CORONAVIRUS, l’ITALIA E I DUE FRONTI DI GUERRA

La pandemia Covid-19 vede l’Italia impegnata su due fronti di guerra: quello del virus partito dalla Cina e l’altro dell’Unione europea.

Il primo è quello tracciato dalla scienza medica e codificato nel Dpcm che impone l’osservanza di precise regole –rimanere in casa e mantenere il cosiddetto distanziamento sociale -; il secondo vede noi tutti impegnati a respingere gli egoismi di alcuni partner Ue che appaiono restii a condividere risorse e strategie nella lotta al virus- killer che, solo in Italia, ha già ucciso oltre quindicimila  persone. C’è un terzo fronte: l’ipocrisia, in particolare riconducibile agli aiuti esteri. Se non di tutti, almeno ad alcuni paesi.

D’emblée mi viene in mente la Cina: la parata dello sbarco di personale sanitario e di aiuti materiali dei giorni scorsi.

Accolti con onori mediatici e ringraziamenti di rappresentanti governativi i quali rinuncerebbero alla storica Alleanza atlantica per qualche piatto di lenticchie (“La via della seta”) che, per certi versi, ci ricorda Giacobbe e Esaù.  A beneficio delle memorie labili non si può non ricordare che se oggi l’Italia è costretta a fare i conti con il virus partito da Wuhan lo deve anche al ritardo (due mesi?) con cui le autorità governative cinesi hanno reso nota la notizia del contagio. Ma noi italiani, strenui difensori dei diritti umani, cavalieri della democrazia ci siamo voltati dall’altra parte pur di non vedere la fine del medico che aveva denunciato il focolaio del contagio e dei giornalisti che ne avevano riportato la notizia.

Torniamo al fronte europeo

Il collante dei 27, che negli ultimi anni è risultato un composto di avidità e ipocrisie, oggi conferma inequivocabilmente di preferire gli interessi dei mercati all’umanità e alla solidarietà. Il messaggio di questo comportamento è facilmente decodificabile: ognuno pianga i propri morti e singolarmente sostenga i costi sanitari, quelli economici e, quelli ancora più pesanti, della ricostruzione. E allora l’Italia, da sempre sulle barricate contro le tentazioni  nazionaliste che ci riportano ai totalitarismi del ‘900 , giustamente, si chiede perché continuare a far parte di questa Unione Europea.

Una domanda formulata in 4 lingue: tedesco, olandese, austriaco e finlandese. E se i valori della solidarietà, della fraternità continuano a venir meno, una delle cause potrebbe essere individuata nel dilagante secolarismo che provoca l’aumento della diserzione nell’esercito cristiano– cattolico.

Il problema, che tratteremo in un prossimo intervento, è stato affrontato dal compianto sociologo tedesco Ulrich Beck in un suo lavoro di dieci anni fa, che ha trattato la  nascita della religiosità popolare nelle società occidentali dove ogni persona “crea con sempre maggiore indipendenza quelle narrazioni religiose – Il Dio personale – che meglio si adattano alla propria vita ‘personale’ e al proprio ‘personale’ orizzonte di esperienza”.  Anche questo allontana il nostro agire dall’osservanza di fondamentali valori ereditati dall’insegnamento di Cristo: che continuano ad infrangersi sugli scogli dei paradigmi di un mondo globalizzato e dai fondamentalismi della “religione” liberista.

Gli scettici della profezia baumaniana non possono non riconoscere la fondatezza dei timori del sociologo della società liquida che quasi vent’anni fa aveva ritenuto questa Europa un’avventura. E che, aggiungiamo, rischia di finire nel peggiore dei modi riportando l’orologio della storia indietro di oltre 70 anni: al trattato di pace di Parigi del 1947 raggiunto alla fine del Secondo conflitto mondiale che ha agevolato la nascita di un nuovo ordine geopolitico. 

E per trovare un precedente storico, in un’Europa belligerante, dobbiamo fare un salto indietro nella storia di molti secoli: al trattato di pace di Westfalia (1648) che pose fine alla guerra dei Trent’anni.

L’assetto geopolitico del mondo nato dalla conferenza parigina sembra non reggere più all’avanzata delle economie globalizzate e alla guerra dei mercati, i cui principali attori sono gli Stati Uniti e la Cina, con la Russia defilata e pronta ad inserirsi approfittando dello scontro tra queste due superpotenze. Una lotta che sta sparigliando i piani di altre economie come quella europea.

In questa corsa alla ricerca di un ottimo posizionamento non possiamo ignorare la forte contrapposizione tra i leader politici del nostro Paese (rimarcata in questo frangente di aiuti internazionali) come dimostrano i pellegrinaggi dello scorso anno in Russia, America e Cina alla ricerca di accordi commerciali in grado di attrarre investimenti stranieri. Ma non è stato facile perché Trump, imponendo dazi alle merci della zona euro non ha potuto fare a meno di toccare anche prodotti del made in Italy. L’accordo con i cinesi sulla “Via della Seta” ha irritato sia il Presidente americano sia importanti stati dell’Ue, con in testa la Germania.   Che adesso teme la concorrenza dei nostri porti: Genova e Trieste e non solo, che potrebbero provocare un rallentamento della locomotiva d’Europa.

  “A parlar male degli altri è peccato, ma spesso si indovina”.  Facciamo ricorso alla saggezza di Giulio Andreotti per ricordare che il Paese della cancelliera Angela Merkel – la cui leadership continua a scricchiolare-  ha ricevuto un grandissimo aiuto  dall’Unione Europea ( di cui l’Italia è un paese fondatore)  per diventare la più forte economia continentale.

E se la minaccia di fare da soli in questo momento di difficoltà parte dal Premier di un Governo che ha sempre fatto dell’Unione una bandiera, c’è poco da stare allegri. Questo dovrebbero capirlo quei componenti del Consiglio d’Europa che non hanno inteso votare il documento di emissione di corona bond presentato da Italia, Francia ( per poi ritornare sui suoi passi), Spagna, Irlanda, Belgio, Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia ottenendo un rinvio breve per trovare una soluzione migliore. Utilizzare il Mes (il fondo salva stati: come propone la Merkel) significa appesantire il bilancio dei singoli ai quale viene concesso un prestito da restituire.

E se il Consiglio dei Capi di Stato e di governo, lo scorso 26 marzo, ha deciso di non decidere, non è detto che nella riunione di domani cambi atteggiamento. L’avventura potrebbe essere davvero alla fine.

Ma se, come al solito, l’Italia dovesse abbassarsi le brache come avvenne in passato con la Grecia finiremo sotto la tutela tedesca e dei suoi stati satelliti. Se invece il nostro Governo ritrovasse quello scatto di orgoglio che la maggioranza degli italiani auspica, con l’appoggio delle opposizioni interne, anche la Germania sarà costretta a rivedere i suoi piani e Macron, finalmente, riacquisterebbe quella coerenza che alla Francia manca da tempo, come ha confermato il suo atteggiamento teso ad impedire un’Europa politica.

COVID -19 SPARTIACQUE DEL NUOVO SISTEMA GEOPOLITICO MONDIALE

Nulla sarà come prima. ll mondo è in continua metamorfosi e nessuno sarà in grado di conoscerne il futuro; scienza e tecnica comprese. Solo gli obiettivi comuni limiteranno eventuali danni. L’Europa non può ritenersi protetta dall’ attuale architettura associativa, perché la sua sopravvivenza dipende dalla costituzione di un soggetto politico in grado di assicurare a tutti i suoi cittadini gli stessi doveri e gli stessi diritti.

Antonio Latella – giornalista e sociologo


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