Devianza: tra medietà e anormalità

di Davide Costa

La devianza è data dalla sommatoria degli scarti dalla media ovvero dalla differenza tra ciascuna modalità e la media al quadrato.  Essa è un indice di dispersione ossia esprime il grado di variabilità all’interno di un collettivo.

<<== dott. Davide Costa

Quante volte ci sarà capitato di sentir parlare di “devianza” oppure di “atto deviante”? Nella società del click anche termini molto complessi, e talvolta non particolarmente agevoli, diventano sempre di più di uso comune. In particolare, il termine devianza, è quasi esclusivamente impiegato con un’accezione negativa e/o dispregiativa.

 Deviare significa “andare contro”, ma fino a che punto questo “andare contro”(chi e cosa?), è negativo?

E’ per tali ragioni che è intendo avviare un ciclo di articoli dedicati alle diverse forme di devianza  portate sul grande schermo,  sotto forma di pellicole, nella piena convinzione che le rappresentazioni sociali siano tra le più grandi lenti con le quali poter analizzare il mondo sociale. Ma prima di fare tutto ciò è fondamentale fornire un quadro definitorio e metodologico che possa essere utile non solo agli addetti ai lavori ma anche, e soprattutto, ai profani, precisando sin da ora che quanto segue lungi dall’essere una trattazione esaustiva.

Dobbiamo partire dal presupposto che la sociologia, in primis, ha più volte cercato di fornire risposte più o meno esaustive sul piano semantico a proposito del fenomeno di cui stiamo parlando. E’ per questo motivo che bisogna partire dalla definizione, a nostro avviso, più autorevole, di devianza, ovvero quella di Luciano Gallino,  secondo cui la devianza è qualsiasi: Atto o comportamento o espressione, anche verbale, del membro riconosciuto di una collettività che la maggioranza dei membri della collettività stessa giudicano come uno scostamento o una violazione più o meno grave, sul piano pratico o su quello ideologico , di determinate norme o aspettazioni o credenze che essi giudicano legittime o a cui di fatto aderiscono, ed al quale tendono a reagire con intensità proporzionale al loro senso di offesa”(Gallino, 2014).

Secondo quanto detto fino ad ora, la devianza ha insita nella sua stessa natura una forma di scostamento da un “qualcosa” di collettivamente(o meglio socialmente) definito; si tratta di un evento o situazione  perturbante che fa vacillare il sistema delle “comodità sociali”, ossia valori, credenze, norme  e cioè la “cassetta degli attrezzi” del vivere in società; si tratta, però di uno strumentario particolarmente semplicistico, perché improntato su un approccio, per così dire inferenziale, e quindi volto verso la  generalizzazione, o meglio, basato sulle generalità, o per essere più “statistici” sulla medietà.

Non è affatto casuale il richiamo alla statistica, dal momento che si avvale di un indice di dispersione omonimo, appunto la devianza, con il quale si designa il valore di uno scostamento rispetto all’andamento medio di una distribuzione. Il che ci porta a paragonare la medietà con il concetto di normalità; a questo proposito dobbiamo ricordare che Quételet già nella metà dell’Ottocento parlava di uomo medio, ossia l’individuo nel quale si manifesta la media delle qualità di una collettività. Anche se normalità e medietà sono due locuzioni molto “pericolose” e non semplici da maneggiare, soprattutto in questo periodo in cui ogni parola viene utilizzata come un corpo contundente con cui colpire e ferire, anche a morte, l’altro!

Ma ritornando al concetto di medietà/normalità, spesso in statistica, a questo proposito, si ricorre alla poesia di Trilussa(2015):

…te tocca un pollo all’anno

e, se nun entra nelle spese tue

t’entra ne la statistica lo stesso

perché c’è un antro che ne magna due…”.

In questi pochi versi è racchiusa un grande osservazione statistico-sociologica perché “Trilussa aveva ragione: la media aritmetica fra 0(polli mangiati dal protagonista della poesia) e 2 polli(mangiati dall’antro della poesia) la media aritmetica svolge molto male il suo lavoro di valore medio di sintesi poiché dà un informazione contraria alla realtà”(Mecatti, 2015).

Dove si vuole andare a parare con ciò? Al fatto che nella medietà non vi è effettiva realtà, non vi è la possibilità di cogliere la variabilità, ovvero quell’attitudine insita nella natura, alla diversità, che molto spesso, è minoritaria ma non per questo meno rilevante, anzi, in diversi casi sono state proprio le minoranze, le “devianze”, ad aver cambiato il mondo.

