Italiani: dove andremo a finire

di Michele Miccoli

Tra i record che non vorremmo dover vantare, in Italia ce n’è uno che non è da sottovalutare: siamo la seconda nazione al mondo con la popolazione più anziana. Sul podio dei più anziani in assoluto, il Giappone, anche se la situazione tra anziani nazionali e anziani nipponici appare diversa, almeno per ciò che concerne le condizioni di salute: anche su questo piano in Italia stiamo messi peggio. Non abbiamo proprio speranze di poter sfoderare record positivi.

<<== Prof. Avv. Michele Miccoli

La fase di declino demografico stabile della nostra popolazione, è iniziata nel 2015: a partire da quell’anno infatti, il numero di cittadini di nazionalità italiana ha cominciato a diminuire di circa 100.000 persone l’anno. Una vera emorragia demografica. Un recente studio, presentato durante una recente edizione del Festival della Statistica, ha dimostrato come, entro il prossimo secolo, la popolazione italiana si ridurrà a circa 16mln di persone. Un vero disastro, considerando che oggi la popolazione italiana totale è composta da circa 60mln di cittadini. Lo studio ha permesso quindi di tracciare, quasi nettamente, il futuro della popolazione italiana, e per farlo è bastato inserire un po’ di dati in uno speciale software, tra cui il tasso attuale di fertilità – che raggiunge un misero 1,34% – o l’aspettativa di vita delle persone nate quest’anno, che possono avere vita garantita, statisticamente parlando, è ovvio, fino a 83,3 anni. Ma quali sono i motivi che hanno portato la popolazione italiana a questa situazione? Perché lo sviluppo demografico si è inceppato, non consentendo alla nazione di progredire e portandola anzi a rischiare l’estinzione?

Al primo posto troviamo – ovviamente – il calo delle nascite, che dipendono da una minore formazioni di giovani coppie. Questo dipende a sua volta dall’instabilità economica, lavorativa e anche dall’insicurezza sul futuro, determinata dai due criteri precedenti: se ci sono  pochi soldi e il lavoro manca o è precario, non ci si imbarca in un progetto di vita che viene ritenuto troppo oneroso. Fare figli, e crescerli adeguatamente, costa troppo in una nazione come l’Italia, che ha anche i costi maggiori d’Europa per ciò che concerne l’educazione scolastica, e – più in generale – il mantenimento e la crescita dei figli.

Un dato a conferma: le nascite registrate nel 2017 sono state pari a 496.000 con un calo pari al 2% rispetto all’anno precedente. La riduzione demografica, peraltro, non ha disparità tra nord e sud: si figlia meno ovunque, tranne che in quattro regioni in cui addirittura si registrano aumenti, e che sono il Piemonte, la Basilicata, il Molise e la Sicilia. La Sicilia, storicamente, ha sempre dato un buon contributo allo sviluppo demografico della nazione, così come anche la Basilicata e il Molise. Il Piemonte rimonta dopo anni di calo demografico, peggiorato dalla percentuale sempre più alta di giovani che hanno scelto di emigrare: tra calo delle nascite ed emigrazione, non era difficile capire che l’Italia, anno dopo anno, si sta svuotando della popolazione nazturale.

Al secondo posto nella classifica dei motivi a monte della desertificazione della popolazione italiana, troviamo infatti l’emigrazione degli italiani, dovuta al desiderio di trovare migliori condizioni lavorative, o di trovare un posto di lavoro, visto che qui in Italia – quando va bene – trovi uno straccio di lavoro mal pagato e precario, anche se sul contratto c’è scritto “A tempo indeterminato”, bieca presa in giro che dobbiamo alla riforma del lavoro denominata Jobs Act.

In tutto ciò, parte della componente politica non sembra interessata a prendere in mano la situazione,  a parte il Ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha promesso – lo scorso Luglio – di varare una sorta di piano nascite, al fine di incrementare la popolazione nazionale. Che tipo di misure? Dagli asili gratuiti per i bimbi italiani, al taglio delle tasse e delle imposte per le neo mamme, cosa che permetterebbe davvero di riconsiderare l’annoso dilemma “Figli o non figli” in un periodo storico troppo carente di attenzioni nei confronti della formazione di nuovi nuclei familiari.

Certo è, che non è possibile prendere in seria considerazione il programma del centrosinistra, che nella traslazione di popolazioni straniere sul territorio nazionale vede il futuro dell’Italia: gli italiani devono restare a casa loro, e restarci mettendo radici. Un discorso  che, a quanto pare, a molti è poco chiaro. C’è anche da dire una cosa: un tempo si facevano più figli anche se le condizioni economiche non erano delle migliori. Vigeva un diverso sistema sociale, fondato sul lavoro e sul risparmio. Le braccia in più erano una risorsa e non una spesa, e si sviluppava una popolazione di cittadini pronti a diventare adulti che avrebbero messo il loro impegno al progresso della nazione.

Oggi le cose sono diverse. Si ha meno coraggio a metter su famiglia, e a buona ragione, visto che lo sguardo sul domani non racconta nulla di certo e nemmeno di buono. Non ci si accontenta di divenire “Due cuori e una capanna” perché nella migliore delle ipotesi la capanna te la devi comprare e non è detto che le famiglie possano sostenerti, o che le banche ti accolgano a braccia aperte. Più in generale, è cambiata la società, la prospettiva, le attese. E’ cambiata la nazione. Sarebbe ora che ritornasse a essere ciò che era: un territorio meraviglioso popolato da cittadini felici di poter vivere, crescere e invecchiare a casa propria.

Prof. Avv. Michele Miccoli – vicepresidente nazionale Associazione Sociologi Italiani


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