NESSUNO SI SALVA DA SOLO
TESTIMONIANZE DAL FRONTE ANTI VIRUS
La solidarietà umana è un grande valore specialmente in questo momento. Nessuno si salva da solo.
Ricoveriamo nella stessa stanza due uomini di 54 e di 51 anni, uno di colore il più giovane, con un nome lunghissimo costituito da 4 parti impronunciabili, che chiameremo Umar, è un principe iraniano un diplomatico, cosa che scopriremo solo al V giorno di ricovero. Il nostro sistema sanitario offre tutto a tutti e si ricoverano, si curano, si assistono allo stesso modo mendicanti, senza fissa dimora, e persone ricche e famose. Nel nostro reparto è deceduto un famoso scrittore, è stato ricoverato già molto compromesso ed è morto dopo tre giorni, senza che nessuno di noi sapesse chi fosse. Lo abbiamo scoperto solo dopo una settimana. Abbiamo curato e dimesso un famoso fumettista e lo abbiamo capito solo dai ringraziamenti pubblici che ci ha scritto sulle riviste on line.
Accanto al principe Umar c’è Antonio, una persona comune, un meccanico sposato con due figlie di 19 e di 16 anni giunto in fin di vita, è stato lì lì per essere intubato, ventilato con caschetto per 3 giorni, in continuo. Anche Umar era in fin di vita, febbre elevata, delirante, in stato di coma. Anche Umar non è stato intubato solo per il motivo che non c’erano più ventilatori e la meccanica respiratoria reggeva «abbastanza». In condizioni di maggiori risorse probabilmente entrambi anziché con il caschetto sarebbero stati trattati con la ventilazione invasiva, sarebbero stati intubati: entrambi maschi, di mezza età, in sovrappeso, ipertesi.
UMAR IL DIPLOMATICO
Sappiamo che Umar è un diplomatico dalle telefonate ripetute di un collega cardiologo che ci chiama dal territorio con insistenza: lo conosce come paziente iperteso, con cardiopatia ischemica, sa che è si è recato in pronto soccorso più volte, ma sempre dimesso, poi la chiamata notturna al 112 ed il ricovero, ma non conosce l’ospedale in cui è ricoverato, è in contatto con la moglie che è quarantenata con la figlia sedicenne.
La moglie ha tentato di contattare il marito con il cellulare senza successo, per cui si è rivolta al loro cardiologo «privato», questi ha telefonato a tutti i reparti COVID della provincia a tappeto.
Umar parla solo in inglese. Anzi non parla proprio e pare capire anche molto poco, sembra intontito. Non capisce che deve chiamare a casa. Sembra indifferente. Non mangia e non beve.
Antonio il meccanico
E’ molto più dinamico, si presta a tradurre per me. Io non riesco a parlare in inglese, mi viene di usare i gesti ed i disegni, mi sento una disabile. Anche Antonio non parla granché inglese usa Google translate, ma è molto sveglio, chiama tutti i giorni le sue tre donne, non vede il momento di tornare a casa. Con il suo inglese stentato parla con la moglie e la figlia di Umar.
Ogni giorno cerchiamo di fare qualche progresso: in bed id death, questa malattia causa la morte non tanto per l’insufficienza respiratoria ma per embolia polmonare, i pazienti vanno mobilizzati spesso in modo attivo.
Facciamo ogni giorno il test del cammino: dapprima pochi passi, con il saturimetro al dito, vediamo una saturazione che cala di qualche di punto per guadagnare molto verso la fine del test e con il recupero.
Ogni giorno sempre meglio, da pochi passi a qualche minuto. Durante il test la saturazione migliora e passa di 88-90% a valori di 92-93% in aria ambiente.
Mettiamoci seduti non stiamo a letto.
Restiamo svegli di pomeriggio, restiamo alzati.
I due si sostengono a vicenda.
Dopo meno di una settimana entrambi sono pronti per la dimissione: facciamo un’emogasanalisi? La caposala non ha la risorsa per portare la siringa in laboratorio: basta indagini dottoressa! Cosa posso fare? Facciamo un test del cammino standard: ben fatto 6 minuti. Nemmeno questo è possibile: non vorrà far uscire i pazienti dalle camere????
Insomma, il sistema mi ostacola, vorrebbe vedere i pazienti a letto ubbidienti e disciplinati.
Tutto l’opposto di quello che dico di fare: fuori dal letto! In bed id death, muoviamoci, camminiamo, non dormiamo, non riposiamo, parliamo giorno e notte, raccontiamoci la vita! Tutto questo accelera la ripresa, i miei malati stanno molto meglio degli altri, sono molto orgogliosa di loro. Non tutti i colleghi condividono. Anzi quasi nessuno comprende a parte i pazienti.
Alle caposala sto decisamente antipatica!
Questa malattia rompe gli schemi!
I malati però migliorano e tornano nelle loro famiglie.
Dopo tre giorni, dalla dimissione Antonio mi chiama: sta bene, ha anche sentito telefonicamente Umar!
Il giorno stesso mi chiama Umar: un italiano molto stentato, piange e mi dice grazie dottoressa, tu ci hai ridato la vita.
SociologiaOnWeb