Transgender: un cortocircuito tra un genere e il suo opposto

di Emilia Urso Anfuso

Transgender: con questo termine si indicano quelle persone che sentono di avere un’identità diversa rispetto a quella sviluppata da madre natura. Uomini che percepiscono di essere donne, e viceversa. Non si tratta di omosessualità quanto di un cortocircuito nella percezione di sé.

dott./ssa Emilia Urso Anfuso == >>

Per anni si è usato genericamente il termine transessuale, ma col tempo iniziò a essere usato in senso dispregiativo, così da far preferire un nuovo modo di indicare questo tipo di condizione. Esiste un altro aspetto particolare, ed è quello legato al numero di minori che, con sempre maggior frequenza, vivono male questa situazione al punto da giungere a chiedere ai familiari di supportarli nel delicato processo di trasformazione, che può avvenire iniziando ad assumere cure ormonali prescritte da medici specialisti.

Per comprendere meglio di cosa si tratta può essere utile conoscere la vicenda di Daniel, un bimbo scozzese che nel 2013, quando aveva appena 3 anni, fu scoperto dalla sua mamma in bagno mentre si apprestava a evirarsi. La genitrice gli chiese cosa stesse tentando di fare, e lui rispose: “Taglio via il pisellino, così potrò diventare una ragazza”. Il gesto fu evitato grazie alla capacità materna, e il bambino, che già in precedenza aveva dimostrato maggiore interesse verso tutto ciò che attira le femminucce piuttosto che i maschietti, fu condotto dai genitori presso uno specialista in disforie di genere. Indirizzati presso una clinica specializzata – la Tavistock and Portman NHS Foundation Trust – e dopo aver ben analizzato il caso, fu deciso di procedere: Daniel sarebbe diventato Danni.

Portare l’organismo di un minore a modificare la tipologia sessuale, non è cosa da poco. Sono necessarie cure che riescono a ritardare la pubertà, e farmaci a base di ormoni che occorrono per permettere un giorno l’intervento chirurgico necessario alla modifica finale, da effettuare non prima del compimento dei 18 anni. Kerry McFayden, la madre di Daniel, scelse di rendere pubblica la loro storia aprendo una pagina su Facebook, con lo scopo di aiutare altre famiglie a uscire dall’impasse e dal pericolo che, crescendo, i loro figli affetti da questo disordine possano diventare vittime di bullismo. Un tema importante e da affrontare con cognizione di causa, perché la superficialità può solo portare altri problemi, come quello che sto per descrivere.

Lo scorso anno, alcuni quotidiani inglesi hanno intercettato un report sviluppato da una lobby internazionale che promuove lo sviluppo di un’umanità composta di esseri umani senza alcuna distinzione sessuale. Il titolo è: “Only Adult? Good practice in legal gender recognition for youth” e che tradotto significa “Solo gli adulti? Le buone pratiche per il riconoscimento del genere per I più giovani”, ed è stato realizzato in collaborazione con IGLYO, un’organizzazione internazionale che riunisce lesbiche, gay e transessuali, la Fondazione Thomson Reuters, tra le più rinomate al mondo nel settore dell’informazione, e la Dentons, una potente struttura legale che opera a livello mondiale.

All’interno del documento, si sostiene la necessità di far perdere all’umanità intera ogni cognizione del genere sessuale, al fine di creare una società composta di “un nuovo uomo”. Mettendo da parte questo report, che può essere interpretato in maniera prismatica, è bene soffermarsi su un punto: ritrovarsi imprigionati in un corpo che non si riconosce come il proprio, è una condizione che può arrecare danni psicologici non di poco conto. In ogni caso non dimentichiamo che anche i transgender, alla fine, desiderano solo una cosa: poter vivere determinando nettamente la propria identità. Meglio lasciare che siano la natura e l’istinto a governarci, e non certi gruppi di potere.


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