenza al potere del branding puntualmente descritte nell’inchiesta della Klein. Ma i mass-media non si limitano a pilotare l’informazione. Fanno molto di più: si appropriano delle icone nate dalle linee di fuga dell’immaginario critico e le mercificano assegnandogli un valore simbolico che entra in concorrenza con altre icone. Per evitare di finire nel ciclo della riproduzione No-Logo è un marchio registrato. Buona mossa. Commercializzandosi ha evitato la commercializzazione. Ha evitato la sicura sconfitta. A conferma della guerra tra griffe per catturare lo sguardo. A conferma della sottigliezza metafisica della merce.
3. La riproduzione della civiltà capitalistica è oggi l’oggetto del modo di produzione capitalistico: le idee dominanti sono le merci principali vendute dai dominatori. Sul piano pratico-ideologico obiettivi della borghesia sono: la prevalenza del mercato sulla società, il conseguente sogno liberale di estinguere lo Stato e l’altrettanto conseguente mercificazione di ogni cosa. In buona misura gli obiettivi sono stati centrati generando anche il loro contrario: un’opposizione mondiale contro il pensiero unico. Forze antisistema propongono modelli di sviluppo alternativi alla globalizzazione capitalistica, rapporti più equilibrati tra centro e periferia, tra produzione e consumo, tra società e ambiente. Lo scontro è aperto. Rispetto al passato la dimensione del conflitto sociale è su scala planetaria. In continuità con il passato la riproduzione della civiltà capitalistica avviene attraverso strutture profondamente antidemocratiche identificate da Samir Amin in cinque monopoli <che consentono al centro di polarizzare il mondo a proprio esclusivo vantaggio>: il monopolio tecnologico, il controllo finanziario dei mercati finanziari di tutto il mondo, l’accesso monopolistico alle risorse naturali del pianeta, il monopolio sulle armi di distruzione di massa, il monopolio sui media e la comunicazione.
4. La riproduzione della civiltà capitalistica avviene grazie al monopolio borghese dei media e della comunicazione: monopolio strategico per la combinazione di forze degli altri monopoli. Ed è a questo livello che si esercita una vasta opposizione. Lo strumento teorico del movimento e dei comunisti che sono dentro il movimento è la critica alle idee dominanti. E il discorso critico è in genere organizzato intorno ai seguenti postulati: demistificazione ideologica (della retorica sul pluralismo dell’informazione, sulla sovranità del consumatore ecc.), denuncia di una condizione asimmetrica e/o d’ingiustizia, rivelazione delle minacce più o meno occulte alla libertà, smascheramento della realtà, enunciazione di proposte alternative. A questa struttura discorsiva è plausibile agganciare nuovi postulati, nuove enunciazioni in grado di cogliere fattori di forza e di debolezza del monopolio capitalista dei media e non ancora precisamente individuati. Il punto di partenza è costituito da una domanda tanto macroscopica quanto semplice: è possibile superare la cultura borghese?
5. Le ondate tecnologiche producono maree di tecno-ottimisti. E le varie tribù di tecno-ottimisti sono divise tra loro da visioni radicalmente opposte. Due esempi: il Media-Lab del MIT di Boston capitanato da affaristi come Nicholas Negroponte schierato con la commercializzazione della convergenza tra informatica e media; i sostenitori della democrazia elettronica schierati con le comunità virtuali e ispirati da guru come Howard Rheingold. In genere entrambi i poli si attestano sulla nozione di società dell’informazione. Nozione di successo adottata persino nei documenti ufficiali dell’Unione Europea e nella versione del cyberspazio o ciberia da trasgressori impenitenti come Timoty Leary: <La funzione principale dell’essere umano del Secolo XXI sarà l’immagigneria –ingegneria dell’immagine- e la fabbricazione di realtà elettroniche; per imparare a esprimere, a comunicare e a condividere con altri le meraviglie del nostro cervello>. L’obiettivo è nobile. Ma al momento l’imagigneria è ad esclusivo appannaggio di una ristretta élite. Per favorirne l’estensione le profezie progressiste hanno un lavoro di autoconoscenza da compiere. Lavoro che parte dallo scrollarsi di dosso un elemento della cultura borghese: l’ideologia del determinismo tecnologico che presiede al concetto di società dell’informazione. Si tratta di un atteggiamento pseudorazionale che suppone la digitalizzazione di ogni cosa come un progresso in sé senza alcuna considerazione delle scelte politico-economiche che hanno determinato tale sviluppo e senza considerarne l’impatto sociale reale. Senz’altro entro un paio di generazioni l’Information Communication Technology (ICT) stravolgerà l’attuale ordine visivo: su Internet la tradizionale pubblicità dei vecchi media non funziona. Ma da questo a presagire una società svincolata dalle grandi corporation in virtù del solo progresso tecnologico ce ne passa. La battaglia contro i meccanismi di riproduzione della civiltà capitalistica si combatte sul terreno della politica e non su quello delle applicazioni tecnologiche per il semplice fatto che l’attuale tecno-scienza è un punto di vista semiotico e materiale. In una parola: non è oggettiva. In due parole: l’oggettività non esiste. In definitiva: l’osservatore è sempre di parte. Ciò non toglie che l’ICT non sia una buona occasione per i movimenti antisistema: per restare in Italia le reti di comunicazione alternativa presenti nel Web costituiscono una delle poche opportunità per lottare contro la dittatura mediatica di Berlusconi.
