“I sogni non finiscono mai”

Agitu Ideo Gudeta amava spesso fare questa affermazione che sembrava ispirare, in qualche modo, la sua vita.

di Nadia Gambilongo

Abbiamo deciso di proporre alle amministrazioni comunali di dedicare degli spazi pubblici alla sua  storia esemplare, poiché pensiamo che abbia molto da insegnarci in termini di capacità di adattamento a condizioni di vita durissime, nella sperimentazione di un’economia sostenibile e nella lotta al patriarcato. Inoltre, vorremmo intitolare ad Agitu studi, ricerche e laboratori di sociologia per rendere viva la sua memoria.

dott/ssa Nadia Gambilongo (sociologa)

La tragica fine di Aghi, così la chiamavano i suoi amici, non ha fermato i suoi progetti multiculturali,  ambientalisti e di cambiamento sociale, altre giovani donne stanno dando continuità al suo lavoro, al suo impegno. Noi stesse-i vogliamo farci portavoce e testimoni della sua breve ma intensa esistenza. Nei prossimi mesi faremo in modo che la sua memoria non si disperda e chiederemo che le vengano intitolati e dedicati spazi pubblici nel nostro territorio. Il Comune di rende ha già deliberato in tal senso intitolando un Parco giochi e un giardino ad Agitu.

La storia di Agitu Ideo Gudeta inizia nel 1977 ad Addis Abeba in Etiopia. Nasce in una famiglia benestante e colta; il padre è docente universitario, ma nonostante queste condizioni di base che in altri paesi del mondo determinerebbero agiatezza e serenità,  in Etiopia la vita è turbolenta e affannosa. I governi corrotti e inefficienti, che si sono susseguiti nel tempo, hanno ridotto un paese bellissimo in brandelli,  sempre in preda ai conflitti economici, sociali ed etnici.

A diciotto anni, Aghi parte da Addis Abeba, piena di entusiasmo e di speranza con un borsa di studio  alla volta dell’Italia.

Si laurea in Sociologia a Trento e, dopo aver completato con successo il suo percorso formativo, decide di ritornare in Etiopia per occuparsi di progetti di cooperazione e sviluppo per un’agricoltura sostenibile, in modo da dare un suo personale contributo allo sviluppo sostenibile del paese. Insieme ad altri compagni di lavoro  tenterà il recupero di terreni espropriati dalle multinazionali. Realizza progetti innovativi con i pastori nomadi nel deserto, parteciperà a numerose manifestazioni contro le condizioni di sfruttamento dei contadini e della Regione dell’Oromia.

Nel 2000 il padre è costretto a lasciare l’Etiopia a causa  della recrudescenza della repressione governativa e si trasferisce negli Stati Uniti. Nel 2005 le battaglie di Agitu per il land grabbing si intensificano e l’opposizione al regime diventa netta, i suoi compagni impegnati nei progetti di cooperazione incominciano ad essere perseguitati, alcuni vengono uccisi, di altri si perdono le tracce, fino a quando  nel 2010 è costretta a scappare,  minacciata anche lei di morte, e con un mandato di cattura per essersi opposta all’esproprio della terra ai contadini.

Per sfuggire alle persecuzioni,  decide di lasciare l’Etiopia e ritornare in Italia. Con un permesso di soggiorno per motivi di studio e appena 200 euro in tasca, ritorna in Trentino. Nei primi tempi lavorerà  in un bar per mantenersi; ma, il suo carattere coraggioso e determinato le consentirà dopo non molto di accantonare un po’ di denaro per mettere a frutto il suo amore per la terra e gli allevamenti naturali. Inizia a  prendersi cura di terre demaniali abbandonate e incolte. Aderisce al progetto di salvare le capre di razza mochena. Una razza antica, molto rustica, importata probabilmente in Trentino dai carbonai tedeschi e attualmente a rischio di estinzione.

Agitu aveva iniziato il suo esperimento di allevamento di capre allo stato brado con solo 15 capre, poi  erano diventate 70, negli ultimi tempi addirittura  180. La mattina lavorava nell’orto, il pomeriggio al bar, poi la sera mungeva le capre, e fino a tarda ora si prendeva cura della sua fattoria. Con grande fatica e determinazione riesce a realizzare un caseificio, apre una bottega per la vendita diretta dei suoi formaggi freschi e stagionati a km zero. Sul suo sito, tutt’ora attivo, è possibile recuperare notizie sulle sue attività sempre in crescita. Apre la prima Bottega della “Capra Felice” e poi via via altri punti vendita, partecipa a numerose fiere e organizza  iniziative didattiche con i ragazzi per far conoscere il suo allevamento di capre con metodi naturali.

In una intervista recente, Aghi descrive le caratteristiche delle sue capre, sfatando così il pregiudizio che le vuole stupide e testarde. In realtà, le capre sono dotate di grande intelligenza e sensibilità, il loro comportamento metodico e disciplinato, legato ai tempi del pascolo e della mungitura, consente un’organizzazione del lavoro agevole; ma per renderlo possibile è necessario entrare in sintonia con loro, comprenderne profondamente i bisogni e donare loro benessere.

La pratica millenaria della domesticazione si fonda prima di tutto su un’empatia istintiva e profonda, tra gli umani e gli animali allevati,  non danno la stessa quantità di latte a chiunque. Si affidano alle mani di chi le ama, di chi si prende cura di loro, poi successivamente vengono le tecniche (…)(Donatella Di Pietrantonio, La Repubblica) e le specializzazioni.

Solo chi ha a che fare quotidianamente con gli animali sa quanto siano diversi l’uno dall’altro, nel temperamento, nella condotta, proprio come le persone. Agitu riusciva a ricordare il nome di tutte le sue capre e anche il loro carattere.

Era una donna colta e consapevole, aveva appreso in Francia le tecniche migliori per produrre formaggio collaborando come ragazza alla pari. In un mix formidabile, aveva mescolato questo sapere all’esperienza della pastorizia africana. Era diventata un’imprenditrice famosa per la produzione di prodotti bio a chilometro zero. Produceva formaggi, latte crudo e yogurt di capra, cosmetici che vendeva nei suoi punti vendita e nelle fiere.

Agitu Idea Gudeta

La rete Slow food, all’insegna del “buono, pulito e giusto”, aveva iniziato a sostenerla e la sua fama era cresciuta. Certo l’arretratezza culturale dei suoi vicini e di alcuni rifugiati che accoglieva non le avevano certo reso la vita facile, ma non sembrava che la scoraggiassero più di tanto, anzi le difficoltà le erano come da sprono. Negli ultimi tempi le capre erano diventate tantissime, prima di morire stava progettando di aprire per la prossima primavera un agriturismo.

Dopo la sua tragica morte, un gruppo di amici si sta prendendo cura della fattoria, si stanno impegnando per mantenere in vita le sue attività. Una giovane donna di soli 19 anni, Beatrice Zott, ha adottato le capre rimaste orfane, ci auguriamo tutti che riusciranno nell’intento di onorare la sua memoria e i suoi sacrifici all’insegna della ricerca di armonia tra gli esseri umani e la natura, ricerca  che le stava molto a cuore.

Agitu Ideo Gudeta ha ricevuto riconoscimenti da Legambiente, da SlowFood, e noi tutte-i dobbiamo ringraziarla per il suo esempio e per la sua determinazione, per quel suo particolare modo di stare al mondo. Aghi è morta a 43 anni nella Valle dei Mocheni, a Frassilongo per mano di un suo ex dipendente ganese che ha confessato quasi subito di averla uccisa pare perché non le avesse pagato una mensilità.

In realtà, la rabbia che lo ha armato di martello e il disprezzo che ha manifestato nella foga di violentarla mentre era agonizzante, parlano di un’ira, suscitata da affronto personale ben più grave e importante, tutto maschile e razziale nei confronti di una donna bella, intelligente, e per giunta imprenditrice di successo e  nera come lui. Tutto questo è stato  veramente troppo per uno che nato e cresciuto sotto l’egida patriarcale e che non può sopportare di essere un dipendente di una donna di tale rilevanza.

“Aghi era troppo” anche per i vicini che le avevano ucciso una capra, avevano tagliato le gomme della sua auto, e per questo erano stai condannati per stalking. Una donna come Aghi era ed è troppo a qualsiasi latitudine, a nord come a sud del mondo ancora fortemente patriarcale e razzista. Per questo motivo c’è ancora tanto da fare nella direzione del cambiamento e il movimento femminista non si è ancora stancato di proporlo.

Per questo motivo vogliamo intitolare dieci, cento, mille piazze a Agitu Ideo Gudeta per non dimenticare, per replicare la sua vita esemplare dieci, cento, mille volte, affinché il suo sapere e la sua determinazione diventino un faro che illumini le nostre vite, e quelle delle ragazze e delle giovani donne, affinché anche gli uomini si interroghino sulle loro relazioni e sulle contraddizioni quotidiane che vivono con l’altro sesso.

E’ necessario riscrivere insieme il finale della storia di Aghi.

E insieme lo faremo!


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