LE NUOVE FRONTIERE DELLA SOCIOLOGIA: LA NEUROSOCIOLOGIA
di Sonia Angelisi
Grazie alle scoperte in ambito neuroscientifico, molti concetti sociologici iniziano ad avere riscontro anche dalla fisiologia. Uno di questi è il concetto di coscienza collettiva postulato da Durkheim. La coscienza collettiva indica l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società e spiega che per capire la società bisogna partire da un gruppo di organismi legati da vincoli di solidarietà.
<<== dott.ssa Sonia Angelisi
Questo passaggio è importante se teniamo conto dei limiti imposti di quanto i limiti imposti dalla scienza nella scelta delle prospettive, restringevano di molto il campo di osservazione dei fenomeni, primo di tutti quello sociale perché difficilmente inquadrabile nel cosiddetto metodo scientifico. Oggi sappiamo che le relazioni sociali giocano un ruolo fondamentale per la sopravvivenza, poiché i neuroni si modificano biologicamente e le strutture cerebrali si trasformano attraverso le nostre esperienze di socializzazione. Le relazioni sociali sono fondamentali, quindi, per la nostra salute e la qualità della vita. Scienze biologiche e scienze sociali tentano di stringersi la mano dando vita a un connubio impensabile fino a qualche decennio fa riassumibile nel termine: neurosociologia. La neurosociologia appartiene alla branca interdisciplinare delle neuroscienze sociali secondo cui i comportamenti umani influenzano la fisiologia dell’uomo e l’ambiente circostante e viceversa. Le neuroscienze sociali nascono orientativamente nei primi anni ’90 con un articolo pubblicato su “American Psycologist” da parte del filosofo Cacioppo e dello psicobiologo Berntson. Questa scienza cerca di comprendere come i sistemi biologici implementano i processi sociali, utilizzando i metodi delle neuroscienze, dando vita a un’alleanza tra scienze biologiche e scienze sociali.
Il primo a parlare di neurosociologia fu David D. Franks, sociologo alla Virgina Commonwealth University, il quale pone in relazione le strutture cerebrali con gli aspetti sociologici, scrive il primo libro scientifico sulla neurosociologia per portare all’attenzione dei più come il cervello umano influenza l’interazione umana e, viceversa come i processi mentali influiscono sulle funzioni neuronali. La base teorica della neurosociologia di Franks si basa sulla teoria microsociologica dell’interazionismo simbolico. L’interazionismo simbolico pone l’accento sulla creazione dei significati nella vita e nelle azioni umane, sottolineando la natura pluralistica della società, il relativismo culturale e sociale delle norme e delle regole etiche e sociali e la visione del Sé come socialmente strutturato (W: James, Weber, Schutz, Mead); tale approccio fa da apripista alla psicologia sociale, quella branca della psicologia che studia l’interazione tra l’individuo e i gruppi sociali. Tuttavia, dire branca della psicologia non è propriamente corretto, visto che le interazioni tra individuo e gruppi sono strettamente pertinenti all’analisi sociologica e i confini tra psicologia sociale e sociologia non sono stati definiti dalla comunità scientifica internazionale, bensì dagli ordini professionali in Italia, generando quella separazione che non è sicuramente di supporto ad una crescita cooperativa della scienza.
L’interazionismo si basa su tre assunti principali:
- gli esseri umani agiscono nei confronti delle “cose” (oggetti fisici, esseri umani, istituzioni, idee…) in base al significato che attribuiscono ad esse;
- il significato attribuito a tali oggetti nasce dall’interazione tra gli individui ed è quindi condiviso da questi (il significato è un prodotto sociale);
- tali significati sono costruiti e ricostruiti attraverso un “processo interpretativo messo in atto da una persona nell’affrontare le cose in cui si imbatte”.
In un’intervista del 2012 a Giacomo Rizzolatti. Colui che scoprì i neuroni -specchio, in merito alle applicazioni pratiche della sua scoperta lo scienziato afferma: “…in generale non ci siamo occupati molto delle applicazioni pratiche della scoperta dei neuroni specchio. Dovrebbero essere i sociologi a puntare su questo aspetto per migliorare l’empatia”.
Questa affermazione ci è utile per comprendere come i campi di applicazione della sociologia sono sempre più vasti. La sociologia è una scienza e un’arte che si estende continuamente i suoi confini comprendendo e contaminandosi con nuove discipline, perché tutto ciò che riguarda l’uomo e la sua socialità non può prescindere dagli studi sociologici. Dda quando si è appurata l’interconnessione tra uomo e ambiente, del suo rapporto circolare, delle reciproche influenze, di come le emozioni modificano le risposte fisiologiche e, a loro volta di come queste emozioni dipendano dalle interazioni con l’ambiente esterno, tutto diventa SOCIOLOGIA.
