SOCIOLOGIA E COUNSELING: UN CONNUBIO IMPRESCINDIBILE
di Sonia Angelisi
Counseling e intelligenza emotiva sono strettamente collegati tra loro da una parola magica, forse fin troppo inflazionata negli ultimi tempi al pari del termine “sostenibilità” nei periodi di grande attenzione alle tematiche ambientali. La parola magica che collega counseling a intelligenza emotiva è EMPATIA
<<== Dott.ssa Sonia Angelisi
L’empatia non è simpatia: l’empatia è un atteggiamento comunicativo che ci permette di abbracciare tutte le interazioni interpersonali, indipendentemente dalle persone che ci stanno davanti, dal fatto di essere o meno d’accordo o di simpatizzare con loro; la capacità di provare empatia, quindi, preserva la nostra dignità di esseri umani anche quando gli altri non ci stanno simpatici. Simpatia deriva dal greco sym-patéo che letteralmente significa provare le stesse emozioni di qualcuno, condividere con lui o lei la stessa relazione emotiva agli eventi. Empatia ha un significato etimologico diverso: dal greco en-pátheia significa essere “dentro” i sentimenti, le emozioni di un’altra persona, comprendere esperienzialmente ciò che sta provando, mettendo da parte il nostro giudizio su tali emozioni.
Il counseling nella pratica rogersiana è una attività basata proprio sull’accettazione incondizionata, la fiducia, il rispetto della persona e la responsabilità del cliente per se stesso. Nella sua definizione tradizionale, il counseling indica un’attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del cliente, promuovendone atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità di scelta. Si occupa di problemi non specifici (prendere decisioni, miglioramento delle relazioni interpersonali) e contestualmente circoscritti (famiglia, lavoro, scuola). Favorisce attraverso la relazione di aiuto (counselor-cliente) ed il sostegno psicologico, lo sviluppo e l’utilizzo delle qualità e potenzialità, già insite nell’uomo, perché questi possa esprimere pienamente ed autenticamente se stesso. E’ un approccio centrato sulla persona, sulla relazione d’aiuto, un approccio sistemico concentrato sulla salute, o meglio, non solo sulla salute ma anche sulla realizzazione degli obiettivi salutogenici, poiché andiamo a creare le condizioni affinchè il cliente si mantenga in un buono stato di salute psico-relazionale e adotti stili di vita-pensiero sani. Il counseling, in quanto attività di promozione del benessere e della salute, è la prima azione salutogenica. Dunque, salute non solo come assenza di malattia ma in senso allargato, una salute sociale che dipende e si compenetra con la salute individuale, fino a influire sulla salute globale; da qui la necessità del sociologo che si fa sempre mediatore di eccellenza tra le dimensioni micro e macro. La sociologia studia il sociale che gravita attorno all’individuo, ai gruppi, alle istituzioni, si occupa dell’uomo e delle sue relazioni, del modo di svilupparsi, mutare nel cambiamento, vivere. Tra i micro e macro processi sociali oggetto di studio della sociologia vi è sicuramente la salute: un bene individuale ma anche e soprattutto sociale, che interessa le politiche di Welfare nazionali e comunitarie.
Dal counseling classico, si sono sviluppate diverse concezioni di terapia centrata sul cliente, che vanno a definire a loro volta approcci operativi peculiari a seconda delle teorie di riferimento.
Quella di cui accenneremo in questo articolo è il Counseling Sociolistico, un counseling integrato basato sulla commistione tra approccio sistemico -relazionale (Bateson, Scuola di Palo Alto) e strategie di sviluppo empatico e riequilibrio pico-fisico. Il conuselor sociolistico è una figura nuova, con abilità totalmente autonome rispetto ad un counselor tradizionale, ad uno psicologo o ad un socioterapeuta, con una formazione che mira al superamento delle differenze teoriche e metodologiche dei vari modelli. Da sempre, infatti, soprattutto nella nostra penisola, si registra un malcontento crescente tra le varie figure professionali che si occupano del benessere psicofisico, come se si condannasse come oltraggioso lo sconfinamento di competenze. A differenza degli Stati Uniti o di alcuni Paesi Nord Europei in cui si ricerca un approccio cooperativo tra professioni similari e complementari, in Italia si fa fatica ad entrare nell’ottica di un approccio integrato. Eppure quest’ultimo apporterebbe dei vantaggi inimmaginabili non solo alla ricerca scientifica, ma alla vita quotidiana di ognuno di noi.
