Quando struttura culturale e struttura sociale si scontrano
Davvero, negli Stati Uniti, le vittime “bianche” delle forze di polizia sono più di quelle “Afroamericane”?
di Marco Vercillo
È, innanzitutto, indispensabile chiarire, prima di qualsivoglia analisi, come si ritenga superfluo anche solo soffermarsi nell’esaminare i dati seguenti, ritenendosi, alla base di qualsiasi questione, i numeri riportati in seguito, come “esseri umani” in quanto tali, e non in quanto appartenenti a questa o quella etnia. Ogni vita umana ha il medesimo valore e qualificare i soggetti in base alla loro etnia, anche solo a scopo analitico, è cosa che risulta difficoltosa, ma necessaria allo scopo di chiarire le informazioni ed evitare strumentalizzazioni e fake news.
<<=== Dott. Marco Vercillo
Si inizierà, a tale scopo, dall’analisi di contenuti recentemente reperiti sui social media, diffusi da fonti che, pur avendo molto seguito, non si sono preoccupate di contestualizzare né verificare la qualità delle informazioni diffuse. Si rapporteranno poi, tali concetti, alla fonte da cui sono state reperite le informazioni su cui, gli stessi, si fondano. Si procederà, successivamente, a rapportare le informazioni che saranno emerse nell’analisi, ai dati forniti dal Governo Federale degli Stati Uniti. Si ricorrerà poi, allo sviluppo di un’ulteriore questione, allo scopo di giungere a conclusioni concrete ed empiricamente evidenti.
L’immagine sottostante è recentemente apparsa su Facebook, ed è stata (più volte) condivisa allo scopo di affermare la futilità della c.d. “questione razziale”, nata sotto lo slogan “Black Lives Matters”, all’indomani dell’omicidio di George Floyd, negli Stati Uniti d’America. Tale immagine, facendo riferimento ad alcuni dati, espressi in termini assoluti, citati dal Washington Post (https://www.washingtonpost.com/graphics/investigations/police-shootings-database/), vorrebbe affermare che il numero di persone “bianche” morte in seguito a scontri che hanno visto coinvolte le forze dell’ordine americane negli ultimi 4 anni sarebbe pari quasi al doppio delle vittime “afroamericane”.
(Fonte:https://www.statista.com/statistics/585152/people-shot-to-death-by-us-police-by-race/)
Ciò che risulterebbe trascurato da un’analisi del genere sarebbe, invece, il rapporto del dato assoluto alle percentuali di distribuzione etnica della popolazione. Tale proporzione, oltre che essere menzionata in tutte le fonti che fanno riferimento al tema, è menzionata esplicitamente dall’articolo del Washington post da cui le altre fonti, che risultano adesso abbastanza chiaramente citate con finalità strumentali, hanno reperito i dati:
(Fonte:https://www.washingtonpost.com/graphics/investigations/police-shootings-database/).
Se si volesse, infatti, porre in essere un’esauriente analisi della tematica risulterebbe essenziale andare a guardare, innanzitutto, alla distribuzione della popolazione statunitense tra le diverse etnie. Ad agevolarci, in tale operazione, è lo stesso governo americano, che ci fornisce i seguenti dati percentuali:
(Fonte:https://www.census.gov/quickfacts/fact/table/US)
Alla luce di tali dati, su una popolazione che la medesima fonte riconosce essere di circa 325 milioni di persone, circa 197 milioni apparterrebbero all’etnia bianca, e circa 42 milioni a quella “afroamericana”. Riconosciuti tali valori, e rapportati gli stessi con dati relativi alle persone che hanno perso la vita in sparatorie in cui sono risultate coinvolte le forze dell’ordine, si giungerà alla conclusione che le vittime “afroamericane” sono 31 per ogni milione di abitanti appartenente all’etnia, mentre le vittime “bianche” sono 13 per ogni milione di abitanti appartenenti all’etnia. È alla luce di quanto affermato fino a questo punto che il Washington Post (art. cit.), giunge ad affermare che “the rate at which black Americans are killed by police is more than twice as high as the rate for white Americans” (il tasso degli americani neri uccisi dalla polizia è più del doppio di quello degli americani bianchi).
