LA DEMOCRAZIA NON ESISTE!!

di Elisabetta Flavia Munafò

INTRODUZIONE

Se partiamo dal presupposto di sapere, di conoscere  e comprendere cosa sia una scelta razionale individuale, possiamo dilungarci e argomentare nel migliore dei modi, avendo a disposizione una incredibile letteratura sociologico – economica; possiamo elencare differenti e variegate dottrine e tesi, possiamo cercare di spiegare teoremi più o meno difficili, e quindi, possiamo ripetere ciò che è già stato studiato e detto. 

<< == Dott.ssa Flavia Elisabetta Munafò

Da questo presupposto, ecco l’enunciazione di tutto ciò che la mia tesi attraverserà, in alcuni passi in maniera più dettagliata, in altri meno analitica.

Sarebbe difatti, un’operazione abbastanza semplicistica, nonché priva di fine, se non la ripetizione di concetti, ripercorrere solo e unicamente le tappe del pensiero economico che hanno costruito il filo logico e procedurale della teoria della scelta sociale, ovvero il meccanismo che prova a spiegare perché, se una scelta razionale individuale è possibile, non lo è quella di una intera collettività, formata da un numero di individui, consumatori razionali; sarebbe così semplicistico, che il mio tentativo di indagine cadrebbe sotto il peso dell’inutilità.

Io ho provato, con estrema fatica, a dare un senso “altro” a questa serie di complicate e straordinarie teorie che hanno segnato il cammino del pensiero economico, e ho tentato, sempre con grande sforzo, di trovare un punto di vista “più sociologico” da poter apportare come valore aggiunto a questa mia piccola riflessione.

Mi piace ricordare l’importanza di quello che poi spiegherò, per argomentare il mio contributo: la teoria delle votazioni, la dottrina utilitaristica, la concezione di Pareto ecc; sebbene io abbia studiato e ristudiato queste “pietre miliari” con estrema attenzione ed interesse, ho provato a focalizzare l’attenzione (anche per via della vastità di argomentazioni) su un aspetto per me rilevante, ovvero: quanto, quando e in che maniera l’economia si viene a legare con i giudizi di natura etico morale. Volendo seguire questo filo rosso, dobbiamo tenere presente innanzitutto la povertà della teoria neoclassica, nella misura in cui essa provi a supportare una teoria della scelta sociale, una teoria che, nel caso particolare, prende la forma della costruzione di una funzione di benessere sociale. Partendo da questo, possiamo procedere oltre. Possiamo innanzitutto vedere cos’è e come si applica una funzione di benessere sociale, ma anche questo potrebbe sembrare nozionisticamente ripetitivo, in virtù del fatto che, attraverso la FBS si riesca a  tenere “alla Pareto” fuori tutti i giudizi etico morali dalla scienza economica e mantenere ferma l’ipotesi che invece una decisione collettiva, almeno democratica, si possa fare.

Il punto di snodo dove io tendo è sottolineare, aggiungere una riflessione, arricchire l’argomentazione con una piccola considerazione: Arrow come spartiacque tra un “prima”, fatto di meccanismi come la teoria delle votazioni, che  serve soltanto nella misura in cui, tramite la teoria delle votazioni fa vedere un altro modo in cui emerge il limite della decisione collettiva, – cioè tutte le invenzioni che si sono fatte delle varie modalità delle votazioni possono essere lette come il riflesso dell’estrema difficoltà che un sistema sociale, quindi fatto da un aggregato di soggetti tra loro liberi e autonomi, – della difficoltà di mettere insieme qualcosa che sia, che “suoni” decisione collettiva, decisione sociale, per liberarsi anche da una “presenza” di Pareto, a volte ingombrante, a volte limitante, e dalla separazione che c’è tra le questioni di natura etico morali, dalle questioni di natura oggettiva e calcolabili e verificabili in modo decontestualizzato.

