Sociologo con il semplice diploma? Insorgono i laureati in sociologia: “Pronti a marciare su Roma”

Frequentare l’Università e conseguire una laurea in sociologia è una perdita di tempo. Incredibile, ma vero. E anche comodo perché con il ‘learning by doing’ anche chi non ha voglia di frequentare l’Università può diventare esperto in scienze sociali. Poveri laureati in sociologia: siete/siamo stati “fregati” dal contenuto della norma UNI 11695 del novembre 2017.
Leggere il virgolettato che segue solleva qualche perplessità, per questo un chiarimento serve a rasserenare gli animi
NORMA UNI, punto 6: “ELEMENTI DI VALUTAZIONE E CONVALIDA DEI RISULTATI DELL’APPRENDIMENTO”.
6.1 Generalità “Nel presente punto si forniscono, in forma di linee guida, alcune indicazioni relative al percorso formativo relativo all’attività professionale del sociologo, sia in termini di accesso all’attività professionale (v.6.2) sia per la relativa valutazione (v.6.2)”.
6.2 PERCORSO DI ACCESSO ALLA PROFESSIONE
“L’accesso alla professione dovrebbe essere subordinato, in alternativa al possesso di uno dei seguenti requisiti:
a) Laurea triennale in Sociologia (L -40) per quanto riguarda il sociologo di base;
b) Laurea Magistrale in Sociologia e Ricerca sociale (LM -88) per quanto riguarda il Sociologo specialista;
c) pur in assenza di quanto previsto ai punti a) e b), aver seguito un percorso formativo non formale e informale che abbia consentito il conseguimento delle conoscenze, abilità e competenze di cui al punto 5.1 per il sociologo di base, di cui al punto 5.2 per il Sociologo specialista”.
Tale norma, che a posteriori tutti contestiamo, non è stata concepita dall’UNI per opera e virtù dello Spirito Santo, ma dopo alcuni anni di dibattito in seno ad una commissione di esperti, in prevalenza rappresentanti di un gruppo di associazioni di sociologi (AIS, ANS, AIST, SISS e SOIS). Commissione che ha ritenuto di inserire nella norma il ‘learning by doing’ – apprendimento non formale e informale. Quando tale norma venne pubblicata tra gli applausi e gli osanna, furono in pochi a capire la svista, forse, neanche i rappresentanti di quelle stesse associazioni di sociologi che, dietro il pagamento di una quota annuale di adesione all’UNI, oggi fanno gli gnorri.
Una delle associazioni che ha preso parte ai lavori per la formulazione della Norma, tre giorni fa ha annunciato, urbi et orbi, che la “Certificazione professionale del sociologo/a è realtà”.
A quel punto lo slogan “lotta dura senza paura” è stato il grido di battaglia di migliaia di laureati in sociologia (sociologi o aspiranti), che adesso vogliono vederci chiaro ed invocano spiegazioni sul sub c del punto 6.1 della norma UNI in questione. L’ASI – Associazione Sociologi Italiani – che sulla vicenda, da anni esprime perplessità, è decisa a chiedere spiegazioni attraverso un legale di fiducia.
Con un post su Facebook, con tanto di auguri di 1° Maggio, l’AIS ha istruzioni per consentire ai sociologi la “certificazione di qualità” e “l’accreditamento”, compiti affidati alla società “FAC Certifica”. A parte che “Certificazione” e “Accreditamento” sono su base volontaria e non obbligatoria, la lettura della brochure FAC, che riporta integralmente i punti 6, 6.1 e 6.2, rivela l’arcano sul sub c della norma stessa. Dove “l’aver seguito un percorso formativo non formale e informale” apre la porta ad altre lauree, “da valutare volta per volta, tenendo conto della formazione e dell’esperienza specifiche richieste (cfr.sez. A/1 e B)”.
E spalanca anche un portone a quanti sono in possesso “almeno di Diploma di scuola media superiore e percorso formativo specifico come descritto in A/1”. Queste ulteriori possibilità di accesso alla professione, apprese dalla lettura della brochure di “FAC Certifica” e non riportate dalla Norma in questione, ci lasciano perplessi. Ma sull’operato della Società di certificazione, tuttavia, non esistono ombre o diffidenze.
A questo punto, chi ha fatto parte della Commissione per la formulazione della norma sui sociologi è chiamato a chiarire ed assumersi eventuali responsabilità. Al momento abbiamo deciso di tacere sui costi che gli interessati dovranno affrontare.
Noi resteremo vigili e l’idea di una marcia gandhiana su Roma non è un proclama, ma una certezza.
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