6. La cultura aziendale e la mercificazione della cultura diffusa dal monopolio capitalista sui media determinano l’essere prima ancora della coscienza. È una presa di posizione del pensiero critico che presenta tre vantaggi: permette di evitare il meccanicismo che interpreta la cultura come cinghia di trasmissione dell’economia; riconosce alla semiosfera, ossia l’ambiente culturale in cui circolano, si integrano e si trasformano i singoli atti della comunicazione, il triplo ruolo di: produttori di consenso sociale, contestatori del consenso sociale, merci immateriali generatrici di comportamenti materiali; il terzo vantaggio consiste nel ricondurre la critica alle radici bio-culturali dell’essere, al rapporto tra i sensi umani e le merci-immagine destinate a soddisfarli. Il telecomando che permette di accedere a decine di canali richiede una base fisica non ancora sviluppata dallo spettatore ottocentesco che nel buio delle prime sale cinematografiche si spaventa e fugge all’avanzare del treno sullo schermo. La mise super-sexy da italica soubrette televisiva con cui si abbigliano oggi ragazzine in età pre-puberale è un’altra manifestazione del riorientamento sensoriale. Cosi come lo sono le brucianti sconfitte che i bambini infliggono ai genitori quando gareggiano davanti ai videogiochi. Certo: l’addestramento dell’occhio e del cervello per muoversi in nuovi ambienti visivi è un dato ricorrente, basti pensare ai passaggi che vanno dall’introduzione della prospettiva nella pittura alla visione mobile e delocalizzata permessa da handy-cam, fotocamere digitali, videofonini. Ma la coevoluzione bio-culturale conosce fasi di accelerazione. Oggi attraversiamo una di queste fasi. E i processi di adattamento alle merci-immagini premiano nuove esperienze sensoriali. Una conferma dalle neuroscienze: il rapporto tra cervello e ambiente è un circolo virtuoso. Jean Pierre Changeux: <La macchina cerebrale costruisce rappresentazioni mentali perché essa è rappresentazione del mondo circostante>.
7. Il potere della merce-immagine consiste in questo: segni e simboli, marchi e linguaggio sono materie prime costantemente lavorate per gestire il mercato e le sue crisi. Esempio: nell’economia della riproduzione capitalistica il ruolo immateriale di dimensioni quali il design, il colore, il look diventa essenziale per la conquista dell’occhio: cavallo di Troia per espugnare il gusto e il tatto. La merce-immagine ha tendenze olistiche: tutto è in rapporto con tutto: bisogni e cultura, esperienza e denaro. La merce-immagine: un inquieto rapporto sociale che fa interagire funzionalmente percezioni e realtà. La merce-immagine: una sintesi mai compiuta, un’ecologia del valore che determina il remix del sistema sensitivo umano. Conseguentemente: odori, sapori, paesaggi, suoni e cose sono sottoposti a una mercificazione che non si esaurisce nella compravendita. Sconfina nella politica perché tutto è mercato: la comunicazione e la socializzazione, l’informazione e lo spettacolo, l’attività biologica e l’attività culturale, il piacere e il dolore.
8. La riproduzione del capitalismo è nel segno della trasformazione dell’esperienza sensoriale, include dominati e dominatori ed è oggi concentrata sulla produzione di un nuovo essere e di una nuova coscienza, di un nuovo sistema percettivo e di un sistema di idee. La presa del potere borghese sull’apparato sensoriale umano profila un’inedita sinestesia, una nuova coordinazione dei sensi integrata ad un immaginario generato da vecchi e nuovi media: processi di mutazione che alcune correnti dell’arte contemporanea stanno sondando da tempo. Sul piano della riflessione critica siamo in ritardo. Troppe volte non si prende atto che il liberismo prima di costituire un’ideologia è una pratica di adattamento in grado di servirsi di ogni ideologia, in grado di prosperare sotto ogni circostanza politica. Camaleontica capacità che gli permette la tanto gridata quanto silenziosa rivoluzione sensoriale al cui vertice impera un sesto senso assai eccentrico: lo sguardo mediatizzato.
9. I sensi umani sono una società naturale. Cooperano tra loro così come cooperano i meccanismi della mente. In quanto società ogni senso è dotato di ragioni e passioni, saperi e poteri: è dotato di una storia. La separazione dei sensi è un artificio conoscitivo. Nella prassi attaccano in branco rispettando ruoli, gerarchie e aspettative. Nella prassi prevale la natura sinestetica del gesto che si appropria di determinate merci-immagine: aprire la lattina della bibita preferita, guidare la motocicletta a lungo sognata, indossare jeans attillati… La ricerca del piacere unifica i sensi e li coordina dando modo al cervello di assegnare significati alla realtà. Il mondo esterno sfida continuamente gli organi percettivi in una partita senza fine. Si potrebbe elaborare una nuova psicologia, una psicologia materialista partendo dalle pratiche percettive. Gli sguardi più o meno innamorati preludono all’incertezza del tatto, all’intimità del gusto e dell’olfatto, agli stimoli delle parole e ai dolorosi dubbi che alimentano il desiderio o lo stroncano. Gli sguardi giudicano e selezionano l’altro, le mani maneggiano carta-moneta e materiali innaturali, i consiglieri d’amministrazione delle multinazionali del fast-food non si nutrono di hamburger e patatine fritte, odori e profumi stabiliscono differenze, distanze e vicinanze, le parole trasformano la realtà agendo sotto forma di ordini, raggiri, menzogne, insulti. La mortificazione o la soddisfazione dei sensi concorre a determinare l’umore di un individuo, di un gruppo, di una società. In genere sono considerate raffinate quelle civiltà che ordinano i sensi intorno a elaborate visioni del piacere. E l’occhio la fa da padrone. La versione attuale del suo dominio ha compiuto un salto nel cammino della coevoluzione bioculturale: nella civiltà capitalistica non c’è separazione tra merce-immagine e immagine della merce.
10. La civiltà capitalistica è un sistema vivente attualmente in grado di accelerare i mutamenti bio-culturali. Domanda: se le conseguenze dello sviluppo industriale e della modernizzazione hanno modificato la direzione evolutiva della natura perché il repertorio percettivo umano sottoposto alla pressione dei media sarebbe dovuto restare inalterato? È noto: le funzioni cerebrali possono essere modificate dall’esperienza. Di conseguenza: spettatori e internauti hanno sviluppato capacità decodificatrici multimediali parallele allo sviluppo di tecnologie che trasmettono simultaneamente codici di tipo polisemico attraverso spot pubblicitari, video-musicali, ipertesti, pagine Web. Le nuove abilità indicano due percorsi da esplorare sulla percezione visiva compatibile con l’ICT: 1) lo sguardo si è evoluto in relazione agli effetti reversibili tra merci e immagini; 2) il rapporto dello sguardo con i meccanismi di riproduzione della civiltà capitalistica è autoalimentante. L’origine di entrambi i percorsi è conflittuale: il borghese lavora la coevoluzione bio-culturale ai fianchi. Il primo punto di attacco è di vecchia data nella storia del razzismo/colonialismo di tipo capitalistico. Consiste nella rendita dell’eugenetica e nei salti di soglia resi probabili dai futuri sviluppi dell’intreccio tra ingegneria genetica, rivoluzione informatica, business. Il secondo punto di attacco è meno eclatante. Consiste nella capitalizzazione di nuove performance sensoriali che indirizzano in maniera diseguale l’evoluzione biologica della specie umana per mezzo della riproduzione culturale.
11. Molti pensano che ai progressi scatenati dall’irruzione della tecnologia in ogni aspetto dell’esistenza umana non corrisponda un’altrettanta crescita della coscienza. Il punto è un altro: la civiltà capitalistica ha aperto una falla bioculturale che non distingue: il sistema dei valori dai mutamenti sensoriali, il cervello dall’ambiente, la percezione dall’esperienza. Se questa nuova finestra apre in maniera plausibile a un orizzonte conoscitivo allora: all’evoluzione biologica determinata dal rapporto tra media e merci-immagine corrisponde un’evoluzione culturale fondata su nuove forme di cooperazione: tra i sensi, tra i sensi e la realtà. L’attenzione critica può così spostarsi verso l’alto: dalla coscienza all’essere; e verso il basso: dall’essere alla riconfigurazione sensoriale. In ogni caso restiamo sul piano dell’immanenza: nella nicchia ecologica abitata dai mondi sensoriali dell’Homo sapiens si combatte una battaglia tra un ottimo performativo di tipo capitalista e l’emancipazione dell’intera specie umana. Bisogna prenderne definitivamente atto: il sistema borghese dei valori è esclusivo ed escludente. Ma pragmatico: l’habitat è chiuso a differenti modi di produzione e aperto a differenti modi di riproduzione: l’homo oeconomicus è uno e molteplice. Precisazioni necessarie: per il borghese la negazione dell’etica non è storicamente costante, non è volontaria, non riguarda i borghesi in quanto individui, non è il risultato di un progetto preordinato o effetto di un’inclinazione particolarmente malvagia, infine: coinvolge pienamente gli oppositori della borghesia. Sono le trasformazioni della merce a spingere l’agire del borghese e la lotta contro l’agire borghese. La domanda conseguente è: in quali direzioni il capitalismo dirige l’evoluzione dello sguardo?
12. Lo sguardo mediatizzato è una modificazione della percezione amministrata dal potere dei mass-media. Dipende dagli altri sensi ma li domina, è di tipo tattile, impone la partecipazione sensoriale attiva di individui, gruppi, società, comprende i principali modi del guardare, è immediato, è mediato dalla tecnologia, comunica principalmente per immagini, è interclassista, intergenerazionale e non conosce distinzioni sessuali, è plurale ma non democratico, è strutturato per reti, è difficilmente traducibile a parole, è tendenzialmente antistorico, è il guardiano della memoria, è anticipatore della conoscenza, seleziona il meraviglioso e i suoi contrari, influenza la struttura del sentire, agisce sull’immaginario collettivo, stimola aspettative, aspirazioni, emozioni e trasforma il dolore di aspettative mancate, aspirazioni tradite ed emozioni irrealizzate in creatività artistica, iniziativa politica, movimento critico. Lo sguardo mediatizzato privilegia il tempo dell’accelerazione, vive il cambiamento come bisogno, soffre per l’inflazione di stimoli visivi, definisce l’identità soggettiva e collettiva, costituisce l’ordine visivo dominante, proviene dalla vita reale e si risolve nella vita reale, evolve storicamente, evolve biologicamente, scaturisce dall’agire politico del principe della modernità e della post-modernità: il borghese.
13. Per gran parte della sua vita Marshall McLuhan ha lottato contro Satana. Questo inconsueto ritratto emerge dalla corrispondenza privata pubblicata postuma. McLuhan ritiene Tv, radio e telefono strumenti del Maligno annidato negli ambienti elettronici. Posizione mantenuta segreta al grande pubblico che peraltro non si è mai impegnato troppo a discutere se il villaggio è globale o locale. Non è strano che da un visionario e da un reazionario della portata di McLuhan siano emerse intuizioni utili al materialismo. Proprio perché sentiva di avere una missione da compiere a McLuhan il coraggio intellettuale non faceva difetto e rompeva gli schemi cercando relazioni e significati dove pochi o nessuno pensavano di trovarli. In questo senso non era un conservatore. Tutt’altro. L’idea dei media come estensione dei sensi e l’immagine di equilibrio sensoriale sembrano uscite dalla testa di un ateo. Invece no. Sono uscite da quella di un fervente cattolico. Per McLuhan ogni ambiente mediatico privilegia un particolare equilibrio sensoriale. La cultura orale favorisce l’orecchio. Quella scritta l’occhio. La cultura delle immagini l’esperienza audio-tattile. La Tv è uno dei vari agenti tattili perché guardare un’immagine è un’esperienza che chiede la partecipazione totale di tutti i sensi e: <Il tatto è un senso integrale, quello che porta tutti gli altri in rapporto tra loro>. A partire da questa riconversione della percezione non viviamo più in un mondo visivo ma tribale. Un mondo teso al recupero di esperienze ancestrali, orientali, occulte. Nell’epoca della televisione e di Internet il passato è facilmente attualizzato in una compresenza di tempi storici che conduce alla tribalizzazione della società. Qui finisce la canzone di McLuhan.