Arrow si pone come   un anti bergsoniano perché fa vedere che non è sufficiente affermare che io possa immaginare, concettualizzare, una funzione di benessere sociale composta da funzioni individuali, bisogna saperla costruire e dimostra infatti che  questa stessa assolutamente  non si può costruire. Ovvero lo si potrebbe fare attraverso degli algoritmi talmente complicati che sono  davvero   impraticabili per la mente umana; da qui egli cerca di costruire un modello che, tenuto conto delle esigenze minimali della democrazia,  si possa costruire questa funzione e dimostra che nel rispetto di queste condizioni minimali, la costruzione di questa funzione è impossibile.

Da questa impossibilità,  si pone avanti  Sen,  per il quale esiste davvero  un’esigenza di introdurre le considerazioni di carattere etico morale

Da qui la mia  tesi, questo tentativo di sottolineare, di dichiarare, una sorta di fallimento, che si trova nella estrema povertà di un sistema teorico e concettuale  e  che porta a pagare il prezzo della trascuratezza; una teoria che si priva, come dice Sen, di giudizi etico morali “alla Pareto” per salvaguardare una disciplina, per farla essere o per farla rimanere, (se mai ci sia stata) scienza, il prezzo che si paga è elevatissimo, e non arginabile, credo, ovvero il dazio da pagare, amaramente, è quello della irrilevanza.

Nella prospettiva di leggere, comprendere e disquisire riguardo il teorema dell’impossibilità di Arrow, in particolar modo riguardo l’introduzione revisionata del 1963, l’unica possibile lettura è certamente di tipo analitico e di confronto continuo e diretto con i testi e gli autori di riferimento, con gli economisti che hanno studiato e tentato invano di confutare un teorema perfetto.

Proprio nell’essenza metodica della costruzione di questo teorema e degli studi successivi a riguardo si può intravedere un profilo non solo di tipo economico ma anche socio-culturale; la difficile, e anche per questo impossibile, confutazione alla teoria di Kenneth Arrow, muove dagli elementi essenziali della ricerca: come sia possibile che, in una scienza esatta e di alto livello come l’economia, possano intersecarsi giudizi di valore, evento tipico in altre discipline e in differenti ambiti, atti a diversificare il focus argomentativo.

La possibile motivazione che origina e sostiene l’intero sistema di riferimento arrowiano si può certamente ritrovare nelle parole dell’autore e, forse in maniera ancor più precisa e puntuale, se possibile, nel volume “Introduction to social choice and welfare” a cura di Kotaro Suzumura, documento di importanza oltremodo rilevante per ripercorrere le teorie economiche precedenti ad Arrow, che hanno portato costui a costruire il suddetto teorema.

Infatti proprio questi studi “pionieristici” sono temporalmente ripercorsi da Suzumura, con particolare distinzione tra “old welfare” e “new welfare”, dagli anni ’30 agli anni ’60 del secolo passato, per poi tornare indietro con la memoria all’ultimo ventennio del 1700, con obbligati riferimenti a Condorcet e il paradosso di voto e a Borda per il metodo decisionale di voto.

Come sia possibile districare e comprendere dove e in quale modo i giudizi di valore entrino silenziosamente a far parte della scienza economica, come si possa esplicare e replicare al teorema dell’impossibilità, concentra il mio punto di lettura analitica e di interesse: non esiste un sistema di stato sociale che possegga la funzione di soddisfare una serie di condizioni necessarie per la vera democrazia e l’efficienza dell’informazione? Da questo fulcro di riflessione, da questo solletico intellettuale si apre una diramazione di continui balzi di discussione e di analisi che attualmente ancora non trovano termine.

Il centro di riflessione di mio interesse, ovvero ciò da cui Arrow solleva il tutto, risiede nella retrospettiva storica della struttura di una democrazia capitalistica; in essa le scelte di tipo sociale possono essere compiute secondo due differenti modalità: il voto, in uso per le decisioni politiche e il meccanismo di mercato, in uso per le decisioni economiche; a questo si somma, nel modo in cui si compiono scelte da parte di un consumatore razionale o meno, il difficile scoglio delle scelte individuali o delle scelte di gruppo.

