ANGELI IN CAMICE BIANCO
TESTIMONIANZE DAL FRONTE ANTIVIRUS

Intervista a uno dei tanti “angeli in camice bianco”: Simonetta Vernocchi, medico internista in un ospedale pubblico della Lombardia. Pneumologa: da febbraio di quest’anno impegnata in un reparto per acuti da covid-19 e come consulente delle RSA. Oltre che medico, la dottoressa Vernocchi è anche sociologa, divulgatrice scientifica e si dedica a temi di attualità sia di carattere scientifico che psicologico. Professore a contratto per diverse Università, relativamente alla tematiche di fine vita, fisiologia e fisiopatologia, semiotica, health, malattie dell’apparato respiratorio; docente nella scuola Adleriana di Psicoterapia di Milano, relativamente alla tematiche di neurofisiologia e di etica. (foto a sinistra).
di Antonio Latella
Il 4 maggio prende il via la fase 2 e gradualmente si allargano gli spazi del nostro confinamento. Dottoressa, Lei è un “soldato” che opera al fronte di questa guerra contro il Covid -19: quale futuro dobbiamo aspettarci? La scienza medica, giustamente, invita alla prudenza mentre il resto del Paese, in primis le forze economiche e produttive, sembra abbia fretta di superare il lockdown.
Credo che non possiamo considerare il costo del lockdown solo in termini di salute fisica: stare chiusi ad oltranza costa in termini non solo economici ma anche di salute psicologica. Consideriamo il «benessere» inteso a 360° sul piatto della bilancia, non solo prevenzione del contagio. Tra l’altro ricordo la definizione di salute secondo la Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2004): “stato di benessere in cui l’individuo indirizza le proprie abilità, è in grado di gestire le normali situazioni di stress, di lavorare produttivamente e fruttuosamente, e di dare un contributo alla propria comunità”.

Non Le pare che stia prevalendo la voglia del “tutti liberi”, rispetto alla prudenza che, come abbiamo costatato in questi due mesi, è forse la più importante strategia contro un nemico invisibile e potente?
Sì, mi sembra un po’ strumentalizzata questa voglia di tutti liberi, anche se d’altra parte forse il Governo, di fatto, non ha deciso.

Da medico e da studioso sociale, non Le pare che manchi una vera percezione del rischio che, nonostante il rallentamento del virus, è sempre alto almeno, fino a quando non venga scoperto un vaccino?
Sì, purtroppo si oscilla tra l’irrazionale paura del contagio di alcuni con la fobia sociale e l’irresponsabilità di altri. È difficile trovare un equilibrio in un momento in cui non ci sono riferimenti, e anche i grandi capi vengono meno, dicono sciocchezze. Forse il Papa, -non sono papista e nemmeno troppo osservante- ci ha dato un grande esempio di saggezza. Si è adattato alle disposizioni del Governo di buon grado senza discutere, senza fare polemiche. Ha chiuso perfino le Chiese. Non si è venduto né lasciato abbindolare da chi voleva la messa solo per i capifamiglia, è sul pezzo ossia sui poveri che faticano a curarsi. Mia zia lavora con loro e ha visto come abbiano trovato rifugio i senza dimora di Roma nelle residenze ecclesiastiche. Dovremmo fare anche noi così, lasciar perdere le polemiche ed essere concreti