La figura consulente sociolistico attinente al Metodo Beyond, metodo elaborato all’interno delle attività ASI e, pertanto, di esclusiva pertinenza del percorso formativo dell’Associazione Sociologi Italiani, è in un certo senso transpersonale ovvero riprende i concetti di unità e universalità della psicologia wilberiana, nella convinzione che l’utilizzo congiunto dei nostri emisferi cerebrali sia fondamentale per ottenere una lettura il più possibile completa della realtà. Essere un consulente transpersonale significa avviarsi alla comprensione dell’irrazionale e, soprattutto, rifiutare la rigorosità del metodo scientifico in favore di un approccio interpretativo; è attraverso questo approccio che mi ricollego al termine sociolisitico. Proprio come la sociologia aspira ad una riforma della società affrancandosi dall’ortodossia dell’oggettivismo, così un counselor sociolistico del Metodo Beyond mira ad accrescere il potenziale cognitivo e sensoriale del proprio cliente perché fortemente persuaso che questo genererà un effetto Butterfly. L’effetto farfalla sembra un concetto poetico, e in parte lo è, ma ha delle basi ed una origine matematica in quanto ha a che fare con la teoria del caos. Si tratta, infatti, dell’idea che piccole variazioni nelle condizioni iniziali arrivino a produrre grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. Ci si chiederà forse cosa centra la farfalla con questo effetto a cascata. La farfalla, animale così delicato nel suo volo, e apprezzato per i suoi colori, immaginato come innocuo, con un suo battito di ali può causare una tempesta. Questo perché la variazione di pressione causata dalle ali può amplificarsi nello spazio e nel tempo e assumere dimensioni inimmaginabili (1). Allo stesso modo, un consulente Beyond sa che la presa di coscienza universale di un suo cliente avrà ripercussioni sull’intera società.
Dunque, l’aspetto olistico è doppio:
il primo è che si agisce su tutte le dimensioni dell’individuo, così come le direttive europee in materia di salute stanno evidenziando da un po’ di anni a questa parte, in modo tale da innescare un macroshift personale;
il secondo aspetto è che questo cambiamento avrà ripercussioni a catena su grande scala visto che l’individuo, attraverso la condivisione delle sue esperienze di socializzazione, tenterà di attrarre consapevolmente o inconsapevolmente gli altri nella spirale virtuosa del suo mutamento bio-psico-sociale,
Beyond, quindi, ha diversi significati: vuol dire andare al di là, andare oltre le costruzioni sociali, gli incasellamenti disciplinari, le rigorosità scientifiche, senza per questo perdere di autenticità e serietà. In realtà, non si vuole inventare nulla di nuovo: nell’antichità, prima della divisione dei saperi secondo la logica dualistica cartesiana, vi era una compenetrazione di saperi che consentiva una visione globale delle problematiche; quello che intendiamo fare adesso è recuperare quella visione olistica e intervenire concretamente nella risoluzione di problemi che non possono essere considerati solo di pertinenza di determinate scienze nella formula distruttiva dei compartimenti stagni. Ribadisco, dunque, l’importanza di abbattere le barriere tra le discipline e fare in modo che i saperi dialoghino tra loro. Il metodo Beyond, pertanto, è un modo come un altro per invitare le scienze ufficiali e quelle alternative a dialogare tra loro nella convinzione che la cooperazione ha sempre avuto un netto vantaggio sulla competizione.