Il concetto di devianza, così, assume un significato duale, nella piena convinzione, però, che ogni fenomeno sociale sia per la sua stessa essenza, governato da una pluralità di sfumature, poiché si tratta di prodotti umani, e sappiamo bene quanto l’umano sia poco “fungibile” e di conseguenza “variabile” e mutevole. Pertanto, non si vuole “difendere a spada tratta” sempre e comunque la devianza, ma più semplicemente vogliamo sottolineare come questo fenomeno sia anche e non solo  pericoloso per l’individuo e la collettività. A questo proposito, alla stregua di questo pseudo dualismo(tra normalità e anormalità, tra medietà e devianza) dobbiamo ricordare che “(…) anormalità non è una constatazione effettiva ma una valutazione. (…)– perciò vanno distinte-le personalità anormali come semplice deviazione dalla media, dalle personalità veramente malate, che sono scaturite dall’alterazione di una disposizione per il sopravvivere di un processo morboso”(Jaspers 2000).

Il confine tra normalità e devianza è labile, perché labile è il parametro al quale si fa riferimento per poter “giudicare” un qualsiasi evento come deviante; ci riferiamo alla norma, che per sua stessa definizione è in generale uno strumento di controllo del comportamento umano. Ecco dunque il nocciolo della questione, se il confine, tra anormalità e normalità è sancito dallo strumento in cui viene impressa l’impronta di chi l’ha prodotta, significa che nella norma è implicita la sua propensione a generale una qualche forma di disuguaglianza.

Perché ciò? Perché l’atto di normare, o meglio di porre in essere una norma(sociale o giuridica) è un atto di potere, ma ogni qualvolta si ricorre al potere si riproducono gli schemi di disuguaglianza, e quindi di ineguale distribuzione delle risorse, che renderà minoritaria la a rilevanza di alcuni gruppi, e quindi rappresentatività di determinate ideologie nella norma che si intende produrre ed applicare. Il che ha portato, e continua a farlo, ad un iper-dominio del pregiudizio, degli schemata, ovvero di tutte quelle forme mentali e sociali, volte ad anticipare e prevedere l’agire dell’altro, impregnate di intolleranza verso la diversità. Si badi bene, però, che la diversità non necessita di ostentazione o spettacolarizzazione, altrimenti il rischio è quello di aumentare ancora di più il grado di riprovazione sociale, e con essa la totale non accettazione della devianza(in senso positivo ovviamente!).

Deviare, quindi, non per forza è solo un qualcosa dal quale bisogna tutelarsi, anzi “(…) del criterio della norma(…) si può abusarne per etichettare o escludere tutti quelli che, apparentemente sono fuori norma, sono invece normalissimi sotto altri rispetti antropologici e morali. Tutti gli individui geniali, i riformatori, i fondatori, ecc., entrano necessariamente in conflitto con la “normalità mediocre” e con il sistema  socio-politico del momento, e si pongono come modelli di rinnovamento critico  e di progresso, sebbene siano visti dagli altri come modelli negativi da non seguire, come modelli destinati al fallimento, come modelli per certi aspetti patologici”(Bilotta 2017).

A questo punto dovremmo rivedere, con uno spirito sociale e sociologico rinnovato, il concetto di devianza, poiché in alcuni casi è proprio ciò che si discosta che stimola e innova, due azioni che oggi più di ieri, per un domani diverso, dovremmo iniziare a realizzare. Dovremmo, sempre sotto un profilo positivo e all’insegna del pluralismo, cominciare a ricercare quel lato unico, che ci caratterizza, che ci rende soggetti nella società in grado di adattarsi ma al contempo stesso di differenziarsi anche  perché come ci ricorda Aristotele “Non c’è mai stato un vero genio senza un pizzico di pazzia”.

Davide Costa- Sociologo e segretario regionale dell’Associazione Sociologi Italiani

Riferimenti bibliografici

Bilotta B.M., (2017), Elementi di sociologia dei conflitti, Cedam, Milano.

Gallino L.(2014) “Dizionario di Sociologia”, De Agostini Libri S.p.A, Novara.

Jaspers K.,(2000), Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico, Roma.

Mecatti F., (2015), Statistica di base: come, quando, perché, McGraw-Hill Education, Milano.

Trilussa, (2015), Tutte le poesie, Mondadori, Segrate.


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