Di fronte a tale analisi, un’ulteriore questione che potrebbe essere sollevata è quella relativa al rapporto tra le vittime di sparatorie vedenti coinvolte le forze dell’ordine e la quantità di “attività criminali” poste in essere dalle diverse etnie.
Indispensabile risulta, prima di approfondire tale argomento, fare brevemente cenno ad alcune delle principali teorie sociologiche in materia di criminalità, necessarie a contestualizzare i dati che si vedranno di qui a breve. Il riferimento è, in particolare, alla teoria dell’etichettamento ed a quella della tensione.
La teoria dell’etichettamento, i cui risvolti sono empiricamente presenti nella storia e nella cultura americana, si basa sull’identificazione di un aspetto istituzionale della devianza, per cui il criminale è tale, in quanto identificato, istituzionalmente, come tale. Quando si è etichettati come criminali, si diviene criminali. Tale teoria vuole lo sviluppo della devianza su due piani: la devianza primaria interessa relazioni che hanno valenza marginale per chi le compie, la devianza secondaria emerge in quelle situazioni nelle quali l’atto commesso suscita una reazione di condanna e porta, colui che lo ha commesso a riformulare la propria identità attorno a quell’atto criminale. È per questo che il ragazzo da sempre socialmente riconosciuto come “delinquente” sarà portato ad aderire ad una gang.
La teoria della tensione, sviluppata Robert Merton, poi, vuole che la devianza si provochi da una situazione di anomia, dove vi sia un contrasto tra la struttura culturale e quella sociale. La struttura culturale di una società definisce le mete di un contesto sociale ed i mezzi legali per il conseguimento delle stesse; la struttura sociale, invece, consiste nella distribuzione effettiva delle opportunità concrete necessarie al conseguimento di quelle mete con quei mezzi. Evidente è come in alcune specifiche aree degli Stati uniti, e per alcune specifiche etnie americane, tale contrasto possa risultare incolmabile.
Accanto a quanto detto, evidenti sono le problematiche connesse alla definizione e all’accertamento di un’attività criminale. Se, ad esempio, in sede giurisdizionale, viene riconosciuta la sussistenza di una truffa, che, tuttavia, a causa di un problema procedurale, non può essere sanzionata, la stessa dovrà, o meno, essere considerata come attività criminale? Se invece, un crimine evidente viene posto in essere sul web, ma non risulti possibile stabilire la competenza a perseguirlo, si potrà comunque parlare di attività criminale?
Particolarmente complesso risulta, dunque, un indicatore che ci permetta di porre in essere una analisi significativa in termini qualitativi a tale proposito. L’indicatore più utile, seppure esclusivo della dimensione qualitativa, allo scopo di sviluppare un’analisi quantitativa, può essere quello della quantità di arresti, facilmente reperibile, anch’esso sul sito dell’autorità federale statunitense competente (https://ucr.fbi.gov/crime-in-the-u.s/2016/crime-in-the-u.s.-2016/topic-pages/tables/table-21?fbclid=IwAR1FJAO0twGihLHxuGoOYJ1j5ZpD81ceMfATtNORn3r0oJtXr05qOAnebP8).
Prima di prendere per buoni tali dati, tuttavia, occorre chiarire immediatamente, sebbene superficialmente, come tale indicatore debba essere preso con pinze. Ciò in quanto, sebbene sia vero che negli Stati Uniti sia garantito il diritto ad una difesa processuale, proprio per il funzionamento del sistema di giustizia americano, di primaria rilevanza risulta la qualità della difesa di cui si possa disporre allo scopo di evitare l’arresto. Tanto migliore sarà la difesa, quanto più questa sarà onerosa. Occorre, dunque, prima di procedere nell’analisi, affermare chiaramente come, nella media, gli afroamericani abbiano un livello di reddito nettamente inferiore ai “bianchi”, come si può facilmente evincere sempre dalle fonti federali:
(Fonte:https://www.census.gov/content/dam/Census/library/visualizations/2018/demo/p60-263/figure1.pdf).
