IL SOCIOLOGO SUL CAMPO NELLA RELAZIONE D’AIUTO IN TEMPI DI INCERTEZZA
di FEDERICA UCCI
<<L’interesse della sociologia è conoscere come le relazioni sociali vengano prodotte dall’ agire umano e contemporaneamente lo condizionano e come gli individui rispondono alle opportunità offerte dalle strutture ad essi preesistenti>>.
Nel corso del tempo la società è stata interpretata in diversi modi: come “cosa”, contenitore in cui gli esseri umani interagiscono producendo certi effetti; come “realtà virtuale” rappresentata o immaginata attraverso simboli, idee e segni che muovono gli individui; come “ideazione” o entità materiale fatta di idee e modelli culturali, tuttavia per comprenderla non bisogna concentrarsi solo sulle immediate evidenze legate al contesto e alle persone ma anche su ciò che li intreccia, media e mantiene connessi in maniera invisibile, ovvero sulle relazioni. Nel suo essere caratterizzata da relazionalità sociale, la società va osservata come realtà culturale fatta di componenti soggettive e oggettive, in cui si intrecciano aspetti biologici, psichici e culturali e per questo non può essere intesa come semplice rappresentanza simbolica.
La “relazione sociale”, quindi, è un “fatto sociale emergente” prodotto sia dai comportamenti esterni che dall’introspezione interiore delle persone, mentre l’insieme di elementi oggettivi e soggettivi, interni ed esterni, è la sfera in cui vengono definiti distanza ed integrazione degli individui. Come fatto associativo dello stare insieme, la società è essa stessa “relazione” e assieme alle sue trasformazioni cambiano anche le relazioni sociali che la contraddistinguono, attualmente i rapporti fra gli esseri umani nelle loro necessità di vita sono diventati ancora più complessi e si stanno creando particolari configurazioni che differenzieranno la società odierna da quelle di precedenti momenti storici.
L’interesse della sociologia è conoscere come le relazioni sociali vengano prodotte dall’ agire umano e contemporaneamente lo condizionano e come gli individui rispondono alle opportunità offerte dalle strutture ad essi preesistenti.
Essendo le relazioni sociali proiezione, riflesso o prodotto dei singoli attori e delle loro azioni e allo stesso tempo espressioni ed effetto di un sistema sociale globale, la sociologia contemporanea non può più utilizzare la dicotomia individuo/collettivo perché sono realtà che non necessariamente si oppongono in maniera escludente, gli individui appartengono a delle entità collettive, da quelle ascritte a quelle scelte e, come sostiene Giddens, essi “stanno”, “sono” in relazione per un puro atto di volontà reciproca. La società, dunque, non è complessa perché è sinonimo di totalità ma perché è una realtà contingente e virtuale sui generis “fatta di” relazioni sociali che hanno una loro dinamica e un loro tempo, essa è quella condizione che ci rende sia liberi che vincolati all’agire sociale, le relazioni che si svolgono temporalmente vengono necessariamente modificate quindi comprendere il cambiamento sociale oggi è una grande sfida perché il tempo subisce un’accelerazione senza precedenti.
Dopo la prima fase di lockdown inizia a farsi strada il grande quesito su come cambierà ulteriormente la vita nelle fasi successive, in qualche modo ci siamo abituati a delle nuove routine anche se qualcuno sta iniziando davvero a diventare insofferente dopo tante settimane di restrizioni forzate. Il comune denominatore tra l’emergenza sanitaria e quella economica è costituito dalle preoccupazioni legate alla vita pratica quotidiana, il sopravvivere in cima alla lista delle priorità.
Il sociologo Philip Strong con “psicologia epidemica” indica l’impatto delle conseguenze psico-sociologiche delle epidemie all’interno delle società in cui si verificano: siamo passati dall’ “epidemia della paura” all’ “epidemia delle spiegazioni e delle moralizzazioni” fino a trovarci, attualmente, all’ “epidemia dell’azione proposta”: per essere in grado di ricostruire una nuova socialità è importante tenere in considerazione il contesto sociale totale, i gruppi sociali ma ancor prima l’individuo singolo, perché chi riesce a lavorare su di sé e a realizzare un proprio equilibrio interiore, più facilmente riuscirà a mettere in atto correttamente le proprie competenze sociali nel rientrare in relazione con l’esterno.
La diluizione della socialità sarà una costante che ci accompagnerà per molto tempo, per un popolo che è abituato al contatto fisico, all’abbracciarsi e al confrontarsi,il mantenere le distanze e il “mascherarsi” si stanno trasformando da necessità immediate iniziali in abitudini da consolidare, con lo spettro della diffidenza in agguato ogni volta che si dovrà rientrare in un luogo pubblico. L’andamento dell’epidemia non ci permette di prevedere con precisione quando tutto questo finirà e cosa esattamente accadrà, possiamo solo ipotizzare riflessioni ed opinioni,ma di sicuro ci sarà bisogno di ricostruire la fiducia nell’altro e nel futuro. Stiamo vivendo un momento in cui il tempo è come un pendolo che oscilla tra utopia e distopia, da una parte si aspetta la rinascita, dall’altra ci si scontra con l’incertezza e si temono i peggiori scenari, nell’immediato è difficile anticipare in che punto del continuum ci collocheremo.
