UNA “CRISI NELLA CRISI”, QUALE FUTURO?

di Federica Ucci

Una volta passata questa pandemia, il mondo non sarà più lo stesso. Quante volte abbiamo ascoltato queste parole? Quante volte le abbiamo lette, come stiamo facendo anche ora? L’emergenza non è ancora finita, ma il mondo non è già più lo stesso.

<<== Dott.ssa Federica Ucci

Estinta la crisi sanitaria, resteremo intrappolati in una crisi economica chissà ancora per quanto tempo e, ammesso che scivoli via anche questa, potremo dirci veramente a posto? Siamo dentro una “crisi nella crisi”, ma quella che ancora troppo spesso sfugge ai nostri occhi, e, purtroppo anche all’attenzione mediatica, è un disfacimento di portata ancora più ampio. Una crisi che cerca di attirare l’attenzione con le manifestazioni più svariate già da tantissimo tempo. La pandemia da covid-19 ha avuto origine da una zoonosi. Si definisce zoonosi ogni infezione animale trasmissibile agli esseri umani. Ne esistono molte più di quante si potrebbe pensare. L’AIDS ne è un esempio, le varie versioni dell’influenza pure.

Guardandole da lontano queste malattie sembrano confermare l’antica verità darwiniana (la più sinistra tra quelle da lui enunciate, ben nota eppure sistematicamente dimenticata): siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”[1]. Il rischio più significativo per la trasmissione di malattie zoonotiche si verifica all’interfaccia uomo-animale attraverso l’esposizione umana diretta o indiretta agli animali, ai loro prodotti (ad esempio carne, latte, uova.) e / o ai loro ambienti.[2] Il salto di specie, dall’animale all’essere umano avviene in un preciso momento chiamato “spillover zoonotico”, nel quale il patogeno, una volta superate diverse barriere, viene trasmesso da un soggetto all’altro.

La biodiversità è la grande varietà di animali, piante, funghi e microorganismi che costituiscono il nostro Pianeta. Una molteplicità di specie e organismi che, in relazione tra loro, creano un equilibrio fondamentale per la vita sulla Terra. La biodiversità infatti garantisce cibo, acqua pulita, ripari sicuri e risorse, fondamentali per la nostra sopravvivenza[3]. I microorganismi più piccoli, come i funghi, i batteri e, appunto i virus, vivono all’interno di organismi più grandi che prendono il nome di ospiti serbatoio, nei quali sopravvivono senza creare problemi ma a volte possono far sviluppare delle vere e proprie patologie. C’e una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria… Come fanno questi patogeni a compiere il salto dagli animali agli uomini e perché sembra che ciò avvenga con maggiore frequenza negli ultimi tempi?

Per metterla nel modo più piano possibile: perché da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, e dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo ancor più rapido e generalizzato[4]”. Ciò che spinge un patogeno che sta bene nel proprio ospite serbatoio ad effettuare lo spillover è l’alterazione dell’equilibrio biologico da parte dell’azione umana: deforestazione ed urbanizzazione sono solo esempi di come l’uomo, eliminando l’habitat degli animali che ospitano questi patogeni, li inducono a cercare altri serbatoi, tra i quali l’uomo, causando negli scenari peggiori epidemie e pandemie come quella attuale.

I coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie. Il nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio quando starnutiscono o tossiscono o si soffiano il naso.[5] Proprio per questo è importante il comportamento individuale in relazione agli altri, evitando gli assembramenti si evita la sua diffusione. Ecco il motivo principale per cui questo essere invisibile ha “infettato” anche la nostra socialità.

A differenza dei virus a DNA, il coronavirus è a RNA e riesce molto più facilmente a passare da una specie all’altra in quanto ha un genoma molto più piccolo a causa della replicazione soggetta ad errori. Per questo riesce a fare tutta una serie di mutazioni e quindi ad adattarsi con più facilità a specie diverse[6]. Il coronavirus è partito probabilmente dal pipistrello come ospite serbatoio, poi il pangolino è stato ospite intermedio e infine è passato all’uomo, a causa dei market cinesi e del commercio illegale di questi animali. Altri virus a RNA responsabili di zoonosi sono, ad esempio, l’ebola, partito dai primati e dal loro stretto contatto con l’uomo a causa della deforestazione e dal cibarsi della carne di scimmia e l’influenza, veicolata dagli uccelli. Ultimamente, anche se se ne parla sempre troppo poco, una diffusione del coronavirus già mutato si è verificato all’interno degli allevamenti di visoni, in Danimarca ma anche qui da noi. Si ricomincia a parlare di diffusione anche nella carne di maiale, che risulterebbe positiva ma è recente anche la notizia di una nuova ondata di aviaria negli allevamenti di galline nei paesi orientali.

La strage di questi animali, soppressi in massa, talvolta anche sepolti vivi come fossero semplici oggetti l’abbiamo già vista altre volte, nelle epidemie precedenti ed anche nella pandemia odierna e spesso, nelle varie epidemie che si ripresentano più o meno regolarmente. Quella degli allevamenti intensivi è una triste realtà dove si diffondono anche molte altre malattie a causa dei metodi intollerabili in cui sono detenuti gli animali, che si contagiano tra loro mettendo a rischio anche le persone che ci lavorano. Quando sorge una problematica come quella della diffusione di un virus, la prima reazione per risolverla è l’abbattimento sistematico e massivo di tutti gli animali ritenuti veicolo, come se facessero parte di un ambiente a sé stante che non è legato all’uomo.

Eppure, l’intero pianeta terra, con la sua natura ed i suoi animali è strettamente connesso con l’essere umano e, se proviamo a riflettere con un pochino di impegno, riusciremmo facilmente a vedere e a comprendere questa cosa,  collocandola all’interno del quadro generale più ampio della situazione pandemica attuale. E forse proveremmo anche ad immaginarci la prossima pandemia che verrà. La crisi ambientale era in atto già da tempo ed è quella che dovrebbe preoccupare più di ogni altra cosa, perché ci colpisce in casa. Tuttavia, il fatto che sia persistente, che continui a progredire in maniera costante, fa sì che ci si abitui ad essa, che diventi impercettibile, addirittura giustificabile. Quando affrontiamo delle estati torride che ci tolgono il respiro o siamo colpiti da violente trombe d’aria o alluvioni diamo la colpa al meteo che sta cambiando, ma perdiamo di vista la causa principale: noi stessi, come umanità.

L’inquinamento atmosferico peggiora la qualità della nostra aria, e sicuramente non va a vantaggio della sconfitta di un virus invisibile che si muove liberamente proprio in quell’aria. Se ci prendessimo la briga di fermarci a riflettere un po’ più spesso su quanto ci sta accadendo intorno, riusciremmo a prendere coscienza di quanto tutto sia collegato. Quando ci troviamo di fronte ad un’esperienza, entrano in gioco diversi fattori. Riconosciamo ed interpretiamo gli stimoli che interessano i nostri sensi attraverso il processo di percezione, che ci permette di interpretare l’ambiente intorno a noi. Le risposte fisiche prodotte dalla stimolazione degli organi di senso in interazione con l’ambiente danno origine alle sensazioni, mentre le emozioni, che possono essere piacevoli o spiacevoli riguardano, oltre che gli stimoli fisici che giungono dall’esterno, anche le sollecitazioni interiori che riceve il nostro “mondo interiore” fatto di sentimenti, impressioni e turbamenti. Attraverso i meccanismi sensoriali, percettivi ed emozionali quindi, riceviamo i feedback necessari per interagire nel modo più appropriato con il mondo nel quale è immersa la nostra “sfera vitale”[7].

Oggi esiste un continuum socio-culturale tra la cosiddetta normalità, l’esistenza di rischi di origine ambientale e antropica e la loro percezione/valutazione da parte delle persone che si sentono da essi direttamente o indirettamente minacciate. Si parla di concezione strutturale del rischio perché esso può essere assunto come un fattore costitutivo del contesto sociale, la sua percezione individuale e collettiva influenza i processi decisionali alla base dei comportamenti umani che ne costituiscono la diretta conseguenza. Il rischio ormai si è talmente globalizzato da riuscire a creare una “comunità di destino”, nel senso che tutti sappiamo che esso è ovunque e penetra in tutti gli interstizi della vita quotidiana.

Quella di assumersi una responsabilità comune e la volontà di agire collettivamente in maniera responsabile di fronte a delle grandi problematiche dovrebbero caratterizzare la cosiddetta “cultura dell’incertezza” di cui parla Beck[8]. Oggi sono molti i movimenti spontanei che prendono vita anche virtualmente, sui principali social, per contribuire alla sensibilizzazione verso le tematiche legate all’emergenza globale che stiamo attraversando. Attraverso questi canali è possibile accedere anche ad informazioni non sempre politicamente corrette, si possono coinvolgere e mobilitare comunità più ampie di persone che vogliono realmente iniziare a fare qualcosa di concreto per preservare il pianeta, a partire dal cambiamento delle proprie abitudini. Tuttavia, sono ancora molti coloro che non hanno ancora preso pienamente coscienza della gravità della situazione o, se anche lo hanno fatto o ci stanno provando, riescono a concludere poco in merito in quanto certe abitudini, soprattutto se “confortevoli”, sono dure a morire.

Ne parla in maniera molto fluida e semplice Jonathan Safran Foer nel suo libro “Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi”[9], un libro che non sarebbe male leggere per cercare di stimolare in noi nuove riflessioni sul nostro stile di vita. Può verificarsi una distanza tra comprensione e sensazione in base alla percezione che si ha di un pericolo. Se te lo trovi di fronte e lo puoi ben inquadrare, è più facile agire, ma quando lo senti lontano, puoi anche faticare a crederci, pur sapendo che è in atto, perché riflettere sulla complessità e sull’ampiezza di minacce che non abbiamo di fronte è stressante. E questo accade anche a livello immaginativo: sappiamo che i cambiamenti climatici hanno qualcosa a che vedere con l’inquinamento, l’anidride carbonica, le temperature degli oceani, le foreste pluviali, le calotte glaciali … ma quasi tutti noi ci troveremmo in difficoltà a spiegare in quale modo il nostro comportamento individuale e collettivo faccia aumentare di quasi 50 km orari i venti degli uragani o contribuisca a creare un vortice polare che rende Chicago più fredda dell’Antartide[10].

Nella nostra cultura, le storie che perdurano nel tempo – leggende popolari, testi religiosi, miti, eccetera –presentano scontri epocali tra soggetti distinti, buoni e cattivi e un finale edificante, da qui la tendenza a rappresentare i cambiamenti climatici in maniera distopica, ambientata nel futuro e con le cause principali rappresentate come rovina assoluta e non come fattori su cui soffermare l’attenzione per apportare cambiamento e miglioramento.[11] Ci sono state cinque estinzioni di massa, tranne quella che sterminò i dinosauri, tutte furono provocate da cambiamenti climatici. L’estinzione di massa più letale, nota come la Grande Morìa, risale a 250 milioni di anni fa, quando le eruzioni vulcaniche rilasciarono una quantità di CO2 sufficiente a far salire la temperatura degli oceani di circa dieci gradi centigradi, segnando la fine del 96% della vita marina e del 70% di quella terrestre. Molti scienziati chiamano l’era geologica che si estende dalla Rivoluzione Industriale ad oggi “Antropocene”, periodo in cui l’attività umana ha avuto un influsso dominante sulla terra.

Stiamo assistendo alla sesta estinzione di massa, spesso indicata come “l’estinzione dell’ Antropocene”, in un momento storico in cui l’attività umana è responsabile del 100% del riscaldamento globale avvenuto dalla Rivoluzione Industriale nel 1750. Questo cambiamento climatico in corso è il primo determinato da un animale e non da un evento naturale, la sesta estinzione di massa è la prima crisi climatica.[12] Riconoscere che siamo responsabili del problema è il primo passo per assumersi la responsabilità di trovare una soluzione. Il comportamento individuale ha un impatto maggiore di qualsiasi linee guida governative che nessuno segue, le rivoluzioni collettive sono la somma di più rivoluzioni individuali, le nostre scelte sono contagi sociali, vengono tracciate, i servizi e i prodotti sono plasmati in base alle domande… agiamo come individui, famiglie, comunità, nazioni.

Se davvero vuoi salvare il pianeta dovresti morire, ma noi vogliamo salvare la vita sul pianeta. Condurre una vita etica secondo scelte etiche vuol dire prendere meno di ciò che le nostre mani possono contenere, non ci si può proteggere dal futuro, ma si può imparare cosa conta davvero[13]. Questa emergenza sanitaria mondiale sta avendo ripercussioni a livello macro sull’economia e a livello micro sulle relazioni sociali, la crisi ambientale sta nel mezzo e cerca di evidenziare la necessità impellente di recuperare un contatto con la Natura, perché ogni nostra azione si ripercuote, nel bene e nel male su tutto il nostro ambiente e se non lo difendiamo, se non ne abbiamo cura, anche la vita stessa, prima o poi, non sarà più recuperabile.

Federica Ucci, Sociologa specialista in Organizzazioni e Relazioni Sociali


NOTE

[1] David Quammen, Spillover, Adelphi, Milano, 2014 pp.13-14

[2] In che modo i virus mutano e “saltano” nell’uomo? – MediMagazine

[3] Che cos’è la biodiversità | WWF Italy

[4] David Quammen, Spillover, Op. Cit. pp. 39-40).

[5] Ministero della Salute

[6] Differenza tra DNA e virus RNA – Differenza Tra – 2020 (strephonsays.com)

[7] P. Rookes, J. Willson, “La percezione”, Il Mulino, Bologna, 2002

[8] U. Beck, “La società del rischio”, Carocci, Roma, 2000

[9] J. S. Foer, Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi”, Guanda Editore, 2019.

[10] Ibidem,  Pag.30

[11] Ibidem, pag.32.

[12] Ibidem, pag. 151.

[13] Ibidem.


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