Le implicazioni di tale constatazione risultano nel fatto che, avendo, mediamente, gli afroamericani, un livello di reddito inferiore, potranno permettersi una qualità di difesa inferiore in sede giudiziaria, determinando una maggiore quantità di arresti nei confronti di questa etnia.Chiarito questo punto, si può tornare all’analisi qualitativa e prendere atto di come, nel 2016 (anno relativamente al quale è risultato più facile reperire dati di pubblico accesso), su un totale di circa 8.5 milioni di arresti, circa 6 milioni dei soggetti a tale tipo di coercizione fossero appartenenti all’etnia “bianca”, e solo circa 2 milioni a quella afroamericana. Passando, nell’analisi, dal dato in termini assoluti a quello espresso in termini percentuali, potremmo affermare che, circa il 70% degli individui soggetti a provvedimenti fossero di etnia “bianca”, e solo circa il 27% fossero di etnia afroamericana.
Utile può risultare, a questo punto, rapportare la percentuale degli arresti a quella della popolazione:
- I “bianchi”, che risultano essere circa il 60% della popolazione, sono oggetto di circa il 70% degli arresti;
- Gli afroamericani, che corrispondono a circa il 13% della popolazione, sono oggetto di circa il 25% dei provvedimenti coercitivi.
Da quanto esposto fino a questo punto si può, agevolmente, riconoscere come, benché il numero dei “bianchi” arrestati sia pari quasi a tre volte quello degli afroamericani, il numero dei bianchi uccisi è inferiore doppio del numero di “afroamericani” vittime di scontri che vedono coinvolte le forze dell’ordine, pur essendo, proporzionalmente, soggetti ad arresto quasi nel 75% dei casi in più rispetto ai “bianchi”. Dal rapporto tra la percentuale della popolazione e la percentuale di arresti, relative alle due etnie, emerge, infatti, come il rapporto sia pari al 117% per i bianchi, ed al 192% per gli afroamericani.
Rilevante è anche come, a tale conclusione si sia giunti ignorando la dimensione qualitativa in favore di quella quantitativa, accettando di adoperare un indicatore quale quello del numero di cittadini soggetti a provvedimento di arresto, che abbiamo visto tendere a penalizzare le etnie che hanno, mediamente, un livello di reddito più basso (in questo caso quella afroamericana).
Per concludere, si può, dunque, affermare che, non solo, rapportando il numero delle vittime di scontri con le forze dell’ordine alla popolazione, la comunità afroamericana risulta ben più duramente colpita di quella bianca, ma anche come, tale dato, risulti ulteriormente rafforzato da un confronto con il numero di arresti che interessano le etnie in oggetto. Ciò resta valido nonostante quanto sopra affermato relativamente al funzionamento della giustizia negli Stati Uniti e nonostante i provvedimenti privativi della libertà siano ben più frequentemente posti in essere nei confronti di soggetti appartenenti all’etnia afroamericana di quanto non lo siano nei confronti di quelli appartenenti all’etnia “bianca”.
Discorso ulteriore, ed altresì complesso, potrebbe essere sviluppato in relazione ai casi in cui le vittime abbiano perso la vita in scontri in cui le forze dell’ordine stessero, o meno, agendo in esercizio della propria legittima difesa, dato sul quale non ci si è soffermati in questa breve analisi.
Il dato che è, invece, emerso, come il più vigoroso e preoccupante, è quello relativo alla brutalità delle forze dell’ordine statunitense. Una brutalità che dovrebbe essere sempre inaccettabile ed oggetto di disapprovazione da parte del popolo americano e della stampa internazionale, a prescindere dall’etnia delle vittime. Questo drammatico momento storico dovrebbe portare tutti noi a riflettere sul fatto che, ancora oggi, nel 2020, da una parte, vengano posti in essere i gravi comportamenti di cui pocanzi si è detto nei confronti di una persona solo in quanto afroamericana e, dall’altra, vi sia ancora qualcuno che utilizza strumentalmente dei dati (che rimangono comunque di una gravità estrema, per propinare un “vittimismo” bianco, ed il superamento di alcune dinamiche che, sfortunatamente, permangono all’interno della società americana.