Nel tentativo di sciogliere questo nodo concettuale, Arrow, con finalità di semplificazione, ipotizza una comunità che consista di tre votanti e che essa debba scegliere tra tre differenti metodi alternativi di azione sociale; analogamente all’analisi del consumatore individuale e quindi della sua scelta, in condizioni di costanti richieste e prezzi di entrata variabili, il comportamento razionale comunitario dovrebbe riassumersi nella scelta dell’alternativa applicabile, ovvero la più alta nella lista, secondo le preferenze collettive.

La modalità con cui si arriva alla lista piramidale di preferenza collettiva consiste nell’asserzione che un’alternativa sia preferibile ad un’altra se e soltanto se una maggioranza della comunità abbia preferenza per la prima alternativa alla seconda, ovvero se scegliesse la prima tra due alternative ma solo se esistessero unicamente queste due. L’esemplificazione del teorema di Arrow, da cui si nota immediatamente la sua impossibilità di risoluzione, è tale per cui si considera A, B e C le tre alternative possibili e 1, 2 e 3 i tre attori sociali; si suppone che l’attore 1 preferisca la A alla B e la B rispetto alla C, e per conseguenza logica la B alla A, e che l’attore 3 preferisca C ad A e A a B, e quindi C a B; da ciò una maggioranza preferisce A rispetto a B e una maggioranza equamente preferisce B rispetto a C. Si può dire che la comunità preferisce A rispetto a B e B rispetto a C. Se la comunità dev’essere considerata come se attuasse un comportamento di tipo razionale, si deve ammettere che A è preferita a C ma bisogna ricordare che una maggioranza preferisce C rispetto ad A; di fatto il metodo per comprendere la scelta individuale rispetto a gusti collettivi viene meno nel tentativo di soddisfare la condizione di razionalità. Esistono forse altre metodologie di aggregazione di gusti individuali che implichino un comportamento razionale della comunità e che possano essere soddisfacenti in altri modi?

Il banale escamotage usato dagli economisti per uscire dall’empasse del non saper trovare una chiave di lettura capace di soddisfare sia le preferenze individuali che quelle collettive nello stesso modo diventa il fare rendiconto asserendo che uno stato sociale è meglio di un altro, in maniera tale da non prendersi responsabilità tra l’altro di riuscire a spiegare come sia possibile che, all’interno del mercato, vi sia una trasformazione valoriale tale da far perdere di vista il focus della ricerca per lasciare spazio a meccanismi che “sporcano” la disciplina economica tanto da non poter comprendere dove sparisca la logica che lega le scelte dei tre individui presi ad esempio precedentemente, e di conseguenza quelle delle tre collettività del nostro secondo esempio.

Come si impone la preferenza di un individuo sugli altri due se si trovano in un sistema di democrazia? Non è forse il principio cardine della democrazia l’uguaglianza delle scelte possibili e, nello stesso tempo, l’impossibilità di prevaricazione delle preferenze individuali? Ogni individuo dovrebbe essere libero di formulare ed esprimere ogni sua propria preferenza che rappresenti le sue valutazioni per il benessere dello stato sociale in cui si trova.

Il sistema sociale e la funzione propria di quest’ultimo idealizzata da Arrow dev’essere, appunto, così sufficientemente ferrea da poter aggregare un profilo delle preferenze individuali ordinate all’interno di un sistema di preferenze sociali.

Senza entrare nel dettaglio specifico di come Arrow riesca a scandagliare il nodo concettuale che intrappola i poli opposti di scelte individuali e di scelte collettive, con l’uso di assiomi incontrovertibili, posso asserire di credere con fermezza nell’importanza della questione sollevata da questo economista in merito alla quantità di concatenazioni logico-concettuali sulle quali, con ogni probabilità, non si sarebbe ragionato senza un input di tale entità.

