LUDOPATIA, IL VUOTO ADOLESCENZIALE E LE NEW ADDICTION

ludopatia 6 1Non c’è accordo nelle nostre società occidentali sulle cause del terrorismo e sui modi per contrastarlo;  sulla guerra e sui modi che possono prevenirla;  sul ruolo che le religioni debbono praticare nella vita pubblica;  su quali siano le soglie valicabili e quali sono le soglie invalicabili al di sotto delle quali la parola democrazia diventa vuota e priva di significati.

Non c’è un accordo sul ruolo che deve esercitare la televisione per divulgare, sostenere o condizionare il calcio, la politica, la cura della saluta e la tutela dell’ambiente. Non c’è accordo sulla forma di Stato ottimale che la nostra nazione dovrebbe avere e sulla futura condizione che l’Europa dovrà svolgere, considerando che ognuno di noi non è più un semplice Cittadino di un paesino di provincia ma siamo Cittadini Europei e come tali dovremmo avere una visione molto   più ampia dove il lavoro, l’istruzione e la dignità sociale non siano più chimere ma azioni concrete e alla portata di tutti per promuovere valori quali   l’inclusione sociale   e la democrazia.

Occorre ammettere senza riserve mentali che tutto ciò che ci circonda sta divenendo vuoto di identità. Privato di quelle virtù   che molti esseri umani, con età anagrafica diversa dalla nostra, hanno creato conquistando nel tempo una soddisfacente qualità della vita e realizzandosi umanamente e professionalmente anche   in contesti difficili come quelli in cui ognuno di noi vive il tempo odierno e, forse, a causa dei molti malesseri, sogna di poter abbandonare il campo al più presto in cerca di fortuna altrove.

Paradossalmente, su una cosa mi sa che tutti sembrano essere d’accordo nel mondo occidentale: non bisogna mai dipendere da nessuno. E’ una convinzione? Una convenienza? E’ forse un ritornello che ha origine anche   tra le mura della nostra casa e inizia a circolare nella nostra mente sin dai primi anni di vita? Qualsiasi sia la ragione, ognuno di noi quotidianamente coltiva un senso di indipendenza, di autonomia che, prendendo in prestito le parole di Bauman,   è alla base del modello sociale attuale   denominato “società liquida” dove si può ben pensare che tutto scorre e nulla rimane.

Dipendere è male, dipendere dagli altri è il più grave dei mali. Questa sembra essere la religione che accomuna tutti, adolescenti inclusi e, forse, i primi ad esserne direttamente   intrisi   e nello stesso tempo sofferenti.

Sappiamo benissimo che non è così. Credenti e non credenti, studiosi di economia, capi di stato, leaders politici   sono convinti che il valore più grande esprimibile dalla società nel suo insieme è l’aggregazione. E’ un paradosso. Se la nostra società si fonda sulla “non dipendenza” l’economia trova il suo esistere e la propria fonte di guadagno nel costruire singole dipendenze attraverso l’omologazione e attraverso il necessario senso di appartenenza che deve essere respirato, vissuto e   praticato da ognuno di noi. In assenza di questa omologazione ci sentiamo estromessi dal contesto e scaraventati fuori dal sistema sentendoci marginali e inutili. Riflettendo bene tali circostanze   riportando all’attualità il pensiero di Emile Durkaim ad affermare che “il suicidio è un problema di tutti. Una scelta privata che richiede discrezione e rispetto, ma le cui cause interpellano la responsabilità collettiva. Perché ci si toglie la vita? Perché si suicidano più gli uomini delle donne?”  Su questa autorevole affermazione vorrei attirare la vostra attenzione chiedendovi   chi sia oggi è più esposto alle dipendenze da gioco: Donne o Uomini?

Bene, ritornando ai nostri giorni, vorrei raccontarvi brevemente una mia esperienza, vissuta tra uno dei tantissimi progetti svolti all’interno delle scuole, dove il confronto con gli alunni non è quello docente –discente ma diviene qualcosa di molto diverso, secondo me particolarmente entusiasmante e propositivo.

Quando si riesce a stabilire la sintonia giusta si lavora sull’atteggiamento, sul linguaggio, sul profitto scolastico, sulla prevenzione delle devianze. In poche parole: si lavora sull’uomo e sul percorso che esso si pone davanti. Nello specifico dell’esperienza, ricordo di una ragazza che aveva litigato di brutto con i propri genitori perché voleva a tutti i costi dei pantaloni a vita “ultra bassa”, biancheria intima con il nome da far leggere sull’elastico che esce dai jeans, davanti e dietro. Mostrandosi quindi in un atteggiamento emancipato e maggiormente libertino. Volevo discutere con lei sull’utilità del litigio, cercando di   ragionare sul rapporto infra-familiare e sul valore del modo di vestire che i genitori declamavano   non condividendo le scelte della giovane. Di tanto in tanto, cercavo di costruire un messaggio a favore della famiglia ascoltando le numerose motivazioni. Ad un bel momento la discente mi fa un’osservazione: “ma lei non ha ancora capito che solo pochi famosi, belli, al vertice della società possono permettersi di fare quello che pensano, di indossare qualsiasi abito, mentre per tutti gli altri non è così, per noi c’è solo una strada: imitare, copiare, almeno per esistere e resistere all’interno di questo sistema sociale che premia le copie ed elimina che sta fuori dal coro”.Purtroppo sono un sociologo che vive di questa professione e, ascoltando quella risposta ferma e decisa, pronunciata da una ragazza di soli 15 anni, ho compreso la fragilità adolescenziale e soprattutto la criticità e l’aggravata condizione sociale di chi vive certe esperienze avvertendo “limiti” non reali ma frutto della necessaria somiglianza.

Perché questa lunga introduzione?

Nell’avviarmi alla conclusione, mi soffermo brevemente sul titolo della relazione: “il vuoto adolescenziale e le new addiction” confidando nella possibilità di avere interlocutori complici al necessario sentimento di cambiamento che deve esserci in ognuno di noi.   Dal racconto della giovane 15 enne credo che si possa comprendere che l’affetto familiare sia di gran lunga più importante della moda. Affrancarsi dal fallimento personale attraverso rifugi temporanei quali il gioco, internet, shopping convulsivo e fallimenti scolastici non aiuterà certamente nessuno di noi a vivere una vita migliore o a sentirci realizzati.

Mi piacerebbe sapere che in questa scuola e in tutto il nostro territorio si dipendesse in egual misura all’aria che respiriamo a qualcosa che forse oggi si tende a tenere a distanza: mi riferisco alla cultura e alla voglia di saper essere Cittadini.

Prima di avviare questi lavori abbiamo chiesto ad ognuno di voi di compilare un questionario che ha una valenza straordinaria: immortalare un dato e metterlo sotto lo sguardo di tutti.

Personalmente non ho contezza dei valori che verranno fuori, sono però convinto ci sia in ognuno di voi la voglia di liberarsi da questa opprimente sensazione di dipendenza che limita la libertà, il vivere quotidiano e la realizzazione dei singoli sogni.

La nostra presenza e quella di tutti gli illustri relatori in questa sede non deve essere vista come una perdita di mezza giornata di scuola ma come un’opportunità per comprendere la necessaria sfida che ognuno di noi deve praticare quotidianamente per essere migliore, non per sopraffare il proprio prossimo ma per rendere bene all’umanità. Per questo motivo abbiamo deciso di dare un titolo forte a questa all’iniziativa: “non giocarti il futuro”


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