La neurosociologia è una sfida avvincente, un orizzonte al quale bisogna tendere, una disciplina da integrare alle terapie di supporto come quella del counseling, sganciando la relazione di aiuto da approcci scientifici predefiniti ed aprendo a nuovi paradigmi di cura, o meglio, paradigmi della salute.
L’interesse della sociologia alle neuroscienze deve essere ancora più impellente se pensiamo a come il cervello umano sia principalmente un cervello sociale (Dunbar). Con cervello sociale indichiamo quelle strutture e quelle funzioni cerebrali coinvolte nelle interazioni e relazioni sociali. Noi umani siamo gli unici esseri viventi a trascorrere più tempo con i nostri caregiver; questo significa che le nostre interconnessioni neuronali sono frutto non tanto di fattori biologici innati, quanto da esperienze di socializzazione (M. Blanco, 2016) . Le nostre capacità relazionali e le nostre intelligenze multiple sono le nostre armi di sopravvivenza e di evoluzione. Inoltre, l’apprendimento tramite l’esperienza dell’uomo viene potenziato da quella che è definita neuroplasticità-esperienza dipendente, ovvero i cablaggi neuronali si ristrutturano a seconda delle esperienze vissute; la neurogenesi, cioè il processo attraverso cui vengono generati nuovi neuroni, è un processo che dura tutta la vita: le sinapsi del cervello crescono e si modificano grazie alle esperienze di socializzazione.
“La neuroplasticità cerebrale conferma la tesi che la socializzazione è un processo che prosegue per tutta la vita. L’esperienza derivante da ogni ambiente o gruppo sociale in cui un essere umano si inserisce ovvero si reinserisce, comporta delle modificazioni della struttura del cervello e, ovviamente, delle sue funzioni” (Blanco, 2016)
Ogni volta che due individui interagisco tra loro si crea un’esperienza emotiva collettiva; questo significa che non possiamo interagire con un altro essere umano senza esserne influenzati emotivamente, poiché viviamo di connessioni emotive, connessioni che si modificano e perfezionano attraverso la crescita personale dell’essere umano. Non bisogna trascurare, dunque, lo sviluppo dell’intelligenza emotiva accanto a quella cognitiva, poiché è proprio il nostro quoziente emotivo ad essere determinante nelle relazioni sociali, nel riconoscimento della nostra intersoggettività e nello sviluppo dell’empatia.
A questo punto, preme fare una distinzione tra interazione sociale e relazione sociale. L’interazione sociale è quella che si realizza quando die o più individui (soggetti agenti) si influenzano e orientano reciprocamente le loro azioni; l’interazione sociale si crea tanto con i nostri familiari e persone che frequentiamo abitualmente, quanto con persone che incontriamo fugacemente, occasionalmente o casualmente. Lo psicologo statunitense Louis Cozolino, paragona l’interazione sociale all’interazione fra due neuroni che formano una sinapsi, tanto da parlare di sinapsi sociale in cui al posto dei neurotrasmettitori ci sono i comportamenti che portano l’informazione sociale, e al posto dei neuroni troviamo i soggetti agenti. Tali comportamenti (un sorriso, una stretta di mano, uno sguardo, un dialogo qualunque) producono trasformazioni biologiche a livello cerebrale.
Le relazioni sociali, invece, sono quelle interpersonali che si creano dal susseguirsi di una storia interazioni sociali, permettendo lo stabilirsi di un legame. Non sempre una storia di interazioni sociali crea una relazione sociale.
L’intersoggettività, invece, è la capacità di riconoscere se stesso e l’altro come due soggetti distinti che interagiscono. Posso riconoscermi in un altro attraverso il rispecchiamento delle azioni. Non può esistere l’intersoggettività senza le interazioni sociali.
Dell’empatia, parlerò in modo più approfondito in un articolo a parte poiché è un concetto fondamentale del counseling tradizionale e, ovviamente, anche di quello sociolistico di cui l’ASI si fa promotore.
Quanto desidero sottolineare in questo scritto, è l’esigenza di slegare la sociologia da una sorta di vittimismo e rimetterla al centro della scienza, come disciplina complementare in grado di apportare un contributo indispensabile alle scoperte scientifiche, così come la neurosociologia, campo appena germogliato e bisognoso di esplorazione, indica a noi studiosi di scienze sociali.
Sonia Angelisi, sociologa