14. La perturbazione percettiva causata dallo sviluppo del monopolio borghese sui media e la comunicazione ha provocato un riorientamento dei domini di validità sensoriali così articolato: la vista gusta, l’udito fiuta, l’olfatto ascolta, il gusto tocca, il tatto vede. Lo slittamento percettivo verso nuove specializzazioni segna l’appartenenza dell’individuo ad un’epoca. Nella nostra il centro percettivo è lo sguardo mediatizzato: risultato della combinazione tra la vista che gusta, il tatto che vede, l’udito che annusa. Una simile riconfigurazione della costellazione sensoriale non è pacifica per il rapporto tra cultura e biologia. Tutt’altro. Nella civiltà capitalistica l’udito è costretto a nuove dislocazioni delle proprie utilità: da organo prioritariamente deputato a permettere la riconoscibilità del mondo assegnando coerenza ai suoni a organo specializzato nel fiutare il pericolo e la salvezza dal pericolo: dalla necessaria identificazione del rumore di un’automobile per non essere stirati, agli inviti delle parole d’amore nelle canzoni trasmesse in ogni dove. È l’udito che scatena quell’abbraccio simulato che è l’applauso. E non si è mai applaudito tanto come in un’epoca di solitari che guardano a sé stessi qual è la nostra. La sensibilizzazione dell’udito è un’allerta tanto continuo quanto improvviso stimolato dai media e soprattutto dalla loro grande madre: la pubblicità. Un tempo il suo modo di accendersi e spegnersi apparteneva all’olfatto: oggi alle promesse degli spot televisivi. Evoluzione o disagio della civiltà che mette in moto due processi: attente disattenzioni e comunicazione dell’incomunicabilità. Risultato: il monologo interiore ha spodestato il dialogo. Ma l’udito resiste, si mette all’ascolto di tutte le differenze e crea i pubblici di massa e di nicchia. Che ascoltano e si ascoltano. L’udito crea il problema delle relazioni umane. Crea il soggetto autonomo e l’aspirazione alla qualità della vita. Crea l’attenzione verso la consumer technology e la fuga dalla consumer technology. Nella civiltà capitalistica i sensi si fanno concorrenza.
15. L’olfatto è il senso umano maggiormente negato dai processi più recenti della coevoluzione bio-culturale. Diane Ackerman lo definisce: <il senso muto, l’unico privo di parole>. Tra linguaggio e odorato il contatto è debole. Tra odorato e memoria il contatto è forte. Ecco trovati due filoni da sfruttare per la riproduzione della civiltà capitalistica: il potere di censurare gli odori e l’insopprimibile potere evocativo degli odori. Ma come mettere al lavoro la volatile comunicazione olfattiva? Collocando in posizione subordinata i suoi messaggi e riconvertendo le sue funzioni nell’ascolto. È un’attività segreta, solitaria, selettiva. Che tratta molecole, oggetti immateriali tanto quanto lo sono i suoni. L’olfatto convertito in udito non è privo di una socializzazione rovesciata: gli odori respingono più delle parole, i profumi aggregano senza dire una parola. Guerra agli odori e guerre tra odori. È il generale igiene a chiedere dalle Tv di tutto il mondo di vigilare su invisibili molestie: taci l’odore ascolta. È la concorrenza commerciale tra profumi che chiede al naso di catalogare e paragonare, decidere e acquistare: sorridi la dolce fragranza di sandalo è a portata di tutti. All’olfatto spettano ormai pochi piaceri pubblici: il naso primitivo che tutto sentiva è capitolato dinanzi alla supremazia dello sguardo.
16. L’industria del palato fa parte della maggiore industria della post-modernità: l’industria del piacere. Grazie all’ingresso nel febbricitante circuito lavoro/consumo/lavoro la crisi del gusto è sempre dietro l’angolo e il suo rilancio sempre all’ordine del giorno. Sapori genuini o sapori artificiali? Weekend enogastronomico o pranzo domenicale dai genitori? Bacio sicuro o bacio protetto? La trasformazione del gusto in quel che un tempo era il tatto coincide con la massiccia riduzione del lavoro manuale e del rapporto diretto con le cose. Gli oggetti che prolungano la mano come ad esempio la falce e il martello spariscono in virtù della tecnologia, si fanno pensanti, sono il risultato del design e il tatto ha sempre più a che fare con la plastica o suoi derivati. Il contatto della bocca con il cibo è ancora un coinvolgimento diretto: lavora e trasforma come la falce e il martello. È un appuntamento obbligato tra individuo e materia. È un lavoro di tipo operaio, artigianale. Il che solleva specifici conflitti: sciopero della fame, fame nel mondo, contestazione del geneticamente manipolato. E specifiche patologie: bulimia, anoressia, paure collettive per il junk-food e il Frankstein-food. La specialità del gusto che tocca risiede nella memoria del piacere: ricamare sui ricordi dei bei sapori andati, accarezzare la nuova cultura alimentare: artificiale o naturale che sia. Nostalgia e fine della nostalgia. In ogni caso: buoni affari.
