Coronavirus: da infopandemia a pancomunicazione

Il Coronavirus si profila sempre di più come una drammatica incognita medica ed emergenziale che si declina secondo dinamiche globalizzanti a cui, come giusta nemesi, si oppone, oltre a un sistema sanitario eroico, l’efficacia speculare di uno strumento strettamente sociale: il distanziamento.

La comunicazione che accompagna quotidianamente questa vicenda tuttavia continua ad apparire al contempo ormonata nella sua mole ma confusa e singhiozzante nei suoi contenuti.

L’infopandemia che la caratterizza si dipana su un fattuale overload d’informazioni che vanno dall’allarme sociale perpetuo alla normalizzazione intravista ma lungi dal realizzarsi.  Un’ipercomunicazione divisa tra aggiornamenti drammatici di decessi, presenzialismi televisivi, teorie complottiste e negazionismi di settore, elementi che alimentano dubbi e cristallizzano una situazione di fluida incertezza baumiana, che però, per ora, non vede cambiamento.

Le parole hanno un peso e sono uno strumento di potere e di responsabilità: il potere di essere ascoltati e guadagnare autorevolezza e la responsabilità di influenzare masse d’individui. La loro incomprensione arricchisce paradossalmente di significato altre manifestazioni umane autoindotte o imposte come, appunto il distanziamento sociale. Esso sembra essere l’unica arma a disposizione che certamente sta cambiando e cambierà ancora le nostre vite, le loro dinamiche relazionali, neutralizzando per lungo tempo l’unione e l’empatia del contatto. Una misura che attiverà processi in cui la commistione di fattori socio-spaziali rimodulerà un particolare ordine relazionale tra i gruppi e gli individui stessi parafrasando Simmel. Secondo vari gradi d’intensità potrebbe sfociare nell’esclusione sociale colma di risentimento preconizzata da Bauman o nell’isolamento funzionale di Sennett che si proietta nella parcellizzazione delle relazioni umane. Insomma esiste la possibilità di un necessario ripensamento del nostro modus vivendi e degli scambi a esso sottesi. In questo momento sono proprio le parole a modulare, mitigandolo, un processo di distanziamento che da misura sanitaria potrebbe diventare una consuetudine comportamentale.

La comunicazione deve neutralizzare la frammentazione infopandemica che vive e ricostruirsi in una pancomunicazione che attualizzi una collaborazione sinergica, condivisa e partecipata tra tutti gli attori internazionali.  Una comunicazione globalizzata, globalizzante e multidisciplinare, strutturata dal professionismo medico, istituzionale, psicologico e sociologico affinché concepisca e diffonda informazioni condivise guidate da un intento unitario.

Una pancomunicazione che intacchi un potenziale isolamento e risvegli la voglia di comunità, della normalità di un quotidiano che non conti più vittime ma guardi intere comunità scendere dai balconi e tenersi per mano mentre procedono verso un futuro, faticoso ma indispensabile, di rinascita.

Marino D’Amore

Sociologo della comunicazione Università Niccolò Cusano

Sociologo specialista, portavoce ASI


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