La questione sollevata da Arrow pone di fronte una miriade di interrogativi che legano le due maggiori sfere del teorema, ovvero come si possono organizzare scelte individuali e scelte collettive in un sistema sociale e dove riescano ad entrare in contatto con l’economia i giudizi di valore, di natura squisitamente etica, e come essi riescano a sconvolgere i “passi obbligati” dell’azione economica, che pone l’accento sulla certezza consequenziale di tale azione.

La modalità di comprensione di una così difficoltosa e approfondita questione si può ricercare nei riferimenti teorici presi in esame da Arrow e dai susseguenti studi economici, analizzati e ordinati da Suzumura. Dal background storico alla ripresa dei temi di “Social Choice and Individual Values”, alla controversia del “social planning”, fino al significato teoretico e pratico della teoria della scelta sociale, Suzumura ripercorre con perizia tutte le implicazioni di studio concernenti il teorema di Arrow.

L’importanza che riveste Suzumura all’interno della mia lettura di Arrow e di tutto ciò che ne consegue è di elevatissimo livello, non solo per il suo contributo alla comprensione dei termini economici su cui si muove il teorema, ma anche per far sì che la cornice storica, che per certi versi ha influenza sulle dissertazioni economiche, sia ben chiara, proprio in virtù del fatto che un argomento come la scelta sociale, nucleo delle due diramazioni di decisioni politiche e decisioni economiche, è la cartina di tornasole del contesto in cui viene presa in esame e ci rende chiaro, oltre al risvolto economico, anche quello storico-sociale, nonché sociologico-culturale.

Nella visione tout-court in cui guardo al teorema di Arrow non posso fare a meno di soffermarmi proprio sul contributo che questo incredibile economista ha offerto alla scienza sociale; le decisioni politiche rimandano al meccanismo di voto quanto le decisioni economiche al meccanismo di mercato, in un continuo interscambio che apre lo sguardo del sociologo e fa focalizzare l’attenzione sul rapporto di dipendenza reciproca che lega questi tre temi, divisibili tra il “nucleo-welfare” come fosse un organismo cellulare e le distensioni di politica ed economia, rapporto di dipendenza, se non di interdipendenza, che consente di avere chiaro il contesto e le motivazioni da cui scaturisce l’intento di Arrow di dar luce alla chiarificazione di meccanismi di scelte individuali e di scelte collettive.

Per dare migliore delucidazione dell’intrinseco procedimento del teorema dell’impossibilità si usa dire che, dati  i requisiti di universalità, non imposizione, non dittatorialità, monotonicità, indipendenza dalle alternative rilevanti, non è possibile determinare un sistema di votazione che preservi le scelte sociali; lo scopo dello studio arrowiano è trovare una qualsiasi procedura di decisione collettiva che possa soddisfare alcuni requisiti ragionevoli per una scelta non arbitraria.

Un  esempio di procedura che non riesce a soddisfare i requisiti considerati da Arrow è il sistema di voto maggioritario, come mostrato dal paradosso di Condorcet, ovvero la dimostrazione di come la votazione a maggioranza, ricorrente nella democrazia rappresentativa, può condurre a delle scelte ambigue: partendo dalle preferenze individuali, si vuole arrivare ad una preferenza collettiva coerente e razionale (se A è preferito a B, B è preferito a C, allora A deve essere preferito a C). Il paradosso di Condorcet mostra in che modo questo non sia sempre il caso per le preferenze collettive. In altro modo, Jean-Charles Borda propone un’altra procedura, chiamata conteggio di Borda, la quale consiste nell’attribuzione dei punti e poi fare la somma, la quale non ha questo difetto, ma il teorema di Arrow non lo consente poiché ci deve essere un requisito che non sia soddisfatto: l’indipendenza dalle alternative rilevanti. Dimostrare il teorema comporta l’impossibilità di soddisfare simultaneamente tutti i requisiti considerati da Arrow.

