Nuove frontiere della diagnostica medica: gastroscopia e colonscopia ora si fanno con la pillola che filma il nostro organismo…
di Emilia Urso Anfuso
Nel 1966 fu proiettato nei cinema un film dal titolo “Viaggio allucinante”. La pellicola di fantascienza era tratta da un racconto, scritto a quattro mani, dal produttore cinematografico Otto Klement e da Jerome Bixby, uno scrittore e sceneggiatore statunitense. Per la sceneggiatura fu incaricato addirittura Isaac Asimov, il famoso biochimico e scrittore sovietico autore di tanti successi editoriali. La trama del film è davvero fantastica.
<<== Dott.ssa Emilia Urso Anfuso
Ambientato nel periodo della cortina di ferro, frontiera politica imposta sul territorio europeo e che, dopo la Seconda Guerra Mondiale e fino alla fine della Guerra Fredda, permise agli URRS di controllare l’Europa orientale, in contrapposizione al potere politico statunitense che aveva in mano il controllo del versante occidentale, vede protagonisti un gruppo di scienziati russi e americani che lavorano a un progetto di nanotecnologie dedicato alla miniaturizzazione del corpo umano. Riescono nell’intento, ma con un limite: l’effetto dura solo 60 minuti. Uno dei ricercatori scopre il modo d‘estendere all’infinito l’effetto della riduzione delle misure corporee, e in una rocambolesca serie di azioni, durante la sua fuga subisce un attentato e viene colpito quasi mortalmente, rimanendo in stato comatoso e con un embolo cerebrale. Pur di salvarlo, un team di scienziati statunitensi decide di operarlo con una soluzione incredibile: miniaturizzare un sottomarino alle dimensioni di un chicco di riso con, a bordo, lo staff medico necessario ad agire per rimuovere l’embolo.
In 60 minuti, e con una serie infinita di contrattempi, l’operazione riesce. Il gruppo di microscopici specialisti, a missione compiuta, riesce a salvarsi grazie all’intervento esterno degli altri scienziati, e appena in tempo per ritornare alle dimensioni umane… Incredibile, vero? O forse no…Le nanotecnologie non interessano esclusivamente il settore informatico. Da molto tempo i ricercatori di tutto il mondo lavorano per trovare soluzioni atte a sostenere la salute umana con minor dispendio di tempo, e con tecniche non cruente e meno invasive. I risultati ottenuti sono ormai così soddisfacenti da averci abituato a realtà che, fino a qualche decennio fa, potevano essere incluse unicamente nei romanzi e film fantastici.
Ecco quindi una di quelle informazioni che ci spinge a riflettere sull’evoluzione e il progresso che l’umanità sta continuando a compiere: è già in uso da un paio di anni, in alcuni reparti di gastroenterologia e in particolari modo nei centri diagnostici privati, la capsula da ingerire che permette a uno specialista di vedere il nostro tratto gastrointestinale senza dover ricorrere a metodi diagnostici quali la gastroscopia o la colonscopia. Si tratta di una capsula da ingerire come un qualsiasi farmaco e la cosa incredibile è che al suo interno è installata una microtelecamera in grado, nelle ore successive all’assunzione orale, di far vedere al medico le condizioni del nostro corpo dall’interno.
Questo permette di non dover subire l’introduzione di tubi e tubicini per via orale o peggio anale. Ingollando una capsula con un sorso d’acqua si permette la visione endogena, che con questa soluzione rende possibile di scrutare anche gli anfratti, cosa che con le tradizionali metodologie non è concesso di ottenere. Questa “magia” della scienza si chiama PillCam, ed è una capsula ovviamente monouso. Presentata pubblicamente nel 2018 durante un incontro con la stampa organizzato da MedTronic, azienda statunitense leader a livello mondiale per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie biomediche, permette non solo di risparmiare tempo durante le attività diagnostiche, bensì di impattare meno sui costi che il SSN deve affrontare ogni anno per le patologie gastroenterologiche.
Diagnosi per arrivare alle quali sono necessari altri esami – almeno quattro o cinque – prima di giungere alla risoluzione finale di “guardare” dentro il corpo umano. I prezzi adottati presso i centri privati di diagnostica si aggirano sui 1.000 euro, e ancora non esiste la possibilità di poter passare per il Sistema Sanitario Nazionale , anche se già nel 2017 il metodo fu inserito nei LEA – Livelli Essenziali di Assistenza. Per ora, a livello ospedaliero, se ne avvalgono presso l’Ospedale Niguarda di Milano, tra i primi in Italia, il centro ospedaliero di Ravenna e altri poli sanitari pubblici. Il futuro è già qui…