IMMIGRAZIONE E PROTEZIONE INTERNAZIONALE
È illegittimo il provvedimento di diniego di protezione internazionale che si basa solo sul fatto che l’omosessualità non sia considerato reato nel Paese di origine
La conoscenza non è
che la percezione della connessione
e dell’accordo, o del disaccordo
e del contrasto, fra le nostre idee.
John Locke (1632-1704)
Con questo contributo torno a trattare un argomento dibattuto, spesso aspramente, dalla politica, dai media e anche dal cittadino comune per mezzo dello strumento di interazione per eccellenza dell’attuale modernità, i social network.Il tema è l’immigrazione e la possibilità di soggiornare nel nostro Paese per motivi di lavoro, per ricongiungimento familiare o per altre più disparate motivazioni. Tuttavia, come si evince dal titolo, la questione qui in commento riguarda la cosiddetta protezione internazionale dello straniero e come la stessa, almeno in questo caso, è stata affrontata dalle Autorità competenti fino alla decisione, con rinvio per un nuovo esame, della Corte di Cassazione.
Ebbene, un cittadino ivoriano impugnava dinanzi il Tribunale adito il provvedimento con cui la Commissione Territoriale locale per il riconoscimento della protezione internazionale gli aveva negato il riconoscimento suddetto.Lo straniero riferiva di essere coniugato con prole e di religione musulmana, ma di avere intrattenuto una relazione sentimentale omosessuale, così divenendo, a suo dire, oggetto di disprezzo e di accuse da parte della di lui coniuge nonché di suo padre, quest’ultimo, Imam nel paese di provenienza. Da tale situazione ne scaturiva la decisione di fuggire dalla terra natale, soprattutto maturata a seguito del rinvenimento del cadavere del proprio partner, ucciso in circostanze non note ma, sempre a detta dell’ivoriano, per mano di suo padre.Con motivata ordinanza, il Tribunale rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, ritenendo non sussistenti i presupposti per la concessione di dette forme di protezione. Successivamente, medesima decisione negatoria era stata adottata anche dalla Corte di Appello, giurisdizione all’indirizzo della quale lo straniero aveva proposto ricorso, che quindi confermava integralmente le statuizioni precedenti.
Avverso detta sentenza, lo straniero, per il tramite del difensore, proponeva ricorso per cassazione adducendo alcuni specifici motivi che qui di seguito riassumo in forma sintetica, con le conclusioni cui è giunto il Supremo Collegio.Il ricorrente ha perciò dedotto la violazione e falsa applicazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale; violazione rispetto alla corretta disamina della domanda di ammissione al beneficio alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo; nonché violazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sullo statuto dei rifugiati, ratificata con Legge 24 luglio 1954, n. 722 e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967 relativo alla status di rifugiato, ratificato con Legge 14 febbraio 1970, n. 95; inoltre, l’ivoriano ha ritenuto violato l’art. 47 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale), per avere la Corte territoriale omesso l’ammissione di quei mezzi di prova proposti dal ricorrente che avrebbero provato la situazione di pericolo scaturente dalla sua stessa condizione di omosessualità.
Ebbene, come riassunto dai giudici di legittimità, se da un lato la Corte territoriale, dopo aver compiuto un’ampia ricostruzione storica, politica e sociale del Paese di origine del ricorrente, ha escluso che sussistessero i presupposti della protezione internazionale, in particolare perché ha accertato che in Costa d’Avorio, al contrario di altri stati africani, l’omosessualità non è considerata un reato, né lo Stato presenta generali problematiche di sicurezza, facendo da ciò discendere il rigetto della protezione internazionale; dall’altro, non risulta che la stessa Corte «che pure non ha espresso riserve sulla credibilità del ricorrente, abbia considerato la specifica situazione di quest’ultimo ed abbia adeguatamente valutato la sussistenza di rischi effettivi per la sua incolumità in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di adeguata tutela da parte dell’autorità statale». Non solo, poiché, prosegue la decisione: «non appare sufficiente l’accertamento che nello stato di provenienza del ricorrente, la Costa d’Avorio, l’omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendo altresì accertarsi la sussistenza, in tale paese, di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati»; e dunque di valutare la sussistenza della condizione di vulnerabilità del ricorrente «alla luce della particolare situazione personale prospettata nel ricorso e del concreto pericolo che egli possa subire, in conseguenza della propria condizione di omosessualità, trattamenti degradanti e la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello statuto della dignità personale in caso di rimpatrio» (cfr. Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, Sentenza n. 11176/19, decisa il 27 Febbraio 2019).
In conclusione, aggiungo, pur potendo questioni del genere essere oggetto di libera argomentazione della politica come di chiunque creda di volerne discutere – e per fortuna che è così, diversamente significherebbe vivere in un Paese tutt’altro che democratico –, un dato resta comunque ineludibile e cioè che al di là di come la si pensi politicamente, oppure dal punto di vista religioso o agnostico più in generale, la nostra Costituzione, così come altre Carte, Convenzioni e Dichiarazioni relative alla salvaguardia dei diritti umani, pone, e pongono, al primo posto della questione sociale il diritto alla tutela della vita di ciascun individuo, affinché questi non sia destinatario di trattamenti degradanti e disumani e che goda di pari dignità sociale e di uguaglianza davanti alla legge, senza distinzione, appunto, di sesso, di razza, di appartenenza religiosa, di opinioni politiche e di qualsivoglia altra condizione e orientamento personale.
Dott. Marco LILLI
(Giudice Onorario del Tribunale di Sorveglianza)