Fino a qualche settimana fa la scienza medica parlava di infezione ai polmoni, oggi invece il virus sembra colpire altri organi del nostro corpo. Cosa ne pensa? E quale prevenzione?
È una malattia subdola, che non conosciamo ancora bene. All’inizio si pensava non colpisse i bambini, invece ora sappiamo che non è così: anche loro possono avere manifestazioni a distanza di 6-8 settimane dal contagio, anche piuttosto gravi. Ci sono almeno 4 stadi diversi che si articolano in mesi, da 6 a 9 settimane: incubazione 3-15 giorni, febbre e malattia simil-influenzale 7-21 gioni, latenza di 3 giorni, fase citochinica di solito grave con febbre elevata, 6-12 giorni insufficienza respiratoria, che se non trattata può essere fatale, sintomi neurologici, cardiaci, cutanei, recupero con diarrea, ripresa di malattia e ancora qualche giorno di febbre. È una malattia sistemica che colpisce i vasi sanguigni: una vasculite, a seconda dell’organo colpito si presenta come polmonite se sono colpiti i vasi polmonari; miocardite, i vasi del cuore; neuro-covid se sono colpiti i vasi del sistema nervo -centrale. A parte il contenimento, le famose tre T: testa, ossia individua i malati; tratta, applica le terapie corrette con i farmaci adatti ad ogni fase della malattia; e traccia i contatti del malato. Mi sembra che siamo stati carenti nella prima fase: troppo pochi tamponi, eseguiti con fatica. Una chimera questo tampone. Mentre nella fase del trattamento siamo diventati bravi. I contatti del malato di solito emergono spontaneamente, ma anche in questo caso non si comprende come mai sia così difficile testarli.
Le cronache giornalistiche ipotizzano un ritardo nella scoperta del virus. Oggi, addirittura, da più parti, viene ipotizzato che il covid-19 circolasse nel nostro Paese già a gennaio. Ci sono riscontri sanitari che alimentano questo dubbio, oppure ancora una volta siamo di fronte a fake news?
Con la facilità degli spostamenti e dei voli, se si parla di gennaio 2020, dico di sì sicuramente, ma non prima. Chi sosteneva di aver contratto il virus a dicembre è stato smentito dai test sierologici. Questi test evidenziano una bassissima diffusione del virus: 11% di positivi ai test immunologici, 15% in zona rossa, 2,4% in zone limitrofe.
A proposito di informazione: quanto ha influito la mancanza di una regia nella comunicazione nella sottovalutazione del rischio e, di conseguenza, i comportamenti anarchici – o di disobbedienza – rispetto ai comportamenti codificati dall’ OMS e dalle autorità sanitarie nazionali?
Sicuramente questo virus ci ha disorientato, è un virus poco umano. A me personalmente faceva paura all’inizio, quando leggevo i resoconti dei medici di Wuhan. Non c’era nulla di rassicurante. Invece credo sia colpevole la superficialità di chi ha diretto i lavori in Lombardia, troppo pressapochismo. Il disastro di Lodi e le relative vittime, credo fossero non evitabili, invece la partita Atlanta-Valencia e la movida bergamasca e bresciana sicuramente evitabile. Ricordiamo le numerose sagre e fiere di febbraio con trasporti gratuiti dalle valli a Bergamo e Brescia città. In tutta Italia si era prudenti, lì si è sfidata la sorte. Per quanto riguarda invece le RSA, secondo me dobbiamo essere un po’ più indulgenti: con le nostre risorse e i nostri mezzi non si poteva fare molto di più.

Non Le pare che le troppe voci, oltre a quelle della scienza medica – politici, rappresentanti del governo, governatori, sindaci – abbiano contribuito al disorientare il cittadino?
Ci consola il fatto che anche questo comportamento è pandemico: da Trump che consiglia il disinfettante e i cittadini che l’assumono davvero, ai nostri virologi che dicono spesso ciascuno il contrario dell’altro, o i sedicenti premi Nobel che si lanciano in interpretazioni alternative. I sindaci, forse, sono i rappresentanti delle autorità che si sono mostrate più legate alla popolazione. Popolazione che a mio giudizio si è comportata molto bene: da Nord a Sud quando ci siamo resi conto della gravità del contagio i cittadini sono stati più responsabili dei politici.
La pandemia ha confermato il diverso grado di efficienza tra la sanità del Nord e quella del Sud. Ma ha messo in evidenza come di fronte ad eventi di eccezionale gravità come quello attuale, anche nelle regioni dalla sanità eccellente ci sia una carenza infrastrutturale oltre che programmatica.
Credo che il Nord, e la Lombardia in particolare, abbia pagato oltre il fatto di essere stato sede del primo focolaio di contagio: l’effetto sorpresa e l’inesperienza, anche il grande investimento nella sanità privata che almeno all’inizio ha rifiutato di fatto di farsi carico dei pazienti. Solo con la sospensione dell’attività ambulatoriale e dell’attività chirurgica in elezione, la sanità privata si è – proprio malgrado – fatta carico dei pazienti COVID-19. All’inizio il peso dei pazienti era sui pronto soccorso e sugli ospedali pubblici. Credo che in Lombardia le risorse fossero sufficienti ed i posti in terapia intensiva potevano anche bastare se avessimo avuto personale sufficiente. Troppo pochi medici.
Dottoressa Vernocchi, in questi due mesi l’Italia ha assistito al protagonismo di una moltitudine di personaggi in cerca di visibilità impegnati, h 24, a dispensare giudizi e consigli. Tutto questo mentre il virus, oltre ai cittadini, non ha risparmiato medici, infermieri ed altri operatori sanitari. “Angeli in camice bianco” siete stati definiti. In questa guerra Lei è stata, e lo è ancora, in prima linea. I soldati che lottano al fronte spesso sono chiamati a combattere anche contro la solitudine, la nostalgia, la mancanza della famiglia. Una situazione fisica e mentale che forse lascerà il segno.
Infatti ha ragione. Mentre noi ci facevamo in quattro per coprire i turni e arrivare a fare anche l’impossibile, i nostri capi si contagiavano alle macchinette del caffè dopo riunioni interminabili ed inutili e si è dimostrato che poi, anche senza la loro presenza in azienda, abbiamo retto il colpo. Oppure si facevano intervistare propagandando farmaci dalla utilità dubbia e comunque non provata, senza considerare l’impatto che questo avrebbe avuto sulla popolazione. Tutte le telefonate ai parenti sia di degenti COVID, sia nelle RSA riguardo a pazienti infettati o presunti tali, -ricordiamo che il telefono è l’unico mezzo di comunicazione con le famiglie- esordiscono con una disquisizione sterile sulle terapie somministrate. “Che farmaci gli avete dato? Non lo trattate in modo adeguato! Gli date i farmaci di serie B…chiederemo la copia della cartella”. Io sono molto arrabbiata per questi motivi. Mentre prima avevo paura di espormi, ora credo che le persone debbano sapere come stanno le cose, e come sono andate veramente. La gente vuole denunciare? C’è un gruppo su facebook di circa 100.000 persone che si intitola «noi denunceremo». Ma denunciare chi? Le persone sono confuse, arrabbiate, costrette nel loro domicilio, magari senza stipendio.

Al fronte antivirus oltre a Lei sono impegnati altri componenti della sua famiglia. Immagino che condividiate sia le esperienze che i timori.
È stata un’esperienza molto pesante per la mia famiglia, mia figlia lavora come medico e nel suo reparto hanno fatto ricoveri impropri, non sono riusciti a contenere il contagio, tutto il personale si è contagiato. Poi mio marito ha visto un film con lei prima che fosse noto il contagio e si è contagiato. In questo modo è finito in fin di vita. Abbiamo temuto di perderlo. Mia figlia non vede l’ora di gettarsi di nuovo nella mischia.
Gli operatori sanitari – al pronto soccorso, in corsia e finanche, nel corso del volontariato presso le case per anziani – sono impegnati in una poliedrica attività: in quella di medico, di amico, di figlio di anziani, di medium tra i ricoverati in terapia intensiva e le famiglie e finanche come sacerdoti pregando con quanti si apprestano a lasciare questo mondo. Fedeli osservanti al giuramento di Ippocrate tutti voi, uomini e donne, dalla grande umanità, solidarietà, altruismo state ricordando al mondo che queste virtù continuano a fare parte della natura umana.
Grazie per queste parole. Devo dire che soprattutto a Magenta una solidarietà, una collaborazione, una fratellanza mai viste.

Antonio Latella – giornalista e sociologo