Nel momento in cui prendo in esame la difficilissima questione che tratta il teorema di Arrow e tutto ciò che ne consegue, non posso non ricordare il mio focus che è sempre l’analisi del sistema sociale, correlata alla sfera economica e alla sfera politica. Il teorema ipotizza che la società necessiti di adottare un ordine di preferenze tra differenti opzioni; ciascun individuo, ogni singolo attore sociale, possiede un proprio ordine di preferenza, il quale può essere espresso tramite il voto. La problematica di base si crea nel momento in cui non si riesce a trovare una procedura, una metodologia, una funzione di scelta pubblica per adottare una terminologia più appropriata, che trasformi l’insieme delle preferenze individuali in un ordinamento globale coerente. Il teorema considera le proprietà che Arrow ipotizza rappresentare requisiti ragionevoli per un sistema di voto equo:

universalità o dominio non ristretto: la funzione di scelta sociale dovrebbe avere compito di creare un ordinamento delle preferenze sociali di tipo deterministico e completo, a partire da qualsiasi insieme iniziale di preferenze individuali;

non imposizione o sovranità del cittadino: qualsiasi possibile preferenza sociale deve essere raggiungibile a partire da un appropriato insieme di preferenze individuali, ovvero ogni risultato deve poter essere raggiunto in qualche maniera, il che richiama alla memoria quasi una visione machiavelliana di azione;

non dittatorialità: la funzione di scelta sociale non deve semplicemente seguire l’ordinamento delle preferenze di un individuo o un sottoinsieme di individui, al contempo ignorando le preferenze individuali;

monotonicità o associazione positiva tra valori individuali e sociali: se un individuo modifica il proprio ordinamento di preferenze promuovendo una data opzione o restare invariata, ma può assegnare a tale opzione una preferenza minore, da ciò deduco che nessun individuo dovrebbe essere in grado di esprimersi contro un’opzione assegnandole una preferenza maggiore;

indipendenza dalle alternative irrilevanti: se si confina l’attenzione ad un sottoinsieme di opzioni, e la funzione di scelta sociale è applicata solo ad esse, di conseguenza il risultato deve essere del tutto compatibile con il caso in cui la funzione di scelta sociale è applicata all’intero set di possibili alternative.

Il teorema di Arrow afferma e sostiene che, se il gruppo della collettività comprende almeno due individui e l’insieme delle alternative possibili almeno tre opzioni, non è possibile costruire una funzione di scelta sociale che possa soddisfare al contempo tutti i requisiti analizzati.

Dalla lettura finora conseguita emerge, in special modo nell’ultima trance discorsiva, un accenno non indifferente a nozioni di tipo giuridico, le quali ordinano le sopra accennate modalità di voto nella democrazia partecipativa; del resto non si può ignorare come il sostrato delle leggi sia fondamentale per la costruzione di qualsivoglia tipo di stato sociale razionale e non soggetto ad anomia, condizione obbligatoria per il libero svolgimento delle scelte, prima individuali e poi collettive, nostro interesse principale in questa dissertazione, la quale tende a ricordare le basi da cui scaturisce il teorema dell’impossibilità  e che si amplia in un consapevole atteggiamento intellettuale di concordia tale da perseverare nel “giustificato motivo” cui inneggia Arrow, senza possibilità alcuna di confutazione.

A questo proposito mi piace ricordare i riferimenti fondamentali cui ricorre Arrow per esplicare il proprio dogmatico teorema: Knight, “Human nature and world democracy” (Freedom and reform, 1947); una parentesi riguardo il “Paradox of voting”, la quale comprende E. J. Nanson (1882), Samuelson (1938), Bergson (1948), Lange (1942), M. W. Reder (1947); F. Y. Edgeworth (1881), Marshall (1949), L. Robbins (1935), N. Kaldor (1939), J. R. Hicks (1939); particolare il soffermarsi puntuale di Arrow su “The determinatess of the utility function” di O. Lange (1934), la ripresa di A. P. Lerner in “Economics of control” del 1944 e H. Zassenhaus (1934).

