IMPARARE A COMUNICARE SEMPRE, BRAVA ALICE

TESTIMONIANZE DAL FRONTE ANTIVIRUS

Ho conosciuto Maddalena in una RSA ove mi sono recata su chiamata per fare gli eco-torace. Maddalena ha 45 anni lavorava part-time in RSA, è un medico di famiglia.

Adesso i colleghi sono tutti malati, Maddalena non riesce adire di no, si è trovata gettata nel nucleo COVID della RSA suo malgrado, è terrorizzata all’idea di contagiare la sua famiglia e si è auto-confinata.

Ma quanto potrà durare?

Non vede i suoi figli Marco e Matteo di 14 e 15 anni da 6 settimane. Piange.

Troppi morti. Mi sento inadeguata. Non ce la facciamo a reggere.

Si sente male ha tachicardia, crede di essersi contagiata, chiede di fare il tampone. Nessuna febbre nessun tampone. Si tiene il dubbio.

Arrivano le prime denunce, i parenti ci denunciano per i morti.

Troppe morti sospette in RSA

Faccio con lei il giro nel reparto COVID: i malati sono puliti, accuditi, tutti con ossigeno, con idratazione, in camere singole, ben arieggiate, soleggiate, finestre aperte, terapie adeguate. Maddalena non c’è ragione di inviare i pazienti in pronto soccorso, troppo anziani, troppo compromessi non avranno alcun giovamento. Curiamoli qui comunichiamo con le famiglie, facciamoglieli vedere uno ad uno. Mi dice di sì ma appena me ne vado ne invia tre in pronto soccorso, tre pazienti che saranno rinviati nella stessa giornata in struttura. Non mi offendo, la capisco, ha paura.

Quello che invece è davvero carente è la comunicazione. Maddalena non coglie l’importanza della comunicazione.

Fa medicina difensiva.

Inserisce dati nel PC, «casomai ci chiedano conto». Deve essere tutto formalmente corretto. Certo il lavoro che prima era svolto da quattro medici ora deve farlo da sola!!!! Impiega 12 ore di collegamento per inviare i dati, è stremata, un lavoro immane.

La sanità lombarda è informatizzata: non ci sono più nelle RSA più moderne cartelle cartacee. Il tempo per inserire i dati???? Tempo tolto alla cura! Siamo in pochi, siamo soli. Non può essere che la paura di non aver inserito tutti i dati sia maggiore della necessità di curare. Nella cura deve essere contemplata anche la comunicazione.

Dobbiamo comunicare.

Così mi metto io a fare la comunicazione con le famiglie, certo non conosco nessuno, uno ad uno, cerco i numeri telefonici, creo i gruppi di WhatsApp con i parenti per fare le video-chiamate. Glieli parametro in diretta i loro congiunti così possono vedere la saturazione, le immagini di eco-torace, possono parlarsi. Sono felicissimi. Ringraziano.

Una goccia nel mare? Mi illudo di fare bene.

Maddalena non ha seguito nemmeno una videochiamata, è stremata, le pare di perdere tempo. Dopo 2 giorni, torno in struttura

Le infermiere mi dicono che sono state molto contente di quello che ho detto alle famiglie. Si sono organizzate con le educatrici e con l’animatore, stanno facendo ore ed ore di videochiamata.

Bene dai qualcuno ha colto il significato della comunicazione.

Alice è una giovane educatrice ha 23 anni, laureata in scienze della comunicazione, mi sembra una benedizione. Sta facendo un grande lavoro, per ora con i pazienti mobilizzati, quelli che riescono a stare un po’ seduti o a camminare. Per quelli più compromessi non se la sente per le domande tecniche che i parenti le rivolgono a cui non sa cosa rispondere.

Brava Alice.  

SociologiaOnWeb


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio