Le false accuse nel panorama giuridico
di Martina Grassini
“Prima di intraprendere il viaggio della vendetta scava due fosse”.
Così suggeriva Confucio qualche secolo fa. Un suggerimento che pare essere lentamente sfumato nel tempo.
Oggi, quella delle false accuse è una tematica scottante, che continua a coinvolgere specialisti del diritto e non. Avvocati, Magistrati, Psicologi, Psichiatri.
Incolpare una persona di un reato è di per sé semplice: “basta” formulare un’accusa nei suoi confronti depositando formale denuncia/querela e descrivendo i fatti.
Il legislatore, però, consapevole della possibile falsità delle accuse ne ha stabilita la punibilità ai sensi dell’art. 368 c.p. (reato di calunnia), con gravi conseguenze per il (falso) accusatore.
Capita che alcune persone si definiscano “vittime” anche se non lo sono, trattandosi in linguaggio medico di una vera e propria sindrome “false victimization syndrom”.
Le false accuse possono provenire da soggetti con aspetti irrisolti, anche patologici e con latenti disturbi della personalità.
Terreno fertile per le false accuse pare essere quello delle separazioni giudiziali, ove i reati denunciati (come i maltrattamenti psicologici o lo stalking), non si compongono quasi mai di elementi tangibili e verificabili: ciò che rileva è per lo più la percezione della vittima.
Le statistiche riconoscono che solo rare accuse si rivelano fondate: il resto costituisce unicamente arma di ritorsione allo scopo di ottenere ingiusti vantaggi.
Ed invero non è raro che “a controversia sanata”, la querela venga rimessa. Ma quali sono le conseguenze? Spesso sono impagabili.
Per la persona calunniata la “falsa accusa” è un’esperienza distruttiva, con snervante sforzo psicologico ed anche impegno di risorse economiche.
E l’accusatore? Se si pensa che raramente diventi un “paziente” della Giustizia, così non è.
La simulazione di reato e la calunnia sono le armi della giustizia contro chi denuncia un crimine inesistente, con le pesanti conseguenze previste dal Codice Penale.