EMOZIONI NELL’OCCHIO DEL CICLONE: DALLA DEVIANZA EMOTIVA ALLA RIFLESSIVITA’

di Federica Ucci

Lo stato di emergenza mondiale sul lungo periodo sta portando l’essere umano a trovarsi, suo malgrado, su delle montagne russe emozionali, costringendolo ad una continua e quotidiana riorganizzazione interiore.

All’inizio della pandemia va da se che ad aver avuto il sopravvento siano stati i sentimenti più negativi, come la paura e la sofferenza legata ai numerosi contagi e alle misure restrittive, passando per la tristezza e addirittura l’astio nei confronti di chi si ritiene abbia dato origine al virus e alla sua diffusione, verso la politica e la burocrazia colte impreparate e con molte lacune da colmare e verso chi infrange le regole o continua a polemizzare. Ovviamente, non mancano gli stati d’animo più spensierati, come l’ironia e la sdrammatizzazione, per stemperare un po’ quel clima di incertezza che sta materializzando nelle nostre menti  un gigantesco punto interrogativo sul prossimo futuro. Parallelamente si sta familiarizzando con la situazione pur aumentando, di conseguenza, anche l’ansia sociale per ciò che potrebbe ancora verificarsi in termini di crisi economica o per il timore di una seconda ondata epidemica.

Un nuovo cambiamento è già in atto, pronto ad impattare ulteriormente sulla società e la scelta sarà, ancora una volta, se accompagnarlo o subirlo: per poter razionalizzare qualcosa che la mente inizialmente respinge innescando meccanismi difensivi bisogna porsi in uno stato emotivo più rilassato per ritrovare equilibrio ed alimentare la fiducia, in modo da poter prendere delle decisioni coerenti e avere la lucidità di pensare che si arriverà a una risoluzione della crisi senza farsi sopraffare dall’inquietudine.

La classica contrapposizione emozioni/ragione è oggi più che mai obsoleta, per molto tempo il primato della ragione sulle emozioni è stato alla base del pensiero occidentale, ma grazie al “vissuto emozionale” _

portato alla ribalta dai cambiamenti avvenuti nel corso della storia, anche le scienze sociali hanno riconosciuto che le emozioni sono necessarie per l’esercizio della razionalità e la sociologia, che per molto tempo si è concentrata sull’osservazione dei fenomeni a livello macro, ha iniziato ad attenzionare anche il livello micro dell’ individuo nella sua interiorità. Una delle prime sociologhe ad interessarsi delle emozioni fu Arlie R. Hochschild, la quale ha teorizzato una prospettiva per cui esse possono essere indirizzate e controllate in modo da indurle o reprimerle in base alla situazione. Questo tipo di gestione emotiva mostra la relazione tra esperienza soggettiva, comando delle emozioni, le regole veicolate dalla società che influenzano la loro manifestazione e l’ideologia. La realtà sociale, di conseguenza, può essere analizzata e compresa  anche osservando emozioni e sentimenti costruiti e contrattati socialmente, è possibile distinguere fra “regole emozionali” che stabiliscono quali sentimenti si devono provare in una determinata situazione e “regole di espressione” che indicano quando e come emozioni e sentimenti devono essere manifestati.

La società e le interazioni tra gli individui 

La società e le interazioni tra gli individui  sono caratterizzate da regole di espressione emozional- sentimentale che vengono rispettate o violate attraverso un “lavoro emozionale” inteso come vera e propria gestione delle emozioni nella vita privata. La struttura e la situazione sociale, attraverso le variabili biografiche, culturali, storiche e sociali influenzano direttamente l’espressione delle emozioni e la loro manifestazione da parte dell’individuo, tenendo conto anche della sua esperienza soggettiva in termini di volizione e consapevolezza.

Il lavoro emozionale è, dunque,il tentativo di cambiare in grado o qualità un’emozione o un sentimento, è un atto riferito allo sforzo e non al risultato, il quale può essere positivo o negativo. Si ha evocazione quando l’attenzione cognitiva  si rivolge ad un sentimento desiderato inizialmente assente e soppressione quando si orienta su un sentimento indesiderato inizialmente presente.

Esempi del compimento di un lavoro emotivo potrebbero essere, nell’attuale situazione di pandemia, evocare tristezza se si è in uno stato di serenità per osservare un minuto di silenzio per le vittime dell’epidemia oppure reprimere la rabbia per mantenere la calma se si sta facendo una fila piuttosto lunga al supermercato in presenza di persone maleducate.