L’economista usufruisce di H. R. Bowen, F. H. Knight e D. Black, negli scritti pubblicati intorno al 1940 per delineare le limitazioni dell’analisi, quanto di T. Veblen (1889), J. Von Neumann, O. Morgenstern (1947) e See H. Steinhaus (1948) riguardo l’importanza dell’azione razionale nelle scelte individuali e si sofferma sugli studi di Veblen ( “The theory of the leisure class” ) e di F. K. Knight ( “Ethic and Econimic reform” ).

Sufficiente l’introduzione per avere una panoramica generale del modus operandi arrowiano, che consta di momenti di analisi economica, politica, storica e sociale, i quali si intersecano in una trama perfetta di cornice all’enunciato dell’impossibilità e di cui un eccellente economista come Kotaro Suzumura fa proprio per scandagliare ulteriormente l’invana confutazione.

Suzumura usa riferimenti temporalmente sconnessi, che oscillano in epoche diversissime e filoni economici contrastanti, come una sorta di macchina del tempo in movimento continuo tra il primo decennio del 1800 fino agli anni ’50 del secolo successivo.

UTILITARISMO ED ETICA

L’utilitarismo, che irrompe nella riflessione etica, politica ed economica a partire dal XVIII secolo, ha alla sua base principi quali: fare dell’etica una scienza esatta per e della condotta umana; considerare l’agire secondo il “movente” e non più secondo il “fine”; riconoscere il piacere come movente per eccellenza dell’agire umano; ammettere al piacere una dimensione intersoggettiva e la conseguente coincidenza dell’utilità privata con l’utilità pubblica (per cui il fine di ogni attività umana diventa la massima felicità condivisa dal maggior numero possibile di persone); considerare il comportamento umano come calcolo razionale totalmente volto alla massimizzazione dell’utilità; sostenere la necessità di un aumento della felicità e nell’ordinamento dello stato e nel sistema di distribuzione delle ricchezze; una stretta connessione con la scienza economica.

I principi fondamentali di questa teoria sono:

il welfarismo, o teoria del benessere: dovendo valutare situazioni alternative,

la  chiave di valutazione è la soddisfazione/benessere che i soggetti ottengono nel fare ciò che preferiscono;

il conseguenzialismo: dovendo valutare delle azioni, la chiave di valutazione sono le conseguenze che queste azioni producono;

l’ordinamento-somma: dovendo valutare degli stati sociali alternativi, la chiave di valutazione è la somma delle utilità individuali.

A partire dagli anni ’70 questa teoria viene sottoposta aspramente a delle critiche per il suo “ignorare” le questioni che riguardano la giustizia e i diritti.

L’utilitarismo viene essenzialmente accusato di ammettere e giustificare una distribuzione diseguale di piacere e pena laddove non esistano altre alternative che aumentino la felicità totale; giustificare la perdita di libertà di alcuni per il benessere sociale collettivo, ovvero la scarsa considerazione dell’indipendenza e dell’autonomia dei singoli esseri umani e del loro “diritto” di perseguire un proprio disegno di vita.

Infatti, l’obiettivo della massimizzazione del benessere collettivo genererebbe implicazioni negative riguardo l’uguaglianza e la garanzia di un minimo benessere per ciascuno;

CRITICA DI SEN ALL’UTILITARISMO

Sen fece critica interno dell’utilitarismo che contrasta il dominio assoluto della filosofia utilitarista nell’ambito dell’economia e delle scelte pubbliche proponendo un’integrazione tra utilitarismo e una teoria dei diritti.

