ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Accettare, coscientemente rassegnati, il dovere dell’isolamento, in una condizione di quarantena forzata, è una prova difficile per tutti, una novità spiazzante che però può essere – deve essere – in qualche modo riempita.

Perché – hai voglia a chiamarla casa dolce casa! – da soli o con la famiglia, questo periodo imposto di isolamento rischia di trasformare questo improvviso e forzato tempo libero dentro casa in un incubo sociologico.

La chiusura dell’Italia per l’emergenza sanitaria in corso ha sospeso temporaneamente le nostre vite stravolgendo le nostre abitudini.

Ormai ci eravamo abituati a venire una vita frenetica, in un mondo dove la lentezza veniva vista, solitamente, come un attributo del quale giustificarsi, sinonimo di imperizia, di incapacità, di inesperienza, come quando si guida l’auto e si valuta la competenza del guidatore in base alla quantità di sorpassi che compie, alla capacità di arrivare in tempi brevi a destinazione, allo scarso numero di clacson che attiva da parte degli altri automobilisti nei suoi confronti.

Tutto questo, d’un tratto, si è come fermato. Siamo chiamati ad una nuova sfida: riempire il troppo tempo che abbiamo disponibile. Quelle 24 ore che fino a ieri sembrava non ci bastassero, adesso diventano una montagna difficile dal scalare. Come fare?

Occorre una straordinaria autonomia intellettuale per far lavorare il tempo. Per far sì che il tempo sospeso dell’ #iorestoacasa lavori produttivamente per noi stessi.

Da sempre c’è la tendenza ad assegnare alla velocità una posizione dominante rispetto alla lentezza; eppure, fiabe popolari e leggende sin dalla antichità hanno inneggiato alle virtù della riflessione.

Dunque, non stiamo scoprendo nulla di nuovo o di diverso. È una condanna che l’uomo spesso ha dovuto scontare, in altre epoche ed altre storie. E ciò che più stupisce è che tutto ciò non ha distrutto l’essere umano né la società; quel tempo passato nella costrizione di una condizione di isolamento non ha rappresentato la sua fine, quanto piuttosto un nuovo inizio.

Epidemie e cataclismi sono stati un formidabile motore della Storia umana. E adesso anche noi, che viviamo questo primo ventennio del XXI secolo, ci ritroviamo a fronteggiare un’epidemia mondiale, a dispetto di ogni nostra convinzione, di ogni nostra presunzione con la quale ci eravamo inconsapevolmente illusi di aver battuto certi tragici eventi del passato ritrovandoci così a vivere nel tempo sospeso e obbligato dell’ #iorestoacasa.

Eppure, nulla è mai esclusivamente tragico!

Scorrendo velocemente alcuni drammatici eventi della storia, scopriamo circostanze sorprendenti. Qualche esempio?

Senza l’epidemia di tubercolosi dei primi anni del secolo scorso forse non avremmo la “Ricerca del tempo perduto” e probabilmente nemmeno una riga scritta da Franz Kafka.

Proust – si racconta – metteva mano ogni notte alla sua opera, tra colpi di tosse, attacchi di asma, spasmi nervosi: segregato dal resto del mondo per la tisi che lo stroncherà poi a 51 anni, decenni dopo verrà accusato dai materialisti storici di aver alzato un muro tra sé e gli avvenimenti della Grande Guerra, fuggendo dalla realtà e chiudendosi in un pregevole ma onirico microcosmo pre-freudiano.

Kafka, dal canto suo, convisse con la tisi prima di soccombere a 41 anni, lasciando incompiuto “America” che è forse il suo romanzo più bello, l’unico nel quale spiri il soffio della speranza e della fiducia nella vita: il suo rapporto con la malattia aveva qualcosa di psichico e di intimo, come fosse il riflesso inevitabile dei suoi fallimenti personali, come fosse una versione a misura di individuo delle catastrofi naturali e delle pandemie che in tutta la Bibbia sono raccontate come fulmini del divino. 

E Newton?

Era il 1665 e la capitale britannica era flagellata dall’epidemia della “grande peste”. Anche il giovane Newton (all’epoca aveva 24 anni) decise di mettersi in “quarantena volontaria”, una condizione quasi ideale per una mente vorticosa e irrequieta come la sua; fu nel silenzio e nella bucolica calma di Woolsthorpe che Isaac Newton mise a fuoco le sue intuizioni e concepì la rivoluzionaria teoria della gravitazione universale.

La storiella della mela che cade giù dall’albero accendendo improvvisamente la luce del genio è probabilmente una leggenda apocrifa diffusa ad arte dai divulgatori per spiegare la fisica alle menti più semplici. Ma, come racconta il suo assistente personale John Conduitt, al centro della sua tenuta sorgeva un grande melo, sotto il quale il giovane Isaac si immergeva in profonde riflessioni sulla gravità: «Era seduto accanto al grande albero e confabulò tra sé e sé: “la stessa forza che fa cadere i frutti dagli alberi deve estendersi oltre i limiti della terra, oltre la luna e i pianeti”».

Nel 1667 la peste era finita e Newton ritornò all’università presentando agli accademici i suoi lavori. Quel che accadde da quel momento in poi ben lo sappiamo.

E, a proposito di peste, non erano forse costretti in quarantena volontaria quei giovani – sette fanciulle e tre uomini – che, incontratisi per caso nella chiesa di S. Maria Novella a Firenze, decidono – come narra il Boccaccio – di ritirarsi a vivere insieme per qualche tempo in una villa in collina, dove si sforzeranno di evadere da quell’atmosfera di lutto e di incubo, alternando agli svaghi, alle danze, ai giochi, alle piacevoli conversazioni, ai banchetti, alle gite, anche il racconto di novelle piacevoli e interessanti: quelle stesse che costituiscono la sostanza del libro, cento in tutto, recitate in dieci giorni dai dieci novellatori, sul tema proposto di volta in volta da quello di loro cui spetta in quel giorno di reggere la brigata, dando così vita allo straordinario Decamerone?

Sono solo alcuni esempi e tanti altri se ne potrebbero raccontare per farci comprendere che un po’ di quarantena aiuterà anche noi a riscoprire il valore del tempo.

Che, forse, non sarà del tutto perduto!

Maurizio Bonanno – giornalista e sociologo


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