Questa modalità di gestione emozionale è di tipo cognitivo, perché si cerca di modificare immagini, idee e pensieri per cambiare le emozioni ad essi associati; corporeo, in quanto si interviene sui sintomi somatici o fisici delle emozioni ad esempio cercando di non tremare ed espressivo, perché si tenta di cambiare i gesti in base al sentimento interiore (ad esempio, cercare di sorridere o piangere). Si distinguono, perciò,due tipi di azione: una recitazione in profondità (Deep Acting), volta a modificare il sentire dall’interno verso l’esterno attraverso strategie di ampia portata, come la modificazione di stati fisici o mentali per evocare le emozioni più conformi alle norme sociali e una recitazione di superficie (Surface Acting) per modificare il sentire dall’esterno verso l’interno gestendo direttamente un’espressione comportamentale, cioè assumendo la postura tipica di un’espressione per cercare di sentirla davvero.

Oltre che in base alla situazione, Steven L. Gordon ha evidenziato che l’individuo definisce ed esprime le emozioni anche in base alla cultura di appartenenza, in particolare la cultura emotiva è il prerequisito per essere emotivamente competenti. Il soggetto interpreta le proprie modificazioni fisiologiche interne e le trasforma poi in esperienze significanti in base al contesto, si può parlare, così, di costruzione sociale delle emozioni.  Per Gordon la cultura emozionale non è innata ma è l’apprendimento, attraverso le interazioni quotidiane, di una serie di metafore, conoscenze e norme con le quali si esprimono le emozioni parlandone o mettendo in atto comportamenti consoni. Essendo un processo di socializzazione  è condizionato sia da fattori esterni, costituiti dalla struttura sociale e dalle sue relazioni interne che trasmettono valori e forniscono modelli di esperienza, sia da fattori interni all’individuo, che portano a radicare ciò che proviene dall’ambiente facendo emergere un orientamento impulsivo oppure uno conforme rispetto ad esso.

Per questo i significati delle emozioni sono diversi tra le persone: chi segue un orientamento  impulsivo tenderà a socializzarsi in riferimento alle emozioni primarie di rabbia, paura, felicità, sorpresa, disgusto e tristezza, esprimendole più istintivamente e, talvolta, anche in maniera inappropriata, mentre chi segue quello istituzionale è più probabile che le controlli in base alla situazione manifestando sentimenti sociali culturalmente più elaborati, come la solidarietà o la compassione.

Peggy A. Thoits  afferma che le emozioni come modelli costruiti culturalmente vengono espresse in modo variabile da cultura a cultura, ad esempio il dolore in alcune società era funzionale a stimolare la solidarietà del gruppo, mentre oggi è sinonimo di grande vulnerabilità ed esclusione

La nostra società teme la malattia perciò la costruzione culturale intorno alle relative emozioni si orienta spesso su rimozione o repressione perché manifestarla esprimendola socialmente non sarebbe utile, tuttavia il momento attuale fa saltare repentinamente da momenti in cui ci si sente paralizzati dal terrore di contagiarsi venendo a contatto con gli altri a momenti in cui si rivendica il diritto ad almeno un’ora d’aria, si manifestano sentimenti di allegria e ottimismo cantando sui balconi o realizzando video divertenti sui social media per poi smorzarli  improvvisamente a causa delle tragedie che si consumano negli ospedali, magari toccando personalmente noi stessi o qualcuno che conosciamo.

Come si bilanciano questi aspetti così contradditori? Quando un attore sociale non riesce a conformarsi alle regole emozionali e si esprime in maniera diversa da come ci si aspetterebbe in una data situazione, realizza una “devianza emozionale” e il gruppo sociale di riferimento si aspetta che il soggetto deviante riallinei le proprie emozioni manifestando quelle previste, accettate e condivise all’interno della società. Le condizioni in cui stiamo vivendo in queste settimane dimostrano chiaramente come il nostro vissuto interiore è continuamente condizionato dall’ambiente esterno, in maniera molto sottile e costante e con ricadute sulle nostre competenze sociali. Massimo Cerulo in un suo studio sociologico ha analizzato con il metodo qualitativo il rapporto tra le modalità di espressione delle emozioni  e la società, concentrandosi  in particolare su come l’individuo razionalizza i propri comportamenti ed azioni sociali, fermandosi a riflettere sulle emozioni provate e manifestate. Si è dunque focalizzato sulle interazioni e sui luoghi frequentati, includendo anche variabili culturali e della vita quotidiana. Un aspetto molto interessante è la distanza tra le emozioni effettivamente provate e quelle manifestate: nella maggioranza dei casi le emozioni provate non si esternano in comportamenti, si indossa una sorta di “maschera emotiva”di superficie in base alle persone e ai luoghi con cui si interagisce. Il sentire individuale, tuttavia, resta presente alla coscienza soggettiva in quanto la maschera non serve a reprimere o nascondere le emozioni ma a recitare un ruolo sociale, ad esprimere socialmente di provare qualcosa durante un’interazione, contribuendo alla costruzione sociale della società attraverso il rispetto delle regole e della cultura emotiva del gruppo. Così facendo l’individuo può confondersi nei comportamenti degli altri proteggendosi dalla massa e dal senso comune e, contemporaneamente proteggendo anche il proprio mondo interiore.