L’economia del benessere è dominata fino agli anni 30 dal pensiero utilitarista, il quale teorizza che la soddisfazione degli individui può essere calcolata e comparata usando un metro di valutazione uguale per tutti.

La sistemazione neopositivista di L. Robbins delegittima sia la cardinalità sia la confrontabilità interpersonale delle utilità individuali e comporta il ricorso ad altri metodi per l’aggregazione di preferenze e/o interessi individuali al fine di ottenere o un criterio sociale di valutazione o una decisione collettiva; il metodo che viene utilizzato è quello delle votazioni ricavato dai valori di Borda, de Condorcet e altri: nasce la moderna teoria delle scelte sociali.

Nel 1951 Arrow dimostra che non esiste nessun meccanismo in grado di soddisfare un insieme di requisiti minimali di coerenza e di moralità (pur essendo ogni requisito, singolarmente preso, ragionevole e desiderabile): volendo soddisfare contemporaneamente questi requisiti si generano dei risultati paradossali e incoerenti.

Il teorema di Arrow si è dimostrato così solido che le uniche alternative sono o la rinuncia ad almeno uno dei requisiti o la sostituzione del quadro di analisi.

Sen affronta queste alternative tralasciando la prima, poiché non supera l’impossibilità arrowiana.

Riguardo alla seconda egli attacca la tesi di Arrow accusandone l’incompletezza in quanto ignora informazioni che possono essere trascurate.

Secondo Sen, la “povertà informativa” della teoria di Arrow è causata dall’adozione che questa teoria ha fatto dell’ordinalismo, dall’assenza dei confronti interpersonali e del principio di neutralità.

Sen imposta tutta la sua critica all’utilitarismo, sia sul piano delle scelte sia sul piano dei diritti; per l’economista alcuni fatti quali:

l’esistenza di “cose” che hanno valore anche se non sono preferite o desiderate da nessuno;

l’ esistenza di preferenze “soffocate” verso valori importanti;

il non esaurirsi della persona nella sola utilità,

la necessità di riconoscere alla persona anche la sua singola individualità, non possono essere assolutamente ignorati così come accade nell’utilitarismo.

Attraverso l’impossibilità del liberale paretiano, Sen giunge a dimostrare come il principio di Pareto sia moralmente controverso: basandosi solo sull’utilità i ignorando elementi “morali”, su può autorizzare il passaggio da un Pareto – inferiore anche nel caso in cui il Pareto – superiore sia moralmente di gran lunga inferiore al Pareto – inferiore.

ECONOMIA ETICA ED ETICA ECONOMICA (la proposta di Sen)

Sen constata come l’approccio etico sia indebolito con l’evolversi dell’economia moderna di stampo ingegneristico, comportando un forte ridimensionamento nella considerazione delle ragioni di natura etica che di fatto influenzano il comportamento umano.

Si pone una ipotesi di recupero della componente etica in economia, dato che, nella teoria economica attuale vigono due principi fondamentali:

il comportamento effettivo è un comportamento razionale e prevedibile,

un comportamento razionale è caratterizzato da coerenza interna di scelta e massimizzazione dell’interesse personale;

tali principi non sono corretti: essi negherebbero evidente di fatto quali l’esistenza di errori e confusioni.

Entrando nell’analisi dell’economia del benessere, Sen fa notare come questa abbia assunto un ruolo marginale nell’ambito dell’economia dal momento in cui si sono eliminate le considerazioni di natura etica, si è adottato il criterio dell’ottimo paretiano e si è ritenuto per certo che il comportamento umano fosse mosso dall’interesse personale.

Dell’utilitarismo Sen studia la componente welfarista e osserva che l’utilità non può essere considerata come unica fonte di valore per due ragioni:

l’utilità può generare anche benessere (non solo benessere),

il benessere personale può non coincidere con l’utilità.

E’ un dato di fatto che l’agire di un individuo può essere orientato sia verso il proprio benessere che verso altri obiettivi, quindi è necessario distinguere il benessere dalla facoltà di agire.

