FINE VITA E AIUTO AL SUICIDIO

 

Sul fine vita e aiuto al suicidio. Una questione al centro tra l’esigenza di garantire la legalità costituzionale e la discrezionalità del legislatore per la compiuta regolazione della materia

Marco Lilli  nuova fotoIl 23 dicembre 2019 si è concluso il processo a carico di Marco Cappato, accusato di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, in una clinica svizzera. Perciò, dopo le conclusioni delle parti e udite le dichiarazioni spontanee rese dall’imputato, la Corte d’Assise di Milano si è pronunciata per l’assoluzione perché il fatto non sussiste.

Una vicenda abbastanza controversa da più punti di vista, infatti, se da un lato l’argomento in esame è uno di quelli più suscettibili di stimoli che muovono dalla parte più profonda dell’essere umano, poiché credo che nell’affrontarlo emergono o possono manifestarsi tutta una serie di reazioni emotive legate al vissuto di ognuno, al modo di pensare, alla religione in cui solo si crede o financo si professa, oppure non credere che vi sia qualcosa oltre la vita terrena; dall’altro, in uno Stato di diritto, bisogna necessariamente tenere conto delle significative peculiarità tipiche delle norme giuridiche. Infatti, in quanto tali, solo per citarne alcune, queste norme rivestono carattere generale poiché sono rivolte alla generalità degli individui, quindi senza distinzione per alcun tipo di appartenenza, orientamento, razza e così via; carattere di astrattezza, poiché considerano dei casi, appunto, astratti, ma che potrebbero invece manifestarsi nel concreto; carattere di esteriorità, in quanto oggetto della disciplina normativa è l’agire con cui si manifesta l’individuo nel contesto sociale, ovvero in relazione agli altri attori sociali, dove a nulla rilevano gli elementi intrapsichici e morali che potrebbero eventualmente influire sulla stessa decisione di agire; non da ultimo, le norme giuridiche presentano carattere di positività in quanto create in un determinato momento storico-sociale, il problema, semmai, dal mio punto di vista, si pone proprio allorquando il legislatore non è in grado oppure non è intenzionato – in genere per motivi di consenso popolare – a produrre norme tempestive ovvero adeguate al cogente mutamento sociale.

Tanto premesso, brevemente, la questione giuridica oggetto del presente contributo fu rimessa all’attenzione della Corte Costituzionale affinché potesse esprimersi in merito alla legittimità dell’art. 580 del Codice penale (Istigazione o aiuto al suicidio) [1], sollevata dalla Corte di Assise di Milano con Ordinanza del 14 febbraio 2018, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, Prima Serie Speciale, dell’anno 2018.

In particolare, si dubitava sulla legittimità costituzionale della norma sopra richiamata nella parte in cui «incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio»; nonché nella parte in cui prevede che le condotte di agevolazione dell’esecuzione del suicidio siano sanzionabili senza distinzione rispetto alle condotte di istigazione.

Sicché, la Corte Costituzionale, fissando il principio per cui «l’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve, comunque sia, prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore per la compiuta regolazione della materia, alla quale spetta la priorità», ha dichiarato la norma costituzionalmente illegittima «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi (…) agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente». Inoltre, ha sottolineato la Corte, non può farsi a meno «di ribadire con vigore l’auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai principi precedentemente enunciati». Vale a dire che nel caso di vuoti di disciplina che rischino di risolversi in una menomata protezione di diritti fondamentali, suscettibile di protrarsi nel tempo per il perdurare dell’inerzia legislativa, la Corte può e deve farsi carico dell’esigenza di evitarli, non limitandosi al solo annullamento della norma incostituzionale, ma «ricavando dalle coordinate del sistema vigente i criteri di riempimento costituzionalmente necessari, ancorché non a contenuto costituzionalmente vincolato, fin tanto che sulla materia non intervenga il Parlamento» [2].

