IL SIMBOLO TRA MISTERO E RICERCA, TRA DUBBIO E RIVELAZIONE

BONANNO  recenteL’esperienza sensoriale fa sempre riferimento a qualcosa di misurabile, in intensità o ampiezza: la sua percezione è distinguibile drasticamente: in  piacevole  e  spiacevole, chiara o scura, forte o debole, ecc.  (cioè è sempre duale, per qualsiasi tipo di percezione) e la piacevolezza o spiacevolezza rappresentano una valutazione istintuale e/o intellettiva, che è funzione dell’effetto provocato dall’esperienza. Ma quando, di tale esperienza, inizia l’elaborazione logica, il riconoscimento dello stimolo si fa assai complesso in quanto si sovrappone a migliaia di altre informazioni che si prestano ad infinite contraddizioni.  Ad esempio, il primo “bacio” di un adolescente può essere un’esperienza meravigliosa, anche se, nello stesso istante in cui avviene il primo contatto, la mente inizia ad elaborare le sue deduzioni;  il secondo bacio sarà necessariamente legato alla memoria del primo e all’aspettativa del simile o al timore del dissimile, a informazioni provenienti da terze persone, al raffronto con l’esperienza di altra gente che ha avuto un bacio, al contesto emotivo che si accompagna all’esperienza (desiderio, gelosia, paura, ecc.): l’affare diventa complicatissimo e contraddittorio e oggi, per un bacio, si può finire… sul lettino dell’analista.

Quindi l’esperienza sensibile, psico-emozionale, può far sorgere dinamiche rituali, imitative, scaramantiche o compulsive, utili a esorcizzare le paure e a governare un campo che provoca agitazione.Tali “ritualità” (che ovviamente di sacro non hanno nulla) allontanano da una percezione dell’evento nella sua immediatezza, nel suo presente, e creano un universo virtuale che ci tiene prigionieri, del passato come del futuro…Insomma, la nostra vita offre una complessità interpretativa che spesso ha necessità di affidarsi a modelli a rappresentazioni visive che, racchiudendone il significato, lo sintetizzano lo semplificano, oppure lo custodiscono rendendolo accessibile solo a pochi, a quei pochi che noi scegliamo quali facenti parte di un preciso gruppo. È il simbolo, nasce il linguaggio simbolico.

L’uso di simboli nell’arte non è proprio soltanto della cultura occidentale, ma è un’esigenza di tutte le civiltà. È una forma di linguaggio utile a esprimere in maniera sintetica e riconoscibile alcuni concetti, talvolta astratti o molto complessi, spesso connessi ai temi della religione, della morte e dell’aldilà.

Il simbolo  può essere un’immagine, una parola, una figura o un oggetto che evoca o rappresenta qualcosa d’altro: un concetto, una virtù, una qualità morale, uno stato d’animo, una condizione psicologica o emotiva, un valore religioso o nazionale, un’idea filosofica.

Nella religione cristiana la croce è il simbolo della passione di Cristo;  nella dottrina buddista, la ruota è il simbolo dell’inevitabile ciclicità della vita (nascita, morte, reincarnazione);  nella scultura funeraria del Quattrocento italiano un cane vicino al defunto è simbolo di fedeltà e vigilanza. In tutti questi casi, si tratta di simboli  diretti, cioè chiaramente interpretabili per chi ne conosce il significato che è stato fissato dalla tradizione, così come si conoscono le parole di un dizionario.

In tutte le civiltà i simboli ricorrenti nelle arti figurative sono per lo più legati all’espressione di contenuti religiosi o filosofici, che è necessario suggerire perché non si possono rappresentare esplicitamente. In epoche fortemente impregnate di religiosità, come il Medioevo in Occidente, l’arte e il simbolismo religioso viaggiano quasi sempre di pari passo.  L’uso dei simboli si sviluppò in maniera significativa nel corso del Medio Evo, anche perché i dipinti e le sculture pensate per adornare le chiese avevano lo scopo di illustrare ed insegnare la storia cristiana.La simbologia di animali, piante e fiori, già utilizzata nell’arte romana, subisce modifiche e adattamenti ai nuovi contenuti: la palma, per esempio, che presso i Romani era simbolo della vittoria militare, nell’arte cristiana viene impiegata per alludere alla vittoria sulla morte da parte dei martiri. Si crea rapidamente un preciso vocabolario simbolico, in cui a ogni forma corrisponde un chiaro significato.

Le Goff spiega come nel pensiero medievale, ogni oggetto materiale fosse considerato come “la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo”.  Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti. Poiché il mondo nascosto era un mondo sacro e il pensiero simbolico non era altro che la forma elaborata, decantata, al livello dei dotti, del pensiero magico nel quale si immergeva la mentalità comune. Senza dubbio amuleti, filtri, formule magiche, il cui uso e commercio erano molto diffusi, sono gli aspetti più grossolani di queste credenze e di queste pratiche. Ma reliquie, sacramenti, preghiere ne erano, per la massa, gli equivalenti autorizzati. Si trattava sempre di trovare le chiavi che forzavano quel mondo nascosto, il mondo vero e eterno, quello dove ci si poteva salvare. Gli atti di devozione erano atti simbolici con i quali si cercava di farsi riconoscere da Dio e obbligarlo a mantenere il contratto fatto con lui.   Ma c’è di più. Perché il simbolismo medievale cominciava al livello delle parole.  Nominare una cosa era già spiegarla. Isidoro di Siviglia l’aveva detto e, dopo di lui, l’etimologia fiorisce nel Medioevo come una scienza fondamentale. Nominare è conoscere, è possedere le cose, le realtà. In medicina la diagnosi è già guarigione nel pronunciare il nome della malattia.

Per Dante la parola è un segno totale che scopre la ragione e il senso: “rationale signum et sensuale”.  Tuttavia con il Rinascimento la riconoscibilità immediata dei significati allusi dai simboli inizia a vacillare.  L’arte non è più solo una manifestazione della religione e uno strumento didattico, ma diventa mezzo per la conoscenza della realtà e della natura, al centro delle quali c’è l’uomo con le sue facoltà intellettive. Soprattutto grazie a uno studio più sistematico della filosofia antica, in particolare di quella di  Platone  (neoplatonismo), delle fonti mitologiche e letterarie antiche, si avvia la rievocazione e la celebrazione dell’arte classica, con il suo ideale di bellezza che tuttavia si carica di complessi contenuti morali. Il significato di un dipinto e dei suoi simboli non è più inequivocabile, perché esso dipende dalle idee filosofiche del committente, dalla raffinatezza intellettuale dell’artista e dalla conoscenza – da parte dello spettatore – soprattutto della dottrina neoplatonica. Alcuni quadri, come la celebre “Primavera” di Sandro Botticelli, si trasformano in enigmi raffinati che solo lo spettatore colto è in grado di decifrare.

E questo è il punto: comprendere, decifrare, cogliere il significato al di là delle apparenze.  Ed allora è possibile iniziare il proprio viaggio: scevri da condizionamenti e da preconcetti, pronti ad accettare il nuovo, salvo poi a sottoporlo a verifica, senza facili entusiasmi, ma senza paure o diffidenze.E sarà un viaggio di piacere: perché la conoscenza è diletto, senza pretese, alla buona.


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