Una breve narrazione ai tempi del coronavirus
E’ da settimane, ormai, che sentiamo parlare di coronavirus, di operatori sanitari, di zone rosse, ecc. Sono fermamente convinto che soltanto riportando il vissuto di chi effettivamente ha “le mani in pasta” sia possibile cogliere alcune sfaccettature di qualsiasi fenomeno, figuriamoci di una vera e propria pandemia. Soprattutto in giornate come queste, in cui l’immobilismo e il silenzio, ci spingono a riconsiderare molti aspetti o scelte della nostra vita, letture estremamente attuali diventano non solo interessanti ma anche “terapeutiche”.
E’ da qui che è nata l’esigenza di riportare “una breve storia i tempi del coronavirus”, raccontata dalla voce di un’infermiera, che vive da quasi un mese, la realtà della cosiddetta zona rossa.
Una persona umile, che senza troppi fronzoli espone se stessa, e di conseguenza anche il suo attuale compagno, al rischio di contrarre il virus. Si badi bene, non lo fa, per nutrire il suo ego, per fregiarsi di atti eroici, ma più “semplicemente” perché si tratta della sua professione!
Rimanendo fedele alla tradizione sociologica, lascerò parlare il soggetto intervistato, cercando di andare oltre l’iperdominio dell’informazioni a scapito della narrazione poiché:
“l’arte di narrare si avvia al tramonto. Capita sempre più di rado di incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve: e l’imbarazzo si diffonde sempre più spesso quando, in una compagnia, c’è chi vorrebbe sentirsi raccontare una storia”(Benjamin 1936).Ciò è essenziale dal momento che tramite la narrazione è possibile indagare e interpretare i fenomeni sociali per come sono vissuti dagli individui e per i significati che tali fenomeni hanno per gli individui stessi.
Francesca, brevemente chi sei e cosa fai nella vita:
Sono un’infermiera, nata e fino a poco tempo fa residente a Catanzaro… Ma da quasi 2 anni vivo e lavoro in provincia di Bergamo.
Se ti dico coronavirus, cosa mi rispondi?
Un nuovo ceppo virale identificato per la prima volta a Wuhan, un virus simile all’influenza, così è stato inizialmente descritto dai media e non solo. Un virus accompagnato da un quadro clinico tipico: raffreddore, mal di gola e nei casi peggiori disturbi alle vie aeree… Eppure è il virus che ha cambiato la nostra vita. Allora mi viene da dire che tanto simile all’influenza non è!
Com’è cambiata la tua vita da quando è scoppiata l’epidemia?
Forse di primo acchito direi che la mia vita non sia cambiata granché, lavoro e nel tempo libero mi piace molto stare a casa. Adesso, purtroppo, giorno dopo giorno percepisco una forte tensione e paura per i miei cari… Così lontani e in una regione in cui la situazione non è così sicura!
Hai vissuto l’esperienza dei supermercati completamente privi di generi alimentari? Che sensazione hai provato?
Si, il 24 febbraio… pane, pasta, farina, patate, verdura di ogni genere… Il vuoto…Mi veniva quasi da ridere, ovviamente non per la felicità. Ero stupita… Era una cosa che non avevo mai visto nella mia vita. Era strano vedere angoli del supermercato vuoti, ma soprattutto la gente con uno sguardo vuoto ma attento nello stesso tempo. Quasi come se chi era intento a caricarsi di roba fosse “sano” e io o te un “l’alieno”.
Vorrei una tua valutazione dal punto di vista professionale, essendo un’infermiera di sala operatoria, e quindi socializzata “alla sterilità”, sulle modalità di gestione dell’emergenza:
Beh direi che tutte le indicazioni che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci sta dando, e quindi di conseguenza tutto ciò riportato dai nostri media, siano la base: lavaggio delle mani e soprattutto attenzione ai tempi… Fate finta che voi siate dei chirurghi proprio come nei tanti film ambientati in ospedale che siamo soliti guardare. Inoltre, viaggiando sempre “mano per mano” con il nostro amato cellulare, fate una bella spruzzata di un qualsiasi disinfettante anche “su di lui”!