L’utilità quindi dovrebbe essere interpretata non in termini di piacere/dispiacere ma di scelta e dunque in relazione con la facoltà di agire e senza un necessario collegamento con il benessere.

Riguardo alla ragione (b), Sen ritiene insufficiente il criterio secondo cui il benessere della persona debba essere giudicato solo sulla base della felicità e dell’appagamento dei desideri.

Il benessere di una persona è questione di valutazione: ci si trova di fronte ad una identificazione tra utilità e benessere, e da ciò il benessere è criticabile in quanto:

  • esso non è l’unica “cosa” che può avere valore,
  • l’utilità non è sufficiente a rappresentare il benessere.

Ci si chiede se sia corretto considerare il vantaggio di una persona basandosi solo sui risultati che questa persona consegue? Sen propone di rappresentare questo vantaggio non solo attraverso ciò che un individuo consegue ma anche attraverso la libertà che egli ha nello stesso conseguire.

Nonostante in economia il concetto di diritto sia forte, l’utilitarismo ha sempre considerato i diritti “totalmente strumentali al raggiungimento di altri beni, in particolare delle utilità”.

Sen guarda alla teoria di Nozick che riconosce alla persona il diritto-libertà di perseguire l’interesse personale quando non vengano violate le libertà altrui. L’esistenza di questa libertà-diritto vieta agli altri di interferire su chi sta perseguendo il proprio interesse personale ma ciò non è sufficiente a legittimare il perseguimento dell’interesse personale in quanto si deve tenere conto anche dell’esistenza di comportamenti volti ad aiutare gli altri.

Sen può distinguere tre elementi essenziali della concezione utilitaristica, cioè:

  • (con) fusione tra benessere di una persona e la sua facoltà di agire,
  • Sovrapposizione tra utilità e benessere,
  • Insufficiente considerazione del concetto di libertà in quanto fatta coincidere solo con i risultati ottenuti attraverso il suo esercizio.

Sen evita di considerare i diritti come doveri, come vincoli cui gli altri devono semplicemente obbedire; secondo lo studioso, il modo migliore di procedere nella valutazione dei risultati/conseguenze è quello di considerare il valore del rispetto dei diritti e il disvalore delle violazioni dei diritti.

Lo stretto legame tra Etica ed Economia è utile sia per l’etica che per l’economia; è necessario che alcune problematiche etiche attuali vengano analizzate in chiave conseguenzialistica (senza sfociare nell’utilitarismo) e comprendere che il comportamento umano non  è solo mosso dall’interesse personale ma è sensibile anche alle variabili non prevedibili.

CONCLUSIONI

Si è dimostrato, come pur nell’ostinato tentativo di voler di-mostrare altro, che la sola stessa definizione di “teorema” in alcune occasioni non attiene ad una precisione di significato tale per cui la si possa considerare valida senza bisogno di analisi approfondita.

Come è apparso in questa ricerca condotta con soli strumenti testuali e qualche colloquio individuale con il Prof. Guglielmo Chiodi, la costruzione storica della vicenda arrowiana, se letta con un pizzico di superficialità, può trarre in inganno, mentre, ad una riflessione in profondità, apre lo sguardo a moltissimi interrogativi intellettuali di estrema eleganza.

Così, il non immaginare l’archetipo presente nel meccanismo di voto che oggi per noi è cosa comune, ci deve far riflettere su tutti i processi di ricerca e minuziosa analisi susseguiti nel corso dei secoli, passati tra dottrine filosofiche e speculazioni economiche, fino ad arrivare alla polemica di base che ha mosso il sentimento e l’interesse di questa ricerca e che banalmente sintetizzo: la democrazia non esiste!

Flavia Munafò

Scienze politiche, Sociologia, Comunicazione

DissE – Dipartimento Scienze Sociali ed Economiche

La Sapienza – Roma


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