CORONAVIRUS E INTOSSICAZIONE MEDIATICA

Basta, non se ne può più. Il nostro tempo di ritirati sociali trascorre tra speranze di sopravvivenza e incertezza di un futuro che noi tutti immaginiamo diverso dal passato.

La triste eredità del Covid-19 peserà come un fardello sulle spalle di quanti usciranno vincitori da questa guerra i cui effetti, diretti o collaterali, stanno interessando la metà della popolazione mondiale.  La nostra reazione a questo nemico potente e invisibile ci proietta nella sfera dell’irrazionalità della nostra società. Un misto tra paura e spirito di conservazione: tentativo per uscire indenne da questa fase drammatica della nostra vita.

Incondizionata è la fiducia nella scienza medica, mentre è scarsa nei confronti del servizio sanitario nazionale (a gestione regionale) di cui il virus di questi mesi ha messo a nudo le carenze infrastrutturali-soprattutto nel Mezzogiorno-, la lottizzazione dei suoi manager e, finanche, imbrogli e corruzione; altalenante invece è il consenso nei confronti della politica e delle istituzioni nazionali e sovranazionali (governo, regioni e Ue). Desta scetticismo l’estemporaneità di comportamenti individuali e/o di gruppo di personaggi in cerca di visibilità a tutti i costi: l’importante è apparire per convincerci che esistiamo. Dall’alba al tramonto, passando, per le repliche notturne, alla nostra condizione di soldati dell’esercito chiamato a resistere alla pandemia si aggiunge quella di bersaglio del bombardamento mediatico a “medium unificati”.

PROVARE PER CREDERE

Il format giornalistico e quello della comunicazione (pubblica e privata) rispecchia il nostro modo di essere uomini, cittadini, individui, comunità. Ogni mattina, appena messi i piedi per terra, con la voglia di apprendere quanto è successo nel corso della notte sulla nostra Terra- Patria, si viene travolti da un senso d’angoscia: da ciò che è nuovo e dalla riproposizione dei misteri dolorosi veicolati la sera prima dai media tradizionali e dai new.

Un momento di tranquillità lo trovano quanti decidono di sintonizzarsi su Rai 1 per la messa di Papa Francesco. 50 minuti di meditazione, l’occasione per avvicinarsi a Dio: non importa se cristiano, islamico o Dio personale. Il rito unisce in nome della religiosità dell’uomo oggi impegnato contro un nemico che non guarda in faccia nessuno e che nella sua avanzata taglia trasversalmente la società – mondo.

La “messa è finita, andate in pace” dice l’officiante, ma quella pace non ci risparmia dalla bagarre che poco dopo si scatenerà dai “pulpiti” televisivi: i cronisti elencano il bollettino di morti, contagiati, guariti. La gente deve essere informata: giusto, ma non tormentata, impaurita, angosciata. Via via che la giornata accorcia il suo tempo, TV e new media, impegnati a conquistare nuovi segmenti di audience, utilizzano il dolore, le sofferenze umane, la solitudine per scrivere il copione dei loro palinsesti. Come se il diritto di cronaca non fosse già garantito dalle notizie asettiche e da approfondimenti il cui linguaggio è facilmente decodificato dal colto e dall’inclita. Al povero spettatore non resta che utilizzare l’unico strumento di democrazia in suo possesso: il telecomando.

Ma lo zapping non lo aiuta

È inutile cambiare canale alla ricerca di un film per raffreddare la temperatura dei neuroni. Nulla di nuovo sulla rete x o y: quel film lo si è già visto una trentina di volte. Cambiare media, sintonizzandosi sulle frequenze a onde medie e fm delle stazioni radio non è una buona scelta: il copione non cambia. La mattinata trascorre con la lettura di qualche giornale telematico e di alcune pagine del solito libro che passa dal salotto alla camera da letto con il segnalibro a pagina 35. A metà mattinata approfondimenti e tg flash alzano il sipario sulla babele mediatica.  Uno stillicidio che dura fino alle 15, quando i decibel aumentano con le rubriche pomeridiane: stesso tenore, stesso stress. Affacciarsi al terrazzino di casa non è certo una panacea: nelle strade deserte nemmeno un cane anche se, purtroppo, c’è sempre quello di un vicino che non vuole rassegnarsi a rimanere in casa. La tensione sale, il pensiero torna al nemico venuto dalla Cina.  Sale anche la paura sotto l’effetto di conduttori e cronisti che, credono ancora nello scoop, ma non vanno oltre il servizio che la concorrenza aveva dato un’ora prima: personaggi, esperti che fanno il giro delle sette chiese impegnati a dare consigli, a lamentarsi, a sproloquiare in argomenti scientifici di cui il telespettatore non sembra avere interesse.

UN PENSIERO AGLI EROI IN CAMICE BIANCO

Per limitare i danni di questa intossicazione da social il pensiero vola fino agli eroi veri, quelli che in questi due mesi nel tentativo di salvare la gente ci hanno rimesso la vita. 

E di presunti eroi sono pieni gli schemi di tv e tablet: gente che diversamente dagli eroi in camice bianco sempre in prima linea, viaggiano nelle retrovie e in Skype fanno previsioni, interpretano le strategie degli scienziati della sanità, criticano i provvedimenti legislativi e amministrativi.  Basta!  Anche il cittadino che cerca riparo dal contagio del coronavirus ha diritto alla quiete.  Meglio la musica sui balconi con lo sventolio del tricolore: spettacoli sempre più sporadici, mentre aumentano i disobbedienti sanzionati e che in cuor loro sperano che il coronavirus cancelli anche le multe.  Tutto questo quando il campanile annuncia l’Angelus. La speranza è che con la cena arriverà un po’ di tregua, ma non resta che la rassegnazione.

Nella famiglia dall’attuale società consumistica troviamo sempre tre televisori: nel salotto, in cucina e nella camera dei figli. E siccome ognuno dei componenti ha le sue abitudini, una delle tv rimane sempre accesa e ad alto volume. Non resta che l’uso dei tappi. E davvero troppo, anche se non è ancora finita. Rimanere a casa stanca e l’insonnia non dà tregua. Non resta che un ultimo tentativo: scandagliare i vari bouquet di canali televisivi. Ma la spettacolarizzazione del dolore, della paura e dei fatti legati al coronavirus imperversa.  Nella mente passa l’idea di un divano, una poltrona e il desiderio di due ore di sonno finalizzati alla disintossicazione dai social. Al risveglio come automi il desiderio è alla ricerca di un televisore che, guarda caso, trasmette il motivo ricorrente di queste nostre giornate di guerra.

AMICI NEMICI

Ed allora l’alternativa è pregare per avere la meglio contro questo pericolo invisibile, per poi affrontare un altro nemico: l’Unione Europea.

Divisa tra chi ritiene che i danni del coronavirus e i costi della ricostruzione socio economica debbano essere sopportati dai 27 partners e chi, con in testa la Germania, preferisce gli egoismi nazionalisti per affossare quelli più colpiti da questa prima parte della guerra contro il Covid-19. Il tempo di “reclusi” tra le mura domestiche trascorre per domandarsi se il virus avrà mai pietà della gente che vive le giornate tra le ansie del presente e l’angoscia del domani. E con la morte sempre in agguato l’incertezza richiede lucidità: sia della classe dirigente del Paese e, ovviamente, da parte di tutti i cittadini. Affermare che nulla sarà come prima non è una profezia, ma una certezza. Anche perché gli egoismi di questa Europa ci riportano alla espressione hobbesiana di “Homo homini lupus”.

Antonio Latella -giornalista e sociologo


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