Per il sociologo che svolge il proprio lavoro con le persone è importante restare sul campo anche quando è confinato nello spazio virtuale di internet e dei social media: in presenza fisica sviluppiamo interazioni di vicinanza con le persone a noi più prossime, dalla famiglia, agli amici , ai colleghi ed interazioni casuali e spontanee nei luoghi pubblici, dove esercitiamo anche la capacità di scelta se rapportarci o meno. Questo tipo di relazioni, in qualche modo, si replicano anche virtualmente, ad esempio nel momento in cui, per lavorare fronteggiando le sfide imposte dalla crisi, si riconvertono le attività che si svolgevano in compresenza con attività mediate da chat e videochiamate. In questi spazi alternativi vengono trasferite sia le relazioni con gli utenti abituali che quelle con utenti sconosciuti, come ad esempio nel caso dei servizi d’ascolto rivolti a tutte le persone che sono a disagio nell’adattarsi ai continui cambiamenti di questo periodo.
Intendere la relazione d’aiuto come il legame che si instaura tra una persona capace di dare aiuto e un’altra che ha bisogno di riceverlo è piuttosto riduttivo, infatti, rappresentarla come linea di collegamento tra un operatore in grado di raccogliere, decodificare e rielaborare le informazioni circa la natura del problema (diagnosi) per poi formulare una possibile soluzione da trasmettere all’utente (trattamento) porta a concentrarsi unicamente sull’operatore: la relazione è presupposto dell’aiuto ma l’aiuto non è relazione in quanto la soluzione è trasmessa in maniera unidirezionale alla persona interessata.
La relazione d’aiuto nella metodologia odierna rappresenta, invece, il mezzo attraverso cui si dispiega il processo (e non solo il legame) che favorisce lo sviluppo della persona e la soluzione dei suoi problemi. L’instaurarsi di un rapporto tra operatore ed utente è il presupposto all’attivazione in senso bidirezionale di un continuo processo di interazione tra la sfera del primo individuo, che mette a disposizione la propria esperienza professionale e la sfera del secondo individuo, inserito all’interno del proprio contesto.
In quest’ottica, è possibile costruire attivamente insieme un progetto d’aiuto e si può riconoscere che si è in due ad essere coinvolti e responsabili di quella relazione, ognuno all’interno della propria rete e con il proprio ruolo sociale. Le relazioni svolte dall’operatore sociale sono dialogiche in quanto costituiscono degli ambiti in cui due soggetti diversi parlano, si ascoltano e si confrontano senza sopraffarsi e sono abilitanti in quanto orientate a favorire in maniera attiva, dinamica e critica le competenze e le risorse dell’individuo. Attraverso la relazione che si crea c’è una responsabilità condivisa: l’ operatore sociale esprime accoglienza, evoca potenzialità e progetta, attraverso un pensiero consapevole, un percorso di aiuto con la persona, mentre l’utente mette in gioco le proprie potenzialità ed esperienze ed è attore del proprio cambiamento.
Secondo l’approccio “centrato sulla persona” l’individuo ha in sé le risorse per auto comprendersi e modificare i suoi atteggiamenti ed orientamenti comportamentali, l’ operatore sociale deve essere in grado di creare un clima di sicurezza e fiducia per coinvolgerlo e motivarlo. Non meno importanti sono la negoziazione degli obiettivi dell’intervento di aiuto attraverso la spontaneità genuina, che permette di andare oltre la facciata professionale in coerenza tra ciò che si sente, ciò che si fa e ciò che si è e la positiva accettazione incondizionata come sincero interesse e considerazione verso l’utente.
Per entrare in sintonia con la persona che si ha di fronte, per saperne cogliere le sensazioni e rispecchiarle arricchendole di nuove sfumature attraverso i feedback ed infine, per provare ad elaborarle è fondamentale l’ ascolto attivo. Esso riesce ad accrescere sia il contenuto comunicativo che la relazione stessa in quanto implica la comprensione e l’attenzione verso il messaggio di chi ci sta parlando al fine di realizzare una comunicazione efficace. Molte volte chi parla non ricerca l’opinione altrui ma vuole semplicemente essere ascoltato, quando si parla di sé si attivano le aree cerebrali legate al piacere e questo contribuisce a creare e rafforzare la complicità tra due persone in comunicazione, creando nuovi rapporti o rafforzando quelli esistenti: è importante ascoltare ma anche che l’altro senta di essere ascoltato non solo nelle parole espresse direttamente ma soprattutto nei suoi sentimenti, per questo l’empatia, il sapersi mettere nei panni dell’altro è fondamentale.
Per comprendere accuratamente l’altro bisogna concentrarsi su ciò che dice, in termini di contenuto e su ciò che sente, considerando l’aspetto affettivo e relazionale, in questo modo è possibile creare rapport, cioè armonica collaborazione all’interno di una relazione positiva che si manifesta nella costituzione di una correlazione in cui le due persone restano in contatto in maniera stabile, anche dopo che l’interazione si è conclusa. Attraverso il coinvolgimento attivo dell’altra persona nella gestione del disagio e nella condivisione di esperienze costruttive è possibile contribuire a un miglioramento della percezione del proprio stato iniziale.
Nella consapevolezza che un’ accettazione passiva di tutto ciò che sta accadendo nel mondo possa condurre le persone a sviluppare una condizione di frustrazione, repressione o addirittura alienazione è importante osservare, dal punto di vista sociologico, anche la condizione di fragilità del singolo individuo perché in condizioni di difficoltà sociale alcune vulnerabilità possono peggiorare o subire ricadute. Il sociologo deve essere in grado di poter collaborare con le altre figure professionali coinvolte nella relazione d’ aiuto in modo da contribuire alla costruzione di un modello di socializzazione come scambio attivo di possibili e potenziali interazioni emotive positive che scoraggi il rischio che una cattiva ed inconsapevole informazione/presa di coscienza individuale possa alimentare spirali negative che possono espandersi a livello collettivo.
Dott.ssa Federica Ucci, Sociologa specialista in Organizzazione e Relazioni Sociali