17. La psicologia del vedere ha dimostrato la capacità del sistema visivo umano ad adattarsi rapidamente a nuove condizioni: la percezione è un processo attivo che si confronta con processi attivi. Le merci-immagini che sollecitano lo sguardo da dietro le vetrine, dagli schermi televisivi, dalla pubblicità ambientale sono fonte di stimoli e depositarie del tempo presente: è la loro presa sul principio di realtà. Ma il rapporto tra i nostri organi periferici e gli oggetti ha sempre comportato l’intervento coordinato di tutti i sensi e il superamento dell’esperienza sensoriale diretta: lo sguardo è un processo dinamico che dà vita a trascendenze extrasensoriali. Konrad Lorenz osserva con affetto i suoi vecchi pantaloni, la sua superata automobile e a molti capita di litigare con il proprio personal computer. Un tipo di animismo il cui significato è assai semplice: lo sguardo s’innamora. Sentimento dilatato a dismisura dalle abilità visive nate dall’incontro tra vista, merci-immagine, vecchi/nuovi media: da quest’incontro la morsa del borghese sul principio di piacere.
18. Lo sguardo mediatizzato sorvola lo spazio errante offerto dai perenni e postmoderni flussi di immagini e informazioni proiettate e trasmesse da fotografia, televisione, cinema, computer, pubblicità. Lo sguardo mediatizzato è l’apertura dello spazio interiore nello spazio esteriore: è il movimento di continuità dell’uno nell’altro. Cosa c’è di più piacevole per i sensi della maledizione di Baudrillard che dissolve la Tv nella vita e la vita nella Tv? Lo spazio errante è un ambiente artificiale e vivente. In quanto tale non è identificabile come un punto finale perché il tempo è movimento, la realtà conflitto, la vita è scorrere, i media eserciti in guerra, la vista è il punto di vista. Lo spazio errante è un ecosistema altamente complesso. È un oceano che contiene il divenire dell’essere ed è contenuto dall’essere del divenire tipici della civiltà capitalistica. Energie che non si lasciano imbalsamare dalla variante nichilista della cultura post-moderna.
19. L’integrità compiuta tra io e mondo, tra sensi umani e realtà vede la luce nell’attuale sintesi tra mediascape e realscape, tra identità e vivente. Volendo essere pignoli non è una novità: la relazione tra l’essere e la società, tra l’essere e la natura è di reciproca appartenenza. Ma proprio perché fedele a se stesso il vecchio principio si rinnova dentro la morfologia dello spazio errante. Che in quanto movimento di riproduzione della civiltà capitalistica è di tipo materialista. Materialismo negativo che trova nel senso della vista la prima fonte di appagamento dell’essere. L’occhio scivola sullo spazio errante tramite lo sguardo mediatizzato. Sguardo sintetizzato nel perfetto slogan: la vita è un film. E l’idea che la vita sia un film è una riorganizzazione strategica del reale non il suo de profundis.
20. Lo sguardo mediatizzato assume le caratteristiche dell’ambiente in cui si è adattato: lo spazio errante. Accelerazione, ubiquità, simultaneità, turbolenza costituiscono forze che abbattono i vincoli visivi e territoriali: tutto può essere visto dappertutto e ovunque si vedono agire le stesse tendenze. Non c’è alcun giudizio di valore in quest’affermazione né l’adesione acritica all’idea di globalizzazione. Per i marxisti è cosa risaputa: l’affermazione del capitalismo comporta di per sé la mondializzazione del suo modello socio-economico. E le novità della mondializzazione non risiedono nel nominalismo ma nelle trasformazioni del modo di produzione e del modo di riproduzione. Una formula per leggere le trasformazioni: la merce-immagine ha rilanciato il modo di produzione capitalistico perché non c’è niente che non sia possibile convertire in merce-immagine. Altra formula: lo sguardo mediatizzato ha rivitalizzato il modo di riproduzione della civiltà capitalistica perché non c’è niente che non sia possibile vedere attraverso lo sguardo mediatizzato. È evidente che entrambe le pratiche sono di tipo coloniale, non conoscono regole e dove passano si lasciano alle spalle morti e feriti. Ma non segnano confini. Lo spazio errante è potenzialmente infinito.
21. Il dolore è una qualità della percezione che si somma ai classici cinque sensi. Senza dolore fisico non potrebbe esserci vita naturale: è un’appartenenza del principio di realtà. Senza sofferenza psichica non potrebbe esserci vita sociale: è un’appartenenza del principio di piacere. Come ogni senso anche il dolore è un mondo dentro il mondo. La sofferenza psichica che ha accompagnato la febbre della modernità e della post-modernità è un fenomeno ricorrente che limita i sensi e contemporaneamente li espande. Quentin Fiore e Marshall McLuhan localizzano il dolore provocato dai nuovi media e dalle nuove tecnologie, in quanto <auto-amputazioni del nostro stesso essere>, nella categoria del dolore riferito: la sofferenza mentale che sopravvive anche dopo la scomparsa della fonte del dolore. Recentemente il contorto Luc Boltanski ragiona sul fatto che quanto più la sofferenza presentata quotidianamente dai media è geograficamente lontana dalla sede dello spettatore tanto più questi è spinto all’azione tramite la presa di posizione, eventualmente la manifestazione in piazza, la partecipazione a gruppi umanitari. Implicazione per nulla inedita. Lo stesso coinvolgente meccanismo mediatico agisce sul fronte del principio di piacere: quanto più è irraggiungibile la bellezza dell’attore o della soubrette al di là dello schermo tanto più viene imitata dallo spettatore e dalle spettatrici al di qua dello schermo. Lo sguardo mediatizzato non è vissuto da un occhio epicureo: è un utilitarista privo di saggezza.
22. Lo sguardo mediatizzato conosce l’esperienza del dolore perché nell’epoca dell’intimità esibita e della guerra mediatica nessuna immagine è inaccessibile. La fortuna/sfortuna dello sguardo mediatizzato è tutta qui: non è osservato. Svincolato dal panopticon, il luogo da cui tutto si vede e da cui la visibilità si trasforma in trappola, lo sguardo mediatizzato sprigiona la soggettività borghese. Che: evade rispondendo al bisogno innato di guardare ovunque per sopravvivere ovunque; è invasiva come capita a tutti gli osservanti costretti ad assumere tutti i punti di vista; è in perenne fuga dalla propria condizione come capita a tutti i cercatori di un’età dell’oro. Il sogno americano, il sogno borghese non è fatto di nient’altro che colpi d’occhio: equivalenti ai segreti colpi di stato dello spettatore e dell’internauta che vedono senza essere visti. Così il dolore si vince con la produzione di sguardi che guardano ma non vedono. È il sogno compiuto della merce. Ma nell’epoca del voyeurismo di massa è un drammatico errore politico pensare di trovarci gettati nella visibilità totale come ipotizzano diversi teorici post-moderni, Baudrillard in testa. È sovraesposto l’intero universo della soggettività e del desiderio confezionati su misura per i ceti medi. Nient’altro. L’élite borghese non guarda la televisione. E la vita materiale delle classi popolari è esclusa dalla rappresentazione mediatica della realtà.
23. Nella materialità vivente: poveri, prostitute e disagiati mentali popolano in quantità sempre maggiori le città e sono sempre più visibilmente invisibili quanto più assediano gli avamposti del benessere. Nella fantasia: la saga cinematografica di Alien: il mostro che ti invade da dentro; Videodrome: la Tv che ti incorpora; The Truman Show: la televita. L’omeopatia non c’entra. Neanche l’anestesia. Abituato a guardare il dolore che ancora non c’è e a rifiutare di vedere quello che lo circonda lo sguardo mediatizzato produce solide disabitudini. Alla fin fine il suo bisogno inconfessabile è la rinuncia agli altri sensi. Un bisogno che sconfina in un sogno impossibile. Al momento un disegno a malapena abbozzato dalla civiltà capitalistica delle immagini. Opera incompiuta perché uno sguardo simile sarebbe costretto a un dolore smisurato per il quale non è pronto un adeguato ambiente tecnologico: un nuovo territorio abitato da individui capaci di fare a meno dell’attuale equilibrio sensoriale. Le biotecnologie sono forse su questa strada. E la poetica di molti artisti-performer la indicano con precisione. Ma solo le élite borghesi possiedono informazioni in proposito. Per il momento sul grande schermo compare il dolore disumano rappresentato in Blade Runner e la riumanizzazione post-quello-che-ti-pare rappresentata nel primo Matrix.
24. La coincidenza tra mediascape e realscape transita indifferentemente dal piacere al dolore e viceversa. Non c’è soluzione di continuità tra le due condizioni. Sicuramente entrambe hanno perduto la loro aura. La sofferenza non coincide più con i piaceri visivi offerti dallo spettacolo circense degli antichi romani né con lo splendore dei supplizi narrato da Michel Foucault. Alla fame sessuale corrisponde il digiuno del dolore. È una conquista dello spettatore post-moderno non una rinuncia. Dinanzi alle atrocità, all’indigenza e alla morte lo sguardo mediatizzato si trova nella condizione allucinata dell’eremita: l’isolamento sensoriale lo conduce a percezioni extrasensoriali. Nel caso dello sguardo mediatizzato la mossa dell’osservante è di segno negativo: il miraggio è rovesciato, la visione apre le porte all’invisibilità. In una parola: il dolore altrui è visto e contemporaneamente negato. Il rifiuto di vedere la sofferenza sociale è un comportamento intelligente che richiede complicate strategie organizzative di azione e inazione da parte di individui, gruppi, istituzioni. Per spiegare i castelli mentali con cui la normalità si protegge, giustifica e razionalizza il dolore Stanley Cohen utilizza il temine <diniego>. I più impegnati osservatori del diniego del dolore sono i mass-media perché producono e gestiscono la <sindrome da stanchezza da immagini> del pubblico nei confronti di guerre, carestie, crudeltà, calamità naturali. A questa risposta si affianca la <stanchezza da compassione>, la <stanchezza da verità>. Tre forme di esaurimento della risorsa attenzione che l’approccio cognitivista spiega e cura e che il giornalismo di regime amministra: come ogni fiaba che si rispetti tutti i Tg si concludono con un lieto fine.
25. Da buon materialista il borghese lo sa perfettamente: non si pensa solo con il cervello. Per questo il principio di realtà allestito dalla civiltà capitalistica dà vita a trascendenze extrasensoriali. Le forme che possono assumere sono molteplici e di segno opposto perché mettono in movimento sia processi di desensibilizzazione, sia processi di risensibilizzazione. Esempi di desensibilizzazione: la <trance metropolitana> di individui completamente chiusi in se stessi anche quando sono in mezzo agli altri; l’<oblio selettivo> di chi passa a fianco dei mendicanti senza vederli. Esempi di risensibilizzazione: immagini estreme corrispondenti a sofferenze estreme quali la morte per inedia di bambini africani o la fuga di profughi kurdi e utilizzate da organizzazioni umanitarie per sollecitare l’altruismo del pubblico occidentale. Entrambe le pratiche funzionano. Ma i rapporti di forza non sono gli stessi. I mass-media e in particolare la Tv generalista detengono di fatto il monopolio della produzione di immagini della sofferenza. Le organizzazioni umanitarie, il mondo dell’ambientalismo, i partiti di sinistra, il movimento antiglobalizzazione, i sindacati si affidano principalmente alla parola scritta, alla fotografia, al Web, alla manifestazione di piazza. La lotta è impari. E si stabilizza sull’impossibilità del pubblico di assorbire oltre una certa soglia ulteriori immagini di sofferenza. In questa crisi da sovrabbondanza risiede il potere del monopolio borghese della comunicazione rispetto alla sofferenza geograficamente lontana: il ritratto di una madre palestinese che piange il figlio ucciso è risucchiato nel campo gravitazionale delle merci-immagine. Da buon materialista il borghese lo sa perfettamente: non si pensa solo con il cervello.
26. L’efficace metafora della <belva dei media> è utilizzata da Stanley Cohen per descrivere una regia che tiene insieme la produzione televisiva di immagini del dolore con l’inimmaginabile: la possibilità che quel dolore possa investire la vita reale dello spettatore. È l’hollywoodiano modo di produzione delle immagini con cui la belva dei media familiarizza il pubblico al dolore che produce il diniego del dolore. L’insensibilità come costante comportamentale è innaturale. Viceversa, la desensibilizzazione del grande pubblico rientra in un ordine visivo applicato dagli individui nella realtà e nella rappresentazione della realtà. Ma gli ordini visivi non sono neutrali. Non è l’opinione pubblica ad abituarsi a vedere la sofferenza di chi patisce la fame e la sete in Africa. È l’elaborazione attuata dalla belva dei media a rendere il patimento di quei popoli un evento visivo normale per il quale non è il caso di commuoversi più di tanto. Selezione arbitraria dell’informazione, sovraccarico di messaggi, sensazionalismo: ecco tre modalità gestionali dell’immagine applicate a sofferenze lontane che aumentano la distanza psicologica dello spettatore dalle persone che soffrono. Così il déjà-vu della disperazione si rivela una tecnologia del controllo sociale doppiamente capace: 1) di saldare i messaggi televisivi della sofferenza umana con quello che accade nelle strade rendendo l’osservatore vulnerabile non tanto <al sovraccarico di informazione, bensì al sovraccarico di richiesta>; 2) di utilizzare uno stesso sguardo, lo sguardo mediatizzato per osservare e negare la vita nello schermo e la vita fuori dallo schermo. Il déjà-vu della disperazione è la messa in pratica di un potere la cui ragione <è che una qualunque attenuazione della compassione, ogni calo di preoccupazione per altre persone distanti è proprio ciò che lo spirito individuale del mercato globale vuole incoraggiare>.
27. Stanley Cohen: <C’è un triangolo dell’atrocità: in un angolo le vittime, coloro che subiscono qualcosa; nel secondo i colpevoli, coloro che infliggono qualcosa; nel terzo gli osservatori, coloro che vedono e sanno quel che sta succedendo>. Nel luglio del 2001 in occasione delle manifestazioni genovesi dei new-global contro la riunione del G8 la democrazia in Italia è sospesa e reparti di squadristi appartenenti alle cosiddette forze dell’ordine mettono in atto una violentissima repressione in perfetto stile cileno. Ma i nostrani picchiatori in divisa sono inconsapevoli del dissolvimento della linea rossa tra attori e pubblico: le vittime delle loro brutali violenze coincidono con gli osservatori. Mille occhi digitali li filmano mentre compiono i loro crimini: cariche immotivate, manganellate a manifestanti inermi, cacce all’uomo, pestaggi, lacrimogeni sparati dagli elicotteri, l’omicidio di Carlo Giuliani. A registrarli è uno sguardo che irrompe nel mondo della comunicazione: il media attivista. Sguardo molteplice che si esprime con un largo ventaglio di professionisti: videomaker, fotografi, giornalisti, hacker, redattori, scrittori, programmatori. Tutti uniti da una cultura politica che manda a pezzi le icone del neo-liberismo. DeeDee Hallek sostenitrice di Indymedia: <Sicuramente abbiamo cambiato la percezione del pubblico rispetto alle organizzazioni del mercato globale. Nessuno più guarda al Wto o alla Banca mondiale come a organismi caritatevoli: questo già rappresenta una vittoria immensa>. Durante i fatti di Genova le major dell’informazione si rivolgono ai media indipendenti per ottenere e trasmettere immagini. Non potrebbe essere altrimenti: calibrando frequenza e durata della trasmissione di immagini della sofferenza i big media ammaestrano lo sguardo del pubblico sui significati da assegnare al dolore.
28. Nel caso della repressione del movimento compiuta a Genova nell’estate del 2001 l’addomesticamento dello spettatore televisivo non è riuscito. Certo anche in quest’occasione è stato rispettato il principio: <la tortura è sempre nascosta e sempre difesa>, dai torturatori e dai loro mandanti istituzionali. E come al solito la maggior parte delle sevizie sono state commesse al riparo da occhi indiscreti. Ma impossibile nascondere il terrorismo di stato espresso nelle piazze. Gli attori del dramma visivo consumato a Genova si sono appropriati dell’opera: anzi: l’hanno scritta mentre la vivevano. Per milioni di persone il corpo straziato di Carlo Giuliani è diventato un’immagine indimenticabile di sofferenza. Con i fatti di Genova il <triangolo dell’atrocità> ha iniziato a modificarsi. Quale forma assumerà non è dato ancora saperlo. Ma non si tratta di una metamorfosi facilmente arrestabile. Non è certo la prima volta che le produzioni indipendenti organizzano la registrazione visiva delle violazioni mentre si stanno compiendo. A facilitarla sono intervenuti processi tecnologici: l’avvento delle minicamere digitali a basso costo, la convergenza video/Internet; e processi politici: l’integrazione tra movimento e new-media. Sul piano della produzione sociale di immagini la repressione fascista del luglio 2001 ha segnato un punto di svolta che indica l’ingresso in una nuova fase della guerra mediatica: la contestazione non più oggetto della comunicazione ma soggetto capace di fare comunicazione. Il passo successivo del media attivista è quello più difficile da compiere: non più testimone oculare della sofferenza ma produttore capace di fare media.
29. La guerra mediatica è una componente della <guerra senza limiti>. Concetto che dà il titolo a un libro scritto da due ufficiali dell’aviazione militare cinese, Qiao Liang e Wang Xiangsui. Guerra senza limiti significa che <la guerra è tornata a invadere la società in modi più complessi, più estesi, più nascosti e sottili>. Significa anche che la sofferenza sociale non ha confini perché le armi non detengono più l’esclusiva della guerra. Con la deterritorializzazione del dolore intervengono altri tipi di forza <che trascendono l’ambito militare ma che possono comunque essere impiegate in operazioni di combattimento>: pirateria informatica, turbative dei mercati azionari, scandali. <Ciò che va detto chiaramente è che il nuovo concetto di armi sta creando dispositivi che sono strettamente legati alla vita della gente comune. … le cose ordinarie, quelle a loro vicine, possono anch’esse diventare armi con le quali ingaggiare una guerra>. Ambiente, risorse, reti telematiche, religione sono aree militarizzate utilizzate per difendere ed attaccare in nome della sicurezza nazionale. Non si salva niente: la cultura è un campo di battaglia e la manipolazione dell’opinione pubblica un fatto scontato. Nella guerra senza limiti il ruolo dei militari è ridimensionato, precisato ed esteso. La guerra è mobilità. E penetra nello spazio errante mentre ne è penetrata. Il soggetto e l’oggetto si fondono: tutti indossano una divisa. Anche i civili: pirati informatici, analisti di sistemi, ingegneri software, magnate dei mass media, famosi editorialisti, conduttori di programmi televisivi… Per ognuna di queste figure: <La sua filosofia di vita è diversa da quella di alcuni terroristi ciechi e disumani, ma spesso è incrollabile e la sua fede, in termini di fanatismo, non è inferiore a quella di Osama Bin Laden. … Partendo da questi presupposti, chi può dire che George Soros non sia un terrorista finanziario?>. Già, chi può dirlo. Per farla breve: la nuova guerra è parte del capitalismo come modo di produzione e della civiltà capitalistica come modo di riproduzione. La scomparsa della pace è stata a lungo preparata: da tempo lo sguardo mediatizzato è integrato in uno spazio errante in cui nulla impedisce di passare dai film di guerra alla guerra dei film. Il pubblico? Si conquista.
30. La belva dei media vive nello spazio errante e combatte una guerra senza limiti contro tutti e contro tutto per inventare l’immaginazione. La belva dei media si nutre di comunicazione e nutre i comunicatori. Ma i ruoli non sono quelli tipici del circo tradizionale. Non è il domatore ad ammaestrare la belva. È la belva che ammaestra il domatore per esibire un numero universale: usare e scambiare immagini. Per quanto renda bene l’idea, la metafora del circo va immediatamente sospesa perché circoscrive uno spazio ben definito e fornisce un’idea antiquata del valore. Mentre lo spazio errante è la terra di tutti e di nessuno. È un luogo senza punto di arrivo e senza punto di partenza. Possiamo mentalmente materializzarlo in un aeroporto: contatto tra il ritorno della preistoria e le fughe in avanti della storia. Che vuol dire ‘sta frase sibillina? Che lo spazio errante è smisurato. Che per gestire uno spazio smisurato è necessaria una forza smisurata. Che questa forza non può essere data né governata dalla ragione e da criteri di giustizia sociale. Che tende a polarizzarsi lo squilibrio tra individuo e territorio, tra individuo e individuo. Che la belva dei media controlla la produzione e la riproduzione squilibrata di merci-immagini. Che le merci-immagini controllano il movimento degli occhi. E che in ultima istanza questa lunga catena domina il movimento dei corpi, delle merci e delle macchine dentro uno spazio indeterminato e illimitatamente conflittuale. Dominare le immagini significa dominare il movimento. E nell’immaginario generato dalla civiltà capitalistica c’è un solo dominatore: lo sguardo mediatizzato.
Autori citati
Diane Ackerman, Storia naturale dei sensi, Frassinelli, Milano, 1992
Samir Amin, Il capitalismo nell’era della globalizzazione. La gestione della società contemporanea, Asterios, Trieste, 1997.
Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina, 1996.
Luc Boltanski, Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
Stanley Cohen, Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea, Carocci, Milano, 2002.
Jean Pierre Changeux, L’uomo neuronale, Feltrinelli, Milano, 1983.
Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976.
Naomi Klein, No Logo. Economia globale e nuova contestazione, Baldini & Castoldi, Milano, 2001.
Timoty Leary, Caos e cibercultura, Urra Apogeo, Milano, s.d. (edizione originale 1994).
Qiao Liang, Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, LEG, Gorizia, 2001.
Konrad Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, Adelphi, Milano, 1974.
Marshall McLuhan, Corrispondenza 1931-1979, Sugarco, Varese, 1990.
Marshall McLuhan, Quentin Fiore, Guerra e pace nel villaggio globale, Urra Apogeo, Milano, 1995.
Nicholas Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.
Howard Rheingold, Comunità virtuali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.
Ugo Vallauri, Indymedia dopo l’11 settembre. Intervista con DeeDee Halleck, in, Matteo Pasquinelli, (a cura di) Media Activism. Strategie e pratiche della comunicazione indipendente, DeriveApprodi, Roma, 2002.
Il borghese e lo sguardo. Mutazioni dei sensi nella civiltà capitalistica, è stato pubblicato sulla rivista, Homo Sapiens, Marzo, Teseo Editore, Roma, 2004, pagg., 195-224.
Rispetto all’edizione del 2004 sono sta apportate alcune lievi modifiche al testo per renderlo maggiormente fruibile.