Schegge di riflessioni: di vita e di morte

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Il(…) fattore(…)per cui secondo me oggi ci sentiamo così stranieri in questo mondo(…), è la modificazione determinatasi nel nostro modo, fino a ora ben fermo di considerare la morte”(Freud 1915).

Ben centoquindici anni fa, Sigmund Freud, nel suo saggio “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte”, aveva

DAVIDE 2compreso come l’uomo moderno stesse cambiando il suo modo di intendere la morte. Oggi più che mai, tentiamo in tutti i modi di rifuggire dalla conclusione naturale dell’esistenza vitale: “(…) la medicalizzazione della vita,(…), combinata ai regimi di comportamento alimentare, alla ricerca della fitness e in generale all’attenzione riflessiva alla propria corporeità, ha spostato l’attenzione della morte come evento finale e unico al morire come processo costante da scomporre in unità più controllabili e sfidabili(Beck e Beck-Gernsheim,2002;Bauman 1999): risolvendo la patologia, prevenendo tramite una condotta di vita attenta a regolari controlli(…), intervenendo chirurgicamente, ma allo stesso tempo ponendo continuamente al centro dell’attenzione il processo di decadimento e la responsabilità individuale nel contenerlo il più possibile”(De Benedittis 2013).

L’individuo contemporaneo teme la morte, perché ad essa si correla l’incerto, quella proiezione ultima  verso l’ignoto.  DAVIDE 3Perché accade ciò? Perché la morte ha a che fare con il tempo, con ciò che appare più pericoloso e rischioso al giorno d’oggi. L’uomo, privato delle sue sicurezze, quali: il lavoro e la relazionalità, perde la sua capacità di essere pro-getto, come sostiene Heidegger in “Essere e tempo”; smarrendo questa attitudine di pro-gettare, si priva, o meglio ci privia-Mo dell’abilità di cogliere l’essenza della vita, che come ricorda Italo Svevo ne “La coscienza di Zeno”,  “(…)somiglia un poco alla malattia, come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli ferite. Morremmo strangolati non appena curati”. E’ per la sua stessa essenza che “(…) l’uomo si caratterizza per la sua finitudine, e che la consapevolezza di essere mortale è-dovrebbe essere- l’inizio della saggezza”(Castel 2003). Finitudine e rischio, due elemento che caratterizzano l’esistenza, e per quanto minacciosi possano apparire, sono stati comunque il principale slancio per la sopravvivenza e l’adattamento.

Eppure Freud anticipando Heidegger, arriva a sostenere “Si vis vitam, para mortem. Se vuoi poter sopportare la vita,

DAIDE 4disponiti ad accettare la morte”(1915). E’ in questa direzione che Heidegger si orienta nell’opera “Essere e tempo” del 1927. E’ importante sottolineare il fatto che sia stata pubblicata nel periodo di massima espressione della società capitalista, la quale secondo Castel, è l’anticamera della percezione sempre più ossessiva dell’insicurezza, e quindi del timore verso la vita e di conseguenza verso la morte. Poiché “La morte è la possibilità della pura e semplice impossibilità dell’Esserci(l’uomo nel linguaggio heideggeriano).Così(…) si rivela come la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile”(Heidegger 1927), cioè secondo il filosofo è essenziale “essere-per-la-morte”, che significa prendere consapevolezza di dover- morire, come stato connaturato alla vita stessa. E’ per questo che dovremmo, secondo Heidegger, adottare una decisione anticipatrice rispetto alla morte, essendo quest’ultima la nostra più intima e autentica possibilità dalla quale non possiamo fuggire. Questo “essere-per-la-morte”, non deve essere inteso come attuazione della morte, al contrario consiste nel divenire capaci di porre la morte come la possibilità più estrema, che dovrebbe portarci a cogliere l’esistenza come una dimensione globale, e cioè dotata di senso, con una sua storia, con la piena consapevolezza di essere individui finiti e non in-finiti.

Oggi più che mai tutto ciò e quasi completamente impraticabile, perché la morte è “(…)la zona d’ombra in cui magia e mito trionfano nel modo più categorico e permanente. I riti, le usanze e le credenze relative alla morte continuano ad essere il settore più “primitivo” delle nostre civiltà”(Morin 1951).. Ed è proprio così, la morte diventa diafana, trasparente, cerchiamo in tutti i modi di renderla più distante e meno presente. Che cos’è la medicalizzazione della vita quotidiana se DAVIDE 5non un set ampio e variegato di rituali volti a mantenere il ben-essere e a ritardare la morte? Che cos’è la prevenzione se non l’usanza più evidente e prevedibile del timore verso ciò che è ignoto?  I mass media socializzano verso dei corpi giovani, privi di alcuna connotazione temporale, “a forza d’essere lavata e spugnata, pulita e ripulita, negata e scongiurata, succede che essa-la morte-passa in tutte le cose della vita. Tutta la nostra cultura è igienica, essa mira a epurare la vita dalla morte. È la morte che prendono di mira i detersivi nel più piccolo bucato”(Baudrillard 2015). Il che ci riporta al pensiero di Heidegger, se ogni uomo, ogni Esser-ci, dovrebbe essere-per-la-morte, significa che l’essere umano è un essere temporale, essendo un pro-getto, e quindi colui che anticipa le proprie possibilità, è colui che “(…)ha da essere(…), nel suo essere, ne va di questo essere stesso”(Heidegger 1927). Se l’uomo è solo in quanto era e sarà, significa che “La vita ha un valore notevole se la si confronta e si conosce la morte, come momento necessario per considerare il limite, la finitudine, l’essere caduco non immortale. La vita nel suo movimento tende verso l’assoluto, e parimenti verso il nulla. La morte abita sin da principio e per sempre nella vita, ne è il momento formale costitutivo”(Peluso). E’ in questa direzione che Simmel sostiene che “Il segreto della forma sta nel fatto che essa è limite. Essa è la cosa stessa e ad un tempo il cessare della cosa, il territorio in cui l’essere e il non-essere più della cosa sono una cosa sola” (1918).

Le società contemporanee, quindi, non riuscendo ad ottenere l’immortalità sono giunte alla “amortalità, vale a dire la privazione della mortalità per un tempo indefinito”(Morin 1951).  Amortalità, che si correla ad una dimensione DAVIDE 6ambivalente “L’uomo forse era felice nel grembo materno, ma ne è uscito. E’ la profonda verità che oscilla nel desiderio contraddittorio di rientrarvi e di uscirvi”(ibidem). Cioè coesistono, nelle società e nei singoli individui, il desiderio di rifuggire dalla morte come fine della propria esistenza, e il desiderio di quiete e di pace a cui la morte idealmente si correla. Questa dimensione ambivalente ci porta a sposare la posizione di Bauman, quando, riferendosi alla ricerca collettiva e singolare di tranquillità e sicurezza, arriva ad affermare che “(…) il luogo che più si avvicina a questa visione di fine delle ansie da imprevisto, incarnazione più completa ed esauriente dell’idea intuitiva di “ordine” è il cimitero…Freud direbbe che l’inquietudine che esprimiamo aumentando sempre di più il numero di serrature sulle porte e di videocamere nei corridoi obbedisce a Thanatos, all’istinto di morte! Paradossalmente, a renderci inquieti è il nostro costante desiderio di quiete-il ritorno al grembo materno secondo Morin-che non sarà mai totalmente appagato finché saremo vivi. Solo la morte può appagare quel desiderio, ispirato e instillato da Thanatos; paradossalmente è proprio questa visione di ordine “definitivo” simile a un cimitero a fare di noi dei “costruttori di ordine” compulsivi e assuefatti”(Bauman e Lyon 2013).

Quanto sostenuto sembrerebbe una contraddizione, in realtà, potrebbe essere intesa come l’espressione più tangibile della DAVIDE 7coesistenza degli opposti che domina la natura in generale e in particolare l’uomo. Dal momento che “(…)vita e morte stanno su un medesimo gradino dell’essere, come tesi e antitesi”(Simmel 1918), la nascita presuppone la morte, così come la creazione si intreccia alla distruzione. Allora forse, potremmo arrivare a sostenere, rivalutare e analizzare in chiave sociologica quanto Sabina Spielrein scrisse molti anni fa, nel suo saggio “La distruzione come causa della nascita”, la cui essenza è riassunta nel seguente frammento di una lettera che inviò a Freud: “Ecco la frase immortale: “Una parte di quella forza che vuole sempre il Male e opera  sempre il bene”. Questa forza demoniaca, che nella sua essenza è distruzione(il male) e contemporaneamente anche forza creativa, dato che dalla distruzione(di due individui)  ne nasce uno nuovo. Questo è appunto l’istinto sessuale che nella sua essenza è istinto di distruzione e annullamento per il singolo e che per questo, secondo la mia opinione, deve vincere in ogni uomo una forte resistenza”(S.Spielrein frammento di una lettera inviata a Freud nel 1909 in “Diario di una segreta simmetria, di Carotenuto A., 1999).                               

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Davide Costa-Sociologo

 

 

 

Fotografie: dott.ssa Anna Rotundo

Fig.1 “Chartreuse Cemetery, Bordeaux”;

Fig.2 “L’identità perduta”;

Fig.3 “Tutto da rifare”;

Fig.4 “Cimitero di Catanzaro”;

Fig.5 “I giardini dell’eternità”;

Fig.6 “Un giorno tre autunni”;

Fig.7 “2 giugno”.

Bibliografia

Baudrillard J. “ Lo scambio simbolico e la morte”; traduzione di Girolamo Mancuso – Milano : Feltrinelli, 2015. – (Universale economica, Saggi)

Bauman Z. e Lyon D., 2013, “Il sesto potere: la sorveglianza nella modernità liquida”, Laterza, Roma-Bari.

Carotenuto A.,1999, “Diario di una segreta  simmetria: Sabina Spielrein tra Freud e Jung”, Astrolabio Ubaldini editore, Roma.

Castel Robert, 2003, “L’insicurezza sociale: Che significa essere protetti, Giulio Einaudi Editore, Torino.

De Benedittis M., 2013, “Sociologia della cultura”, Laterza, Roma-Bari.

Freud S.,1915, “Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte”, in “Il disagio della civiltà e altri saggi”,2012, Bollati Boringhieri, Torino.

Heidegger M., 1927, “Essere e tempo, trad. it. Mondadori, 2011.

Morin E., 1951, “L’uomo e la morte”. Tr. It. di L. Bellanova Pascalino. Roma: Newton Compton Editori.

Peluso A. “Come Educare Alla Vita?”  Il Pensiero Di Georg Simmel.

Simmel G.,1918, “Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici”. Tr. It. A Cura di G. Antinolfi (1997). Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane.

 

 

 


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