IL LOCKDOWN DELLE EMOZIONI
di Denisa Alexandra Cojocariu
In questo momento di pandemia, in cui l’invito è quello di rimanere ognuno nella propria abitazione ci si trova a vivere inevitabilmente in uno spazio e in un tempo non scelti.
<<== dott.ssa Denisa Alexandra Cojocariu
Ho vissuto questi ultimi mesi come una grande altalena emotiva, mi ero quasi convinta che i media stessero sovradimensionando il pericolo sanitario dovuto al diffondersi del coronavirus, ma nei mesi successivi sono passata attraverso stati di paura, poi ansia, preoccupazione, insofferenza e infine rabbia. Non sempre erano emozioni consapevoli, ma attraverso sogni, reazioni non controllate e momenti di ascolto profondo, le vedevo lì: pronte a prendere spazio senza chiedere il permesso dentro di me. Non sapevo da dove venissero, né tantomeno il motivo per cui si trovassero lì e mi sono dunque preoccupata.
Spesso mi sono chiesta come facessi a non conoscermi: beh… da ventiquattro anni convivo con me stessa e ancora non ho il controllo di me e delle mie emozioni. Ancora, dopo così tanto tempo, mi capita di scoprire che avverto paura attraverso la mia pancia che si indolenzisce, provo rabbia perché d’improvviso mi trovo ad alzare la voce verso qualcuno o qualcosa. Sono consapevole del fatto che non siamo le nostre emozioni, ma in quanto osservatrice di esse, mi sono chiesta in questi mesi cosa mi stessero comunicando, cosa si nascondesse dietro e come poterle esprimere, come dare loro voce. Costretta a casa come tanti di noi mi sono trovata a riflettere su cosa volessero dire per me le parole libertà e consapevolezza. Da non sottovalutare che l’unica libertà possibile nasce dalla consapevolezza che la libertà non è possibile.
La libertà non è un assunto, un presupposto ontologico e nemmeno una originaria condizione di natura. La libertà è l’esito di un combattimento tra la volontà di autonomia e la resistenza dei limiti imposti dal fatto di vivere e agire nel regno della necessità e delle risorse scarse: tempo, spazio, salute, forza, beni materiali e immateriali. Ma è anche una lotta con e contro se stessi: tra la tendenza dell’animo umano a rimanere sulla terraferma e quella ad avventurarsi in mare aperto. Come dice Heidegger, “non c’è nulla a cui agganciarsi” e allora si assumono atteggiamenti scomposti, pratiche e pensieri sbagliati
Viviamo
in una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono
giocate prevalentemente nel “non-spazio” del virtuale, del social network,
dandoci l’illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella
reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel
freddo del non-contatto, delle non emozioni.
Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?
L’unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunità, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi.
Da non sottovalutare che quello che ci salva da questo processo apparentemente senza via d’uscita è la consapevolezza. E’ come accendere una candela dove c’è buio: hai la possibilità renderti conto di cosa stai facendo. E quindi… decidere. Più “alleniamo” la nostra mente alla consapevolezza, più siamo in grado di portare luce nelle nostre azioni, così da creare condizioni future più favorevoli. Così da poter gestire le nostre emozioni.
Dott.ssa Denisa Alexandra Cojocariu – sociologa ASI