Nel tuo contesto lavorativo, come viene considerato il coronavirus? Che tipo di precauzioni avete adottato?
Lavoro in una clinica privata. Abbiamo da poco sospeso gli interventi di elezione. Disponiamo dei comuni dispositivi di protezione individuale: mascherine chirurgiche (insomma quelle classiche), guanti, camici monouso, visiere, ecc. Non ho avuto ancora modo di poter indossare mascherine ffp3. Alcuni colleghi le hanno acquistate. Ovviamente le utilizzeremo in caso di pazienti sospetti o positivi. C’è da aggiungere che l’ingresso della struttura non è aperto al pubblico. Però c’è molto silenzio e questo ci fa percepire un’aria molto diversa...
Sei una calabrese emigrata a Bergamo, cosa ne pensi dei ragazzi che da settimane scappano in massa verso il sud?
Penso che stiano ferendo l’anima della loro amata terra e di tutti i cittadini. Non posso negarlo, anche mia madre di fronte a tutto questo, mi aveva chiesto di ritornare giù, ancor prima che si scoprissero i primi casi in Calabria. Ma ho risposo con un secco no, spiegando che avrei potuto fare del male a lei a tutti i miei cari. Non volevo esser la causa di morte dei miei nonni… Forse questi ragazzi non sono arrivati a questo ragionamento… Forse non sanno affrontare la solitudine….
Hai paura?
Si ho paura… Ma non ho paura di ciò che può succedere a me. So che ANDRÀ TUTTO BENE.. . Ho paura per i miei cari…Ho paura perché in Calabria i posti letto sono ridotti e il personale sanitario scarseggia.
Quali sono le tue riflessioni finali?
Spero che la gente capisca l’importanza dello stare a casa… Godetevi gli attimi che nella vita quotidiana spesso ci sfuggono! Coccolate i vostri figli, le vostre mogli, i vostri mariti, i vostri animali…. Sentitevi importanti. Ma vi prego non uscite. Non andate al supermercato, ogni giorno per lo meno!! Fate ciò che ci stanno chiedendo, anche se secondo me, dovevano chiederlo, anzi imporcelo prima!
Alcune considerazioni conclusive
Appare evidente come l’esigenza di comportamenti virtuosi, attualmente, sia l’unica forma di protezione effettivamente valida, il che, come più volte detto, richiede un certo grado di rispetto verso il contesto sociale in cui ciascuno di noi è inserito. “Ogni individuo si sta giovando dei propri ma anche degli altrui sacrifici. Questa è la forza del nostro Paese, una <<comunità di individui>> come direbbe Norbert Elias”(Giuseppe Conte 2020). Elias, importante esponente nel mondo sociologico, sosteneva che “Quello che spesso nel pensiero si tiene diviso come se si trattasse di due sostanze diverse o strati dell’uomo, la sua «individualità» e la sua «determinazione sociale», non sono altro che due diverse funzioni di cui gli uomini dispongono nei loro rapporti reciproci: indipendentemente l’una dall’altra non hanno alcuna consistenza”(trad. it. 1990). Oggi più che mai la tensione tra l’individuo e la società è, e sarà, il vero ago della bilancia nella lotta contro questa pandemia.
Davide Costa- Sociologo
Riferimenti bibliografici
Benjamin W.(1936). Il narratore. Alcune considerazioni sull’opera di Nicolaj Leskov, trad. it. in Id, Angelus nouvus, Einaudi, Torino, 1976.
Conte G.(11/03/2020). Dichiarazioni del presidente. Disponibile su: http://www.governo.it/it/articolo/conferenza-stampa-del-presidente-conte/14294.
Elias N.(1990). La società degli individui. Il Mulino, Bologna.