SOLIDARIETA’, ACCOGLIENZA E TOLLERANZA NEL DNA DEI CALABRESI
La visita in Calabria del Ministro per l’ Integrazione, dottoressa Cécile Kyenge, offre lo spunto per ricordare che questa regione è terra di emigrazione. Una condizione che l’accompagna da sempre: fin da quando l’Italia è diventata Stato unitario con la “questione meridionale” che ha iniziato ad attraversare la storia del Paese per restare irrimediabilmente irrisolta.
Il passato della Calabria, dei calabresi e della loro diaspora racconta di una comunità ospitale e accogliente da sempre. Questo luogo, contrassegnato da lotte interne e fratricide come le guerre di ‘ndrangheta, è da sempre un territorio di pace, di tolleranza e di solidarietà.
Non si spiegherebbe altrimenti la sopravvivenza secolare di comunità e minoranze grecaniche, albanesi, occitane resistite a guerre, bombardamenti, terremoti, carestie. Non si spiegherebbe altrimenti l’accoglienza ai primi profughi curdi iracheni, nella metà degli anni Novanta, sulla costa jonica calabrese, specie a Monasterace e Badolato.
Anni che hanno ripresentato al mondo la dura condizione umana dei calabresi che, tra la fine dell’800 e il primi anni Settanta del Novecento, stipando l’indispensabile in valige di cartone, hanno oltrepassato l’Oceano, valicato le Alpi per sfuggire, come fanno oggi migliaia di immigrati, alla miseria e alla mancanza di lavoro.
I bastimenti, le prime navi, l’agognata “Freccia del Sud” erano i mezzi di locomozione che alimentavano la speranza di molte famiglie povere, grazie alla partenza per luoghi lontani e sconosciuti di uno dei suoi componenti che si assumeva il compito di sfamare genitori, nonni e fratelli.
Come in un flashback, alla mente degli anziani e dei figli del dopoguerra ritornano anche i camioncini cabinati, condotti dai “caporali”, a bordo dei quali le raccoglitrici di olive, di gelsomino, di bergamotto, le braccianti delle campagne agrumarie, le contadine lasciavano le loro case prima dell’alba per farvi ritorno quando il buio dominava i nostri sperduti villaggi.
Per chi ha vissuto da straniero, è più facile capire e sostenere chi viene da lontano.
La solidarietà, l’ospitalità, la tolleranza, dunque, fanno parte della cultura del nostro popolo, così diverso da quelli che hanno sfruttato i fenomeni migratori per rafforzare la leadership dei padroni, del capitalismo del momento impegnati a produrre ricchezza e dove oggi nascono e si cristallizzano fenomeni di intolleranza e di razzismo. La Calabria, al pari di tante altre realtà del Mezzogiorno, è la terra degli ultimi. Qui, soprattutto sulle coste ioniche, antiche e nuove povertà s’intrecciano con la dura condizione di quanti, sfidando i pericoli del Mediterraneo, cercano nell’occidentalizzazione il nuovo modello di vita. Questo desiderio, spesso, rimane una semplice illusione trasformando migliaia di essere umani in scarti da conferire in discarica.
Il modello occidentale è in declino a causa degli effetti perversi della globalizzazione, del capitalismo finanziario che, grazie alla società dell’informazione, producono delocalizzazione e, con il semplice clic sulla tastiera di un computer, trasferiscono in territori fertili al profitto grandi flussi di danaro. Un fenomeno che produce nuove povertà nei paesi ricchi e sfrutta gli abitanti delle aree geografiche emergenti dove i lavoratori non sono sindacalizzati e devono accontentarsi di un salario di pochi dollari al giorno. Da produttori, gli occidentali sono diventati consumatori. E la società consumistica porta all’individualismo, alla perdita dei valori, al relativismo: in pratica ci traghetta in quella che Bauman definisce la società liquido-moderna.
Contrariamente agli abitanti di altre regioni del Paese, i calabresi condividono le strategie della ministra Cécile Kyenge che, proprio, a Reggio Calabria, ha reso noto che sta lavorando al varo di un piano interministeriale contro il razzismo e la modifica della legge Bossi – Fini per un approccio diverso sull’immigrazione e avviare un nuovo percorso che metta al centro i diritti e la dignità della persona.
Questa volta un Ministro della Repubblica non semina illusioni, ma compie gesti rilevanti: l’omaggio alla memoria del colonnello Cosimo Fazio deceduto il giorno di Ferragosto mentre coordinava i soccorsi a una nave carica di cittadini siriani ed egiziani sfuggiti al caos in Egitto e alla sanguinosa repressione del regime di Assad a Damasco; la visita alla tomba di Antonio Danisi, morto nel disastro della miniera di carbone belga di Marcinelle l’8 agosto del 1956.
Gesti, quelli della dottoressa Kyenge, che gratificano lo spirito solidaristico dei calabresi, che è parte del Dna di un popolo, in passato, disperso dalla miseria in Canada, negli Stati Uniti, in Brasile e Argentina, in Germania, in Francia.
Forti di queste esperienze del passato, in alcuni comuni calabresi l’integrazione dei migranti è un fatto certo, reale e non già una mera enunciazione. Il comune di Riace (ma i protagonisti sono tanti altri centri soprattutto della Locride) è l’esempio più significativo di un sistema di integrazione sociale tra residenti e quanti provengono da mondi con culture sociali e religiose diverse dalle nostre.
Questi dati positivi, però, si scontrano con la nostra realtà socio – economica che provoca una nuova ondata di emigrazione: tanti i giovani che lasciano questa terra per spostarsi soprattutto al Nord Italia. Diversamente dal passato, non sono i nostri emigrati a spedire soldi alla famiglia, ma è quest’ultima che aiuta i loro membri ad affrontare i costi della permanenza in altre realtà geografiche. Meglio pagare per mantenere il lavoro dei figli, anziché farli cedere alle lusinghe della criminalità organizzata la cui pervasività fa temere per la coesione sociale e l’imparzialità delle istituzioni territoriali.