In questa prospettiva, il counseling sociolistico che si fonda l’impianto teorico della psicologia umanista (la cosiddetta Terza Forza) e si snoda sulle teoria della Mente del sociologo, antropologo e psicologo Gregory Bateson, si configura come scienza e arte poiché prevede una certa propensione da parte del cliente a porsi nell’ottica dell’ascolto attivo. Il Metodo Beyond si inserisce tra quei servizi di cura che auspicano ad un cambio di paradigma all’interno degli interventi salutogenici, in favore di un approccio collaborativo delle diverse figure professionali, allo scopo di favorire processi rigenerativi e riequilibranti in soggetti (pazienti, clienti) più responsabilizzati e collaborativi nell’ambito degli interventi di cura.
Tornando alla descrizione del “Metodo Beyond”, che altro non è che uno dei tanti approcci alla salute in senso esteso (poiché ricerca i contributi proveniente da diverse discipline), possiamo affermare che esso si basa essenzialmente su cinque princìpi fondamentali:
Principio della Salute: l’obiettivo del metodo Beyond è quello di indirizzare ad uno stato sempre migliore di salute anche in assenza di malattia. Il disagio psichico non è alla base della consulenza sociolisitica, anche perché non rientra nelle competenze di un esperto sociolisitico. Il cambio di paradigma deve essere proprio quello di incentivare la cura del proprio stato di salute in senso esteso, nella consapevolezza che non tutte le nostre potenzialità umane sono attualizzate.
Principio dell’Unità: è necessario improntare la terapia (o relazione d’aiuto) sul superamento delle divisioni a cui la società ci ha abituato. Le contrapposizioni tra oggetto e soggetto, interno ed esterno, natura e cultura, mente e cuore, non hanno fatto altro che creare interferenze tra le esperienze umane che viviamo quotidianamente. Il risultato dei confini immaginari che arbitrariamente tracciamo intorno alle nostre esperienze sono: ansia, angoscia, sofferenza, paura. Avere consapevolezza che esiste un’armonia di cui facciamo parte, un equilibrio a cui possiamo giungere è il primo passo verso la libertà dalle nostre gabbie mentali. Le dicotomie intrinseche in ognuno di noi devono essere superate, a cominciare dall’idea che lo stesso consulente si fa del cliente che ha di fronte.
Principio dell’Illuminazione: questo sembra essere il principio che annulla tutti gli altri principi in quanto invita l’esperto Beyond a non seguire alcun criterio metodologico e ad affidarsi alla propria intuizione. In realtà, il principio dell’illuminazione è proprio quello che fa luce a tutti gli altri, il faro guida da cui far scaturire le nostre considerazioni sul cliente che abbiamo davanti. Come abbiamo già detto precedentemente, la mente razionale non è la sola a garantirci le scelte migliori. L’intelligenza razionale senza intelligenza emotiva non ci rende persone di successo. E’ come ci relazioniamo con gli altri a migliorare la nostra vita. Il lavoro sinergico tra intelligenza razionale e intelligenza emotiva, tra lobi prefrontali e amigdala, ci condurrà a gestire la nostra vita nel miglior modo possibile. Il termine “intuizione”, che a quanto pare deriva dal latino intueor, in “dentro” e “tueor” guardare, ovvero guardare dentro, è una delle nostre facoltà più affascinanti. Il compito del consulente sociolisitico è quello di usarlo e insegnare al proprio cliente a fare altrettanto.
Principio della transdisciplinarietà: il consulente sociolisitico deve essere in grado di indirizzare il cliente verso pratiche e trattamenti psico-fisici in grado di innalzare il potenziale umano intrinseco. Tali trattamenti non devono assolutamente interpretarsi come interventi clinici intesi nell’ottica della medicalizzazione, ma piuttosto come attività complementari non invasive capaci di coadiuvarsi efficacemente con la terapia sociolisitica in atto, nell’ottica dell’approccio bio-psico-sociale proprio della salutogenesi.
Principio dell’adattamento: questo principio è figlio legittimo e diretto del principio di Unità e si rifà ai concetti di sopravvivenza dell’individuo: più il cliente accresce la sua consapevolezza in relazione al mondo, più sarà in grado di accettare le conseguenze del suo vissuto trasformando anche le esternalità negative in punti di forza. L’adattamento consiste, ancora una volta, nella negazione della separazione e, di conseguenza, della sopraffazione per configurarsi come il paracadute che ci salverà dai nostri impatti con la realtà.
Da sottolineare come l’attività del counselor sociolistico abbia assoluto bisogno delle competenze sociologiche in quanto le problematiche psico-sociali del cliente non sono maislegate dalle influenze dell’ambiente circostante ( ia esso l’ambito lavorativo, familiare, amicale). Salute, quindi, in senso molto ampio, dall’antico ma mai obsoleto concetto olistico proposto dal primo grande medico della storia Ippocrate che credeva che la salute passasse attraverso l’equilibrio delle tre parti di cui è fatto l’uomo: bio -psico- sociale. Ovvero, ciò che accade nella nostra sfera emotiva, nella nostra psiche ha contatti con il nostro organismo e con la nostra sfera sociale.
La dimensione sociale non la ritroviamo soltanto nelle motivazioni a monte del counseling sociolistico come approccio adatto a risolvere disagi di natura psico-sociale, quindi, correlate sistematicamente all’ambiente, ma questa dimensione sociale è riscontrabile anche a valle quando facciamo riferimento all’intelligenza sociale. L’intelligenza sociale è la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera efficiente, costruttiva e socialmente compatibile. Solitamente questo tipo di logica intellettiva è presente negli individui dotati di grande senso autocritico e di spiccata vena creativa. I suoi aspetti più importanti sono due: l’empatia e la comunicazione. Il counselor sociolistico, rintraccia nella sociologia quelle tecniche comunicative in grado di accrescere le capacità del cliente, rendendolo consapevole delle zone di ombra e di luce dei suoi rapporti sociali . Di fatto, l’intelligenza sociale può essere destinata a due finalità: comprendere fenomeni della società e dall’altro a comprendere le interazioni ed a prevedere le ricadute che i comportamenti individuali e di gruppo possono avere sulle altre persone. Intelligenza sociale è la competenza sempre rinnovabile e migliorabile che ci consente di costruire relazioni soddisfacenti con le altre persone nella più vasta sfera dei rapporti sociali (wikipedia).
Da questo modello di cura orientato alla salutogenesi e al benessere psico-sociale, forgiamo quello che è l’Individuo Olistico: l’uomo e la donna che concentra nell’unità la molteplicità e si ritrova a riconnettere in un’unica nuova narrazione la propria visione del mondo facendo appello a quegli aspetti da sempre trascurati o messi al bando dal mondo accademico e dalle scienze in generale, quali l’intuito, la creatività e le emozioni guardati con tanta ostilità dai razionalisti positivisti. La tendenza dominante è fondata su due valori:
il Wellthiness, composto a sua volta da benessere, salute e felicità. Il benessere è inteso non come ben-avere ma come esperienza olistica che attinge a più campi vitali, interiori ed esteriori all’individuo, da quello psicologico all’emozionale, dal relazionale al sensoriale. La salute assume anch’essa una connotazione olistica in quanto non è più concepita come cura del proprio corpo, ma più ampiamente sia come valore primario a cui ambire modificando il proprio stile di vita e sia come target utile ad una migliore convivenza sociale: la salute di ciascuno dipende dalla salute globale e viceversa. In ultimo, la felicità, viene anch’essa concepita in senso olistico rifacendosi all’antico nozione greca di eudaimonia (2). E’ una felicità non edonistica e autocentrata, ma solidale, relazionale, filantropica, il trarre felicità dal dono della felicità stessa. La qualità di vita del singolo, insomma, non può più essere indipendente da quella altrui. Del resto, questa tendenza dell’uomo nel concorrere alla produzione di felicità è testimoniata anche scientificamente: monitorando i segnali cerebrali di chi decide di essere generoso, di fidarsi dell’altro, si è scoperto che le aree di attivazione del cervello sono uguali a quelle di chi riceve un atto di generosità. C’è una soddisfazione cerebrale nel donare, nel procurare piacere in senso lato che si ritrova nelle radici biologiche della natura umana:
la Natura, è un altro dei grandi valori emergenti. La consapevolezza di vivere su un mondo finito ha allarmato gli ambientalisti che hanno gridato ad uno stile di vita frugale basato sulla sobrietà, richiamando quasi un ritorno al passato poco concretizzabile. La decrescita tanto acclamata e tanto fraintesa, non ha avuto riscontro pratico che ci si aspettava nella realtà. Tuttavia, un inaspettato effetto serendipity materializzatosi con l’inflazione dei beni alimentari, ha riposizionato le priorità degli individui in una nuova scala di valori. Gli attori sociali cercano il risparmio senza rinunciare alla qualità e, quindi, si riversano nei mercati locali, ricercano il rapporto diretto con i produttori, riscoprono l’autoproduzione che illumina nuovamente le menti da quella oscurazione percettiva della natura (Pieroni, 2003).
La rivalorizzazione della natura connessa con lo stato della nostra salute ha permesso il ritorno in auge di antichi metodi di cura e guarigione sepolti da anni di “produzione chimica” della salute. Il counseling è tra questi: un modo innovativo, senza effetti collaterali, pluridisciplinare in grado di produrre salute.
Dott. Sonia Angelisi – sociologa, ricercatrice indipendente, delegata ASI sociologia della salute e delle emozioni.
NOTE
(1) https://www.ideegreen.it/effetto-farfalla-115077.html
(2) La parola greca eudaimonia correntemente tradotta con “felicità”, indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale dell’individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Nell’etimologia della parola è implicita l’idea che un buon daimon abbia presieduto all’assegnazione del mio destino, in una sfera più ampia delle sensazioni personali: la mia sorte ha a che vedere con la mia collocazione nel mondo, e non solo con il mio umore, o con i divertimenti della vita privata. Per questo, come spiega Solone a Crespo nel racconto tramandato da Erodoto (I, 21-45), non si può dire di nessuno che sia felice, se non dopo che ha concluso felicemente la sua vita.
Nell’etica antica, l’eudaimonia è il bene supremo, quello che vale la pena perseguire per se stesso: ma il benessere in essa implicito è, in sostanza, un buon rapporto con il mondo. Una felicità esclusivamente privata sarebbe stata percepita come una sorta di “felicità degli idioti”. Quando Socrate afferma che chi subisce ingiustizia è meno infelice di chi la commette, sta dicendo che la persona ingiusta, rispetto alla sua vittima innocente, ha un rapporto peggiore con il mondo.
Nel mondo moderno, quando si parla di felicità, si intende per lo più la semplice soddisfazione individuale: nella nostra prospettiva, ragionare come Polo non sarebbe scandaloso, perché la nostra “felicità” non dipende in primo luogo dalla nostra “distribuzione” nel mondo, ma dal modo in cui ci sentiamo. Kant, per esempio, tratta la felicità come un’idea i cui contenuti sono empirici e soggettivi: per questo motivo, non si può assumere la felicità come punto di partenza per stabilire quale sia la corretta assegnazione e collocazione degli individui nel mondo; occorre invece trovare una legge morale razionale che possa valere per tutti gli esseri liberi, a prescindere dalle loro sensazioni e opinioni sul piacere. Il problema della felicità, nel senso moderno di soddisfazione personale, si potrà porre solo una volta risolto il problema della corretta collocazione dei soggetti morali nel mondo. Per questo Kant distingue l’uomo virtuoso, cioè colui che fa il suo dovere e si rende degno di felicità, dall’uomo per il quale si realizza il sommo bene, ossia la persona virtuosa che ottiene tutta la felicità che merita. La mia corretta collocazione nel mondo non comporta necessariamente la mia soddisfazione personale: io potrei anche fare il mio dovere senza ricavare la soddisfazione che merito. (http://lgxserver.uniba.it/lei/personali/pievatolo/platone/felix.htm)