ASSISTENZA AL MALATO TERMINALE E LUTTO ANTICIPATORIO

Storie dal fronte anti Covid

Dei ricoverati nei reparti COVID alcuni non ce la faranno: quanti? Le statistiche sono quanto mai discordanti si passa da 38% di morti degli intubati, al nostro iniziale 25%, al nostro attuale 2%. Forse abbiamo imparato???? Chissà.

Molti malati sono troppo anziani con molte co-patologie e non è possibile un successo terapeutico neppure con intubazione. La ventilazione non invasiva viene tentata ma di solito la patologia prende il sopravvento ed il paziente si presenta con dispnea continua, senso di fame d’aria, angoscia di morte. Viene proposta per queste persone la sedazione. Di solito si sceglie la morfina un farmaco ottimo che non induce la morte ma toglie l’angoscia di morte, unita al midazolam che diminuisce la percezione dei sintomi sgradevoli di qualsivoglia natura facendoci dormire. Sono farmaci che si metabolizzano all’istante, non si accumulano, vanno dati in continuo e possono essere interrotti in qualsiasi momento. Sono efficaci su tutti perché non presentano dose tetto. Abbiamo per entrambi gli antidoti. Le gravi patologie di questi pazienti sono, le solite che conducono a morte gli anziani, a parte l’aver contratto il virus, le co-patologie sono elemento di criticità: probabilmente morirebbero anche senza il COVID, anche con una semplice influenza. Queste malattie riguardano la cardiopatia ischemica, lo scompenso cardiocircolatorio specie se a bassa portata, l’insufficienza renale grave senza possibilità di dialisi, l’insufficienza epatica, la coagulazione intravascolare disseminata, il cancro in fase terminale.

Anche questi sono pazienti DNR ossia da non rianimare

Chiedo il consiglio di un’esperta in cure palliative con duplice intento: impostare la terapia corretta ma al contempo confermare la terminalità. La giovane palliatrice viene a visitare il paziente, ultraottantenne, concorda con la necessità di sedarlo. Prima però dobbiamo avvisare l’unica figlia e la moglie. Figlia e moglie stanno insieme, anche se vivono in appartamenti attigui, le due donne il corona virus l’hanno già avuto in forma lieve e superato.

LA STORIA DI GIUSEPPE

Giuseppe si è contagiato forse nella piazza del Paese, dove era andato a sentire la banda, uno dei musicisti è morto in ospedale, un altro è stato trovato morto in casa: uno dei primi morti ancora ai primi di marzo, senza una diagnosi. Giuseppe è stato male dopo pochi giorni con dolori e malessere strano, si è subito ammalata anche la moglie e la figlia, avevano tutti e 3 la febbre, le numerose chiamate al 112, le telefonate ripetute e la paura, la richiesta di avere un tampone. Poi la chiamata al 112 decisiva che portava Giuseppe al ricovero.

UNA VIDEO CHIAMATA PER DIRSI ADDIO

Organizziamo per una video-chiamata con orario concordato in un momento che Giuseppe prevediamo non abbia febbre, le 14.30, cerchiamo di renderlo presentabile alla famiglia. Usiamo WhatsApp e mettiamo in comunicazione Giuseppe e la sua famiglia, si salutano, piangono, Giuseppe dice di non piangere, che sta bene, che gli vuole bene, che tornerà a casa; diciamo insieme un Padre Nostro. Anche il caposala, la palliativista ed i due compagni di camera partecipano alla preghiera dai loro caschi. Adesso Giuseppe stremato dorme: faccio la cosa giusta? Non lo sapremo mai. Poi chiama la sorella, Marianna, non sapevo che Giuseppe avesse una sorella, piange, è l’unico fratello che mi è rimasto, eravamo in 6, ma noi due eravamo molto legati, ci passiamo un anno, siamo cresciuti insieme. Me lo faccia vedere l’ultima volta. Non ne ho voglia, sono esausta. Sono 12 ore di lavoro 13 fuori casa, ho bevuto ma non mangiato, dormo poco. Sto per andare a casa. Sono già cambiata, ho buttato via i presidi. Domani, Marianna, ci risentiamo domani.

Piange insiste, è una vecchina, le hanno girato il mio numero e chissà come è riuscita a farlo.Forse domani Guseppe sarà in un altro luogo.

La tengo al telefono intanto che ripercorro le scale che mi portano in un altro piano mi cambio. Lei mi racconta la loro storia. Senza fretta e senza entusiasmo torno in reparto, prendo dal frigorifero un fruttino fresco alla mela ed un cucchiaio di plastica pulito, re-indosso i presidi, sotto-camice, camice, cuffia, doppi guanti, calzari, mascherina, occhiali, adesso gli infermieri mi faranno il culo perché spreco troppi cambi, le capo-sale tengono il conto.

Ma che devo fare?

Dimentico di coprire il telefono!!!! Pazienza. Ormai entrerò così. Adagio il mio telefono sull’addome di Giuseppe, gli rallento un po’ la sedazione, tanto da svegliarlo, gli chiedo se vuole un fruttino: mangia di gusto.

I fratelli si guadano senza parlare si riconoscono certo, piangono in silenzio. Chiedo se vogliono recitare il Padre Nostro insieme, sono stata scoperta dal personale che però non osa dire nulla.

La mattina il letto è vuoto:Giuseppe è da un’altra parte

Richiamo le due famiglie e gli mando via WhatsApp la preghiera, la solita che sto usando per tutti con l’indulgenza plenaria per le famiglie dei COVID: entrambe ringraziano.

SociologiaOnWeb


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