IL MIGLIOR STUPEFACENTE, LA VITA

foto maria rita x AntonioLa storia dell’uomo è costituita da tutte le rivoluzioni che egli stesso ha compiuto. Gli stravolgimenti sociali che negli ultimi due secoli hanno interessato l’umanità sono stati la Rivoluzione Industriale del 1845 e la Rivoluzione Socio-economica degli anni ’60 (1968). La prima determinò un radicale cambiamento nelle abitudini socio-lavorative, tale da sviluppare un fenomeno che per decenni costituì oggetto di ampi studi psico-comportamentali: il suicidio. La seconda ha dato luogo ad un fenomeno se possibile ancora più complesso che, ad oggi, ci vede impegnati nella ricerca di soluzioni: la tossicodipendenza.

La domanda, quella più logica e naturale è: “Dopo oltre quattro decenni dallo scoppio di questo evento dilagante, perché siamo ancora qui? Cosa ci è sfuggito nella disamina del problema, tanto da non essere ancora riusciti a stabilizzare elementi risolutivi validi al fine del contenimento di questa piaga sociale?” In effetti l’uso di sostanze stupefacenti ha sempre fatto parte della vita degli esseri umani, certo non con gli illimitati confini cui oggi assistiamo. Era esclusivo appannaggio di alcune categorie sociali, quali la borghesia ed il mondo degli artisti che, a volte solo per avere avuto i mezzi economic

Succede, però, che a ridosso degli anni ’60 del secolo appena passato, i prodromi di un gigantesco cambiamento sociale, illuminano l’orizzonte del mondo. I giovani dell’epoca si sono trovati all’improvviso catapultati verso una nuova dimensione sociale, con nuove prospettive economiche e nuove possibilità che potevano essere sperimentate in ogni ambito della vita umana e lavorativa. Ma non tutti i cambiamenti e le novità possono essere ben gestiti da tutti, per cui all’alba del 1968 qualcuno si accorse di non avere in sé gli strumenti adeguati per poter affrontare questa sorta di baraonda sociale.  Quel cambiamento che proprio i giovani stavano attuando, attraverso varie forme di contestazione, provocò una esplosione collettiva ed una molteplice quantità di implosioni individuali.Laddove la contestazione era stata attuata anche a suon di spinelli, con sovraesposizioni beffarde e provocatorie, l’esito non fu sempre felice. La delusione, che divenne la scia evidente di quel momento storico, fu una delle cause scatenanti del fenomeno al quale ancora oggi non riusciamo a dare dei confini. Ma dove c’è società c’è mercato, dove c’è mercato ci sono una domanda ed una offerta e quello fu il momento in cui tra le voci del mercato economico mondiale si inserì la droga e si rafforzò l’idea che anche quando non c’è la domanda la si può creare con una potente offerta. E fu anche il momento in cui l’uso della droga perse il suo significato di “rivolta” collettiva per convertirsi in una accezione di “fuga” individuale, per superare la delusione e l’angoscia derivanti da immutati disagi sociali. Arrivando ai nostri giorni, bisogna evidenziare come quel cambiamento provocò un trauma a quella che era considerata la roccaforte per eccellenza della struttura sociale: la famiglia.

Famiglia che transitò, con non poca fatica, da una conformazione patriarcale ad un assetto moderno, con tutto ciò che comporta questo arduo percorso. Quando, e nei casi in cui, anch’essa non è stata in grado di riformularsi per assorbire l’impatto con la modernità, il sistema sociale è imploso dando vita ad un processo lento di disgregazione le cui vittime poco o nulla hanno potuto fare, non avendo risorse a sufficienza. In quasi tutti i casi di tossicodipendenza, è statisticamente verificabile la tendenza alla disgregazione familiare. E’ in situazione di povertà di comunicazione verbale, che si hanno alcuni dei comportamenti provocatori, come quelli del tossicodipendente. Quando all’interno di una famiglia i componenti non sono capaci di avviare un discorso che tenga conto delle loro stesse emozioni, dei loro stessi sentimenti ed affetti e di non riuscire a considerarsi come persone, gli stessi convivono in una disperata solitudine. La mancanza di trasmissione di valori morali provoca un comportamento deviante, che sempre più spesso è la più comune delle modalità comunicative fra i membri della famiglia e che spinge lentamente, fuori di questa, il componente con minori risorse interiori. La famiglia ha un ruolo di mediazione tra l’individuo e la società, ma non sempre riesce ad assolvere alle funzioni che le competono e quindi a provvedere alla formazione dell’individuo e al suo inserimento sociale. Compito che, molto spesso, demanda alla scuola, ma anche la scuola, come tutte le altre istituzioni, vive la propria crisi.

E’ sempre più diffusa la tendenza all’uniformità e all’appiattimento, tendenza in completa antitesi rispetto alla singolarità dell’essere umano e che mortifica la libertà espressiva e creativa delle singole età, disperdendo il tutto nella generalizzazione e nell’indistinto, come se la vera catarsi umana possa trovare ragione nell’omologazione. Il rapporto docente-alunno è ancora troppo spesso improntato sulla trasmissione culturale e non di valori, trasmissione che implicherebbe un coinvolgimento emotivo della scuola e dell’insegnante, troppo impegnativo. Frequentemente, la scuola non è in grado di gestire la cosa e diventa essa stessa fonte di ulteriore disadattamento e a questo punto un giovane disadattato si esprime con comportamenti devianti che divengono il filo conduttore della propria esistenza, generando l’isolamento. Isolato dalla famiglia e dalla scuola il giovane cerca forme alternative di appoggio, spinto da problemi personali, familiari e sociali, arriva così al gruppo e trova in esso riparo, si immerge in una nuova dimensione esistenziale in cui si identifica e si ritrova.

Ma il gruppo vive di sensazioni e messaggi fondati sull’immediatezza e sulla comunicazione emotiva e non verbale, ed è in questa dimensione che, generalmente, avviene il primo incontro con la droga.

Assolutamente impreparato sul piano intellettuale, psicologico e sociale è difficile che questo ragazzo riesca a compiere una normale carriera scolastica, è alienato rispetto alla cultura dominante e si vede negata la possibilità di sviluppare una identità personale e culturale ben definita. In questo quadro patologico di insicurezza, instabilità ed aggressività la fragile personalità del ragazzo, già minata dalle frustrazioni provate in famiglia e a scuola, si emargina ulteriormente dal contesto sociale, la crisi diviene così gigantesca e insostenibile da fare diventare il fenomeno “assunzione droga” da espressione di inquietudine ad espressione di disperazione.

Dunque, a mio parere, credo largamente condiviso, il problema va soprattutto affrontato e combattuto in termini di prevenzione. Prevenzione da effettuarsi nell’intera comunità con costanti iniziative di carattere informativo ed educativo, laddove la famiglia va appoggiata, sostenuta ed aiutata a fronteggiare le problematiche di cui ci stiamo occupando. Le istituzioni devono rafforzare la presa in carico delle famiglie in difficoltà e dotare le scuole di docenti ai quali fornire maggiore informazione e qualificazione nel merito.

Grande rilievo va dato al lavoro delle comunità terapeutiche, autentico fiore all’occhiello di questo nostro spesso discutibile assetto sociale, all’interno delle quali, attraverso durissimi percorsi, vengono riposizionati i valori di senso della vita umana.

 


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