Il mascheramento un agire sociale strategico

Cerulo definisce il mascheramento un agire sociale strategico al raggiungimento di determinati obiettivi: l’individuo nel manifestare le proprie emozioni, preferisce adeguarsi alla maggioranza per evitare incomprensioni ed imbarazzi, compie un lavoro emotivo per non deludere le aspettative degli altri. Solitamente si tende a non manifestare le emozioni negative per non essere etichettati, giudicati o criticati e per non restare da soli, conseguentemente la maschera emotiva indossata si adegua alla cultura emozionale e alle regole sociali in maniera razionale per ottenere un’utilità. Gli individui manifestano le emozioni che ritengono più appropriate al contesto in cui sono e alle persone con cui hanno a che fare, lavorando su di esse per valutare se è il caso di mascherarle, in questo modo sceglierebbero di adeguarsi alle prescrizioni emotive della società di appartenenza, manifestando le emozioni da essa suggerite.

Il Covid-19 ci ha messo di fronte all’evidenza che non è possibile avere il controllo su tutto, nemmeno sulla nostra interiorità, che a volte è difficile manifestare reazioni socialmente accettate e si sente il bisogno di evadere, ma ciò che mettiamo in atto in qualche modo ha sempre ripercussioni sul contesto sociale. La responsabilità emotiva riveste l’uomo anche quando non è materialmente coinvolto in una vicenda, non compiere un’azione lo rende responsabile tanto quanto il compierla.

Per Adriano Zamperini  la disciplina socio-normativa delle emozioni produce “indifferenza” come stato mentale patologico contro la quale è necessaria una trasgressione. Trasgredire permette di costruirsi come antidoto il “dissenso emotivo”, ovvero un atteggiamento che si oppone a quel condizionamento esterno sulla soggettività e sull’imprevedibilità umana.

Gli effetti di questa crisi mondiale probabilmente dureranno ancora a lungo, muteranno con il mutare della situazione, è importante sia non abbassare la guardia ai primi segnali di ripresa positiva (la prudenza non impedisce l’ottimismo) sia non abituarsi troppo a una nuova normalità rischiando di avvicinarsi a quell’ indifferenza intesa come schiavitù di non poter evadere da copioni irrigiditi che rappresentiamo per dovere. Il dissenso emotivo presuppone una ristrutturazione del sentire e un alternativo modo di vivere, sentirsi in balia di stati d’animo contrastanti è sintomo di reattività di fronte a un pericolo come istinto di sopravvivenza, ma dopo aver reagito di fronte all’avversità è necessario riorganizzarsi positivamente in modo costruttivo.

La persona che compie devianza emotiva può essere portatrice di cambiamento quando produce una risposta emotiva creativa che permette il raggiungimento di uno scopo potenzialmente positivo per la persona o la società, rinegoziando le proprie emozioni nella costruzione di un nuovo senso di sé in relazione al mondo e mobilitando energie utili al cambiamento,ad esempio aprendo nuove strade verso la messa in atto di azioni future più positive, contribuendo alla crescita personale, aiutando il prossimo a sviluppare pensiero critico attraverso il confronto, dal quale spesso nascono le idee più brillanti.

Attraverso i rapporti sociali impariamo a manifestare le emozioni, le apprendiamo e condividiamo per interagire con gli altri, le rendiamo rappresentazioni sociali usate per descrivere le varie situazioni.

Porsi in un’ottica positiva potrebbe essere considerato troppo semplicistico, specialmente se ricordiamo tutte le disuguaglianze che l’emergenza ha portato alla luce: economiche, lavorative, sociali,personali, mentali… ogni individuo si sta arrangiando in questa sfida con le risorse a sua disposizione. Risorse talvolta troppo scarse, a volte così scarse che non sempre è possibile scacciare il pessimismo o la rabbia, risorse altre volte troppo abbondanti da generare ostentazione o involontario esibizionismo. A voler essere almeno realisti, però, cercare di fare il meglio che si può con ciò che si ha potrebbe essere di aiuto se non altro a prendere atto delle cose in piena coscienza, ridimensionando quello stress interiore che spesso ci si autoinfligge inconsciamente creandosi preoccupazioni quasi anticipandole. Siamo riusciti ad arrivare fino a questo punto con una forza interiore diversamente autentica, è arrivato il momento di rafforzare la resilienza e le emozioni potenzialmente creative per rendere la consapevolezza una prospettiva culturale dominante. Sentire ed agire con la consapevolezza del qui ed ora può renderci in grado di sviluppare un approccio razionale utile ad incoraggiare maggiore riflessività per ripensare l’agire a livello individuale e, di riflesso anche a livello collettivo e per essere pronti a ripartire emotivamente più maturi.

Dott.ssa Federica Ucci, Sociologa specialista in Organizzazione e Relazioni Sociali


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio