I CONFLITTI INTERPERSONALI
La sociologia è lo studio del comportamento dell’uomo all’interno dell’ambiente che lo circonda e ciò che caratterizza le differenze comportamentali umane è dato da una cospicua serie di variabili, oggi esamineremo quella relativa alla comunicazione.
Le relazioni umane occupano un posto privilegiato nella vita di ogni individuo e tutte le forme di comunicazione hanno un obiettivo ben preciso: quello di far crescere in dinamica l’essere umano.
L’uomo che vive ed opera in una società, sia essa naturale o convenzionale, per l’andamento della propria vita ha rapporti o contatti con altre persone, sia singolarmente che a livello di gruppo.
In modo specifico, parliamo di ciò che accade nel momento in cui il meccanismo comunicativo si altera per diverse motivazioni, degenerando in conflitto.
Quando la comunicazione interpersonale non assolve più il proprio compito di scambio, codificato e decodificato, si possono verificare due ipotesi:
La prima è che si sia creato un contrasto, laddove due opinioni differenti possono favorire una divergenza.
La seconda è che si sia creato un conflitto, laddove, oltre al contenuto, il nodo della questione è la modalità con la quale una persona comunica una propria idea o una decisione
Mentre nel primo caso è abbastanza possibile recuperare e continuare la comunicazione, spostandosi dal piano dello scambio al piano dell’accettazione della diversità, e dunque mantenere un rapporto interpersonale qualificato secondo una divergenza condivisa, nel secondo caso la questione è più complicata, poiché l’utilizzo della modalità comunicativa scorretta molto spesso va oltre il contenuto dello scambio interpersonale, si rimane ancorati al senso di impedimento o di impotenza che si ingenera nell’adoperare modalità comunicative conflittuali.
Per capire se ci troviamo di fronte ad un conflitto, consideriamo sempre ed in ogni caso se vi sia la presenza di disagio e sofferenza, perché questi ne sono i sintomi inequivocabili.
Quando nel comunicare, esprimiamo le nostre aspettative, i nostri punti di vista, i nostri valori ed i nostri parametri culturali, mettiamo su una piattaforma virtuale la nostra soggettività.
Questo è il momento più delicato, è proprio adesso che, muovendoci sull’asse del confronto, possono emergere le prime difficoltà e può nascere una comunicazione conflittuale.
Immaginiamo di affrontare un discorso dando in modo perentorio, e già usiamo scorrettamente il tono, il nostro parere personale relativamente ad un argomento qualsiasi, se il nostro interlocutore non adotta i nostri stessi parametri ed in più si allinea al nostro tono tassativo, il conflitto è già entrato nella nostra comunicazione.
La parola conflitto evoca in noi un significato dal contenuto sgradevole e spesso lo è davvero, perché quando la diversità di contenuti e la modalità espressiva rimangono nell’ambito della connotazione antagonistica, emerge la difficoltà di capire le ragioni dell’altro e di accettare la divergenza.
Diventa complicato attribuire all’altro il senso della fiducia, condividere con lui uno spazio fisico ed anche il proprio tempo.
Spesso si confonde il conflitto con il litigio, ma il litigio è solo una delle possibili manifestazioni del conflitto, e neanche la più importante.
D’altra parte il conflitto non ha necessariamente esiti negativi, anzi facilita la costruzione dell’identità e la maturazione sociale degli individui.
La sua totale assenza di solito segnala appiattimento, paura reciproca, rancori nascosti, immaturità e quando non c’è conflitto non c’è crescita nelle relazioni umane.
Ricorrentemente i conflitti interessano l’ambito familiare, sia all’interno della coppia che nel rapporto tra le figure genitoriali ed i figli, ma anche la scuola è un terreno fertile.
Al suo interno, quotidianamente, confliggono docenti e studenti, questi ultimi anche fra di loro, e dirigenti scolastici e docenti.
Il mondo del lavoro, poi, è ricco di spunti nel merito, in quanto è il luogo dove è maggiormente rappresentata la gerarchizzazione umana, e nel momento in cui il rapporto interpersonale non si estrinseca su un asse orizzontale ma è fortemente verticalizzato, il conflitto rischia addirittura la cronicizzazione, anche perché l’accesso alle informazioni è appannaggio di pochi e già questo basta per accendere gli animi.
Anche i rapporti amicali e le condivisioni associazionistiche non sono avulsi da questo problema.
Ma tornando al rapporto tra genitori e figli, è importante sottolineare come l’apice del conflitto è frequentemente presente durante la fase adolescenziale dei figli.
In questo caso l’azione conflittuale nasce per una differenza di interpretazione fra i significati che i genitori e gli adolescenti attribuiscono ai comportamenti di questi ultimi.
Un banale esempio è dato dal disordine della stanza del figlio.
I genitori vedono il disordine come una mancanza di rispetto verso le regole sociali e verso di loro, mentre l’adolescente concepisce la propria stanza, con tutto il suo disordine, come un ambito strettamente personale.
Questo succede perché, da un lato i genitori tendono a trattare il proprio figlio come se fosse ancora un bambino, dall’altro il figlio si autoattribuisce una capacità evolutiva maggiore di quella che è nella realtà.
Questo è il momento in cui spesso la famiglia tarda a modificare il proprio atteggiamento educativo.
In pratica, quando un adolescente cresce i genitori tardano a concedergli autonomia e provano ad esercitare la propria autorità, che di per sé non è un male, ma se l’autorità non si trasforma in autorevolezza, l’adolescente non ha margini per rinegoziare il proprio ruolo all’interno della famiglia.
Il conflitto inteso come contrasto tra modi differenti di vedere le cose, facilita la trasformazione verso forme di comunicazione ed integrazione familiare più adulte e mature.
Dunque, come abbiamo già accennato, è opportuno che il conflitto entri nella relazione familiare senza degenerare, ma piuttosto nella sua funzione di crescita e di preparazione alla vita sociale futura dell’adolescente, anche perché il conflitto che passa attraverso la riformulazione dei ruoli all’interno del nucleo familiare, consente al giovane una sana creazione dell’identità personale.
Un ambito in cui il conflitto raggiunge, invece, picchi altissimi di frustrazione è quello che riguarda il rapporto con l’informazione in generale, poiché è quello in cui in minore misura è possibile adottare un rimedio per la risoluzione conflittuale.
Quando tentiamo di accedere all’informazione, per esempio attraverso la televisione, non essendoci scambio rischiamo di subìre passivamente, perché qualcuno ha già scelto per noi cosa dobbiamo sapere e soprattutto come.
Spesso non abbiamo altra scelta, se non quella di interrompere la comunicazione che ingenera in noi un conflitto.
Comprendiamo bene di non essere stati informati correttamente e di avere avuto informazioni parziali, ma non essendoci interazione non abbiamo la possibilità di scambiare il nostro punto di vista.
In questo caso il conflitto è ancora più amaro, poiché rimane irrisolto e ciò che avrebbe potuto accrescerci lascia il posto, inizialmente, a sentimenti frustranti che spesso per difesa trasformiamo in indifferenza.
Dobbiamo sempre ricordarci che, laddove la comunicazione sociale si svolge in modo sbilanciato, cioè fino a quando nella diade una parte sovrasta l’altra, la possibilità di dirimere e rielaborare il conflitto, rinegoziando il rapporto, è molto remota.
Per fortuna, però, esistono in quasi tutti gli altri casi, una serie di accorgimenti che aiutano a risolvere le situazioni conflittuali.