Perciò, sulla base della pronuncia appena richiamata, come accennato all’inizio di questo breve contributo, lo scorso 23 dicembre 2019 è stato lo stesso Ufficio del Pubblico Ministero a chiedere l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste, e lo ha fatto con le seguenti argomentazioni da me qui riassunte e trascritte per i lettori: «questo processo riprende oggi, devo dire con una maggiore serenità rispetto al momento in cui gli atti sono stati trasmessi alla Corte Costituzionale, maggiore serenità determinata sostanzialmente da due argomentazioni: la prima è che bello avere un sentiero tracciato, credo che chiunque cammini in montagna sappia quanto è più facile seguire un percorso e questo percorso è stato indicato con grande chiarezza dalla Corte Costituzionale, che dopo un ordinanza che già apriva degli spazi interpretativi conformi ai dubbi che erano stati sollevati in quest’aula con grande convinzione anche con grande struggimento è uscito con una sentenza molto bella, molto bella perché molto equilibrata calcolato anche la difficoltà l’enorme difficoltà che la Corte ha sicuramente dovuto affrontare nell’esplorare una materia in cui certamente la parte più rilevante sarebbe dovuta essere retaggio del parlamento che invitato in maniera esplicita a prendere le sue decisioni in ordine a questa delicatissima materia in realtà […] nulla ha fatto. Quindi bella sentenza e indicazione precisa […], quindi vi è più apprezzabile perché la materia il tema che qui si dibatte è un tema di una tale rilevanza, veramente che prescinde la stessa valutazione in diritto che noi possiamo fare è il senso stesso della vittima, di una persona, il senso della sua vita […]. La Corte, indica, si assume, si fa carico di quest’area di grande fragilità di quest’area di impotenza che stabilisce però criteri rigorosi, la Corte non può legiferare ovviamente […], allora quello che può fare è fornirci un’interpretazione agganciandosi a normative esistenti […], legge che da una straordinaria rilevanza l’articolo trentadue della Costituzione in ordine al diritto di ogni cittadino di decidere […] la modalità quindi la disquisizione del suo corpo in relazione a cure mediche, agganciandosi a questa normativa la Corte Costituzionale […] traccia una griglia, una critica rigorosa […] e in dibattimento è proprio nella verifica della sussistenza dei requisiti che la Corte ci propone noi abbiamo quattro requisiti di carattere medico che dovranno essere valutati: patologia irreversibile; che comporti una grave sofferenza fisica o psicologica; la dipendenza trattamenti di sostegno vitale; la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli […]. Allora […] mi riporto a quanto sostenuto […] nel corso del processo […], totalmente sovrapponibile alle condizioni, ai presupposti che la Corte Costituzionale pone per accettare come lecito che un […] detto incapace di agire, di muoversi autonomamente, di operare autonomamente, possa essere aiutato in una sua libera scelta consapevole di darsi una morte dignitosa […]. La formula assolutoria corretta sia perché il fatto sussiste […], nel senso che la fattispecie incriminatrice […] previsti […] dalla norma non corrisponde agli elementi fattuali» [3].

Al termine della Camera di Consiglio «la Corte d’Assise di Milano ha pronunciato sentenza nel procedimento nei confronti del signor Marco Cappato, Repubblica Italiana, in Nome del Popolo Italiano, la Corte, visto l’articolo cinquecentotrenta del Codice di procedura penale assolve Marco Cappato dal reato a lui ha scritto perché il fatto non sussiste. Visto l’articolo cinquecentoquarantaquattro, terzo comma, del Codice di procedura penale, fissa il termine di quarantacinque giorni per il deposito dalla motivazione, l’udienza è tolta».

Ebbene, fin qui la storia processuale, ma resta il dubbio se ancora una volta il legislatore, meglio dire la politica attraverso i suoi rappresentati, non sembri per caso declinare le proprie responsabilità rispetto al coraggio che invece dovrebbe avere nel prendere decisioni non solo legittime dal punto di vista costituzionale, ma legittime anche dal punto di vista della ragionevole presa di coscienza di un sistema sociale, inteso nel suo più ampio insieme, in evoluzione rispetto alla staticità di altri singoli fenomeni, per esempio quelli facenti capo a dogmi fideistico-religiosi.

Dott. Marco LILLI

www.criminologiapenitenziaria.it

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NOTE

[1] Art. 580 Codice penale (Istigazione o aiuto al suicidio): “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima”.

[2] Corte Costituzionale, Sentenza 242/2019, Presidente LATTANZI – Redattore MODUGNO. Udienza Pubblica del 24.09.2019, decisione del  25.09.2019, deposito del 22.11.2019.

[3] Videoregistrazione del processo, pubblicata da Radio Radicale e rilasciata con licenza Creative Commons: Attribuzione 2.5 https://creativecommons.org/licenses/by/2.5/it/


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