BAMBINO RAPITO DAL PADRE: POMERIGGIO 5 VS LA VITA IN DIRETTA
Come il cibo cattivo, anche i programmi televisivi non possono fare a meno delle spezie del sensazionalismo e degli aromi estratti dalle altrui disgrazie per far diventare commestibile una pietanza ( pardon, un programma) che altrimenti finirebbe nel bidone dei rifiuti organici. Cosa non si fa pur di tagliare per primi il traguardo dell’audience. Faccio zapping e, povero me, m’imbatto in una giovane giornalista stizzita dal fatto che alcuni suoi colleghi di un’emittente concorrente, le hanno “sequestrato” uno dei protagonisti passivi della storia che il programma a cui collabora sta trattando: la vicenda di un bambino contesto dai genitori che, il papà, dallo scorso 6 gennaio, ha portato con sé in una località sconosciuta. Da quel momento si sono perse le tracce dell’uomo e del figlio di 8 anni. La cronista cerca il conforto dalla conduttrice che, come un panzer tedesco, entra in scena e chiede di fare luce sull’episodio. Che razza di giornalismo è questo, borbotto provocando il dissenso di chi in quel momento, guarda Barbara D’Urso alla stregua di una celeste visione. Faccio zapping: da “Pomeriggio 5” passo su “La vita in diretta” con Paola Perego.
Effettivamente, il Sig. Annibale, nonno paterno di Leonardo, che un attimo prima aveva saziato la morbosità dei telespettatori della rete ammiraglia di Mediaset, saltando il fosso, ha cambiato location trovandosi di fronte alle telecamere di Rai1. In amore, in politica e in televisione tutto è consentito: dico nella mia mente. Convinto che la concorrenza resta uno dei capisaldi della libertà di stampa ( un principio che ha ispirato i miei 40 anni di giornalismo) mi affido alle reminiscenze per ritrovare il pensiero di Karl Popper il quale sosteneva che gli operatori della televisione avrebbero dovuto conseguire un apposito patentino. Per Sir Karl, quella “cattiva maestra”, ha un compito importante non solo sulla formazione dei ragazzi, ma anche sul processo culturale di tutti gli altri segmenti della società. I programmi d’intrattenimento pomeridiano, con un target d’ascolto misto, si basano tutti su fatti di cronaca che alimentano nel telespettatore vecchie e nuove paure che ormai, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, fanno parte della dimensione umana: omicidi, attentati, kamikaze, disgrazie, sciagure naturali o causate dalla mano dell’uomo. E così, i programmi, di piccole o grandi emittenti, poggiano su fondamenta d’argilla: scadenti, diseducativi e scarsi dal punto di vista culturale. La scaletta passa con disinvoltura da episodi di violenza singola o di gruppo alle gesta di personaggi del mondo dello spettacolo, da scandali di varia natura alle frivolezze. Spesso tiene banco il gossip, propinato come una gustosa pietanza di cui il telespettatore diventa sempre più ghiotto. Anzi, non sembra poterne più fare a meno. Senza dimenticare la fiction con i suoi effetti devastanti. La società, sempre più povera di valori, sempre più sfilacciata nei legami impedisce al cittadino di rendersi conto che questo tipo di televisione continua a propinarci ricette illusorie e irrazionali preparate da quella che John Condry definì